Il libro è un attacco duro, a tratti intensamente ostile e ad un tempo pieno di amarezza e nostalgia, verso il modo tradizionale (strettamente oralista) con cui in Italia si intende e si pratica la professione di logopedista, che è la figura deputata all’educazione e alla riabilitazione del linguaggio.
Mentre nei paesi esteri più avanzati nell’educazione dei sordi tale figura assume una connotazione strettamente tecnica, nel nostro paese il suo ambito professionale si estende dall’impostazione della fonazione all’attività socio-pedagogica di acquisizione delle competenze linguistiche.
Con spunti autobiografici, l’autore rivolge al metodo di lavoro della “sua” logopedista una critica feroce, basata sull’esperienza diretta di estenuanti sedute di riabilitazione vocale, segnate dallo spasmodico desiderio di comunicare, dal sentire estranea la lingua orale, dall’incomprensibile negazione della lingua dei segni, unica a potergli permettere la gioia della comunicazione.
“…insieme, nel tuo mondo di voci, nel mio mondo di segni, senza più barriere di comunicazione.”
Lettera a una logopedista. Dalla parte del bambino sordo, Kappa ed., Roma, 1996, pp. 96.