LE DUE PAROLE

Gennaio 16th, 2012

Tutte le parole sono immote:

e pure io mi fermo con esse.

Solo i bambini ci giocano.

Non sanno quanto malvagie sono!

Eppure c’è chi

- l’illuso poeta per esempio -

le eleva in canto per circuire l’amore.

Ma non sempre aprono il cuore.

La parola è tragica, infame.

Sacrificio per il bambino che non ode.

Ne conosce il peso, ci va adagio.

Nella mia bisaccia conservo due parole:

quella che annunciò la mia nascita, alfa

l’altra che un giorno con me poserò, omega.

dalla silloge inedita Penite animus

Sordità, cultura e formazione dei sordi. Riflessione.

Dicembre 30th, 2011

Essere sordo oggi induce, tutti noi protagonisti, a pensare alla situazione scolastica dei giovani diplomati sia della scuola secondaria di primo che di secondo grado. Forse  durate il periodo di scuola dell’Infanzia e Primaria ancora non compare la tragedia dell’istruzione dei sordi. Negli anni Settanta del secolo scorso si parlava malissimo delle scuole specializzate, venendo infangate di ingiuste accuse. Negli anni che seguirono i sordi sono stati accolti nella scuola residenziale come - in un certo senso - è giusto che sia così. Tuttavia la maggior parte dei docentii era incapace di rendersi utile nella didattica, vale a dire insegnare a questi scolari “speciali”. Sono scaturite diatribe di ogni genere per la mancanza di formazione, demonizzando oneste persone (senza loro colpe). Come ho più volte scritto nei miei testi (cfr Scuola di Silenzio, Lettera ad una Ministro (e dintorni), 2006 e Parole nel movimento. Psicolinguistica del sordo, 2009, editi da Armando.

Mai si è affrontata la formazione dei docenti ad hoc affinché le potenzialità (enormi!) dei sordi o degli ipoacusici venissero considerate  e/o stimolate dalla Scuola!

Se in questi anni abbiamo considerato il passaggio dell’homo sapiens all’homo zapiens e, poi,  costui ha imboccato il precipizio di Homo analfabeta, mutamento che è stato ancora peggiore per il sordo o per chi ha problemi di sordità perché non sono stati predisposti gli elementi culturali indispensabili per permettere i soggetti di partecipare al «pasto acquisitivo» (cfr Renato Pigliacampo, 1983 e successive edizioni). I sordi, inseriti nella scuola ordinaria, hanno imitato in toto il «modello udente» dei coetanei, scimmiottandoli. L’imitazione è stata recepita a livello di manualità, manifestata o con la gestualità spontanea e utilitaristica o con la comunicazione grafica (cfr l’abilità dei sordi nel disegno o nella pittura). E qui si apre un altro discorso.

Il bisogno di alfabetizzazione  dei sordi è divenuto urgentissimo in questi ultimi anni! Se Cardano gridò «Crimen est non istruire i sordi», oggi noi gridiamo, alla fine del 2011, che è una vergogna, un insulto alla credibilità di un Paese lasciare le intelligenze dei bambini,  con problemi d’udito, o illudere i loro genitori che la sordità sia possibile sradicare dalla  faccia della terra, pertanto cestinare  le metodologie, le polisensorialità di stimolo dei sensi vicari all’udito, affermare che il verbum è il solo punto di recupero principale, come diceva Mons. Giulio Tarra al Congresso di Milano del 1880, è chimera!

Riletto oggi il «Crimen est» di  Girolamo Cardano, che aveva un figlio sordo, si comprende meglio che, il dramma dei sordi, non è tanto la sordità in sé stessa, ma l’analfabetismo che alberga (anche) tra chi  si è proposto a guidarli, e c’è anche chi (pare) sia riuscito a farsi eleggere, restando impavido con la sua ignoranza. E ora che fa? Semplicemente si affida all’interprete. Cosicché costei finisce per acconsentire ad un’azione che non le compete.  Sia chi aiuta sia chi è aiutato è gente dappoco, ignorante (un ignorare proveniente  dalla scarsa alfabetizzazione e di valori etici). Sono sordi - possiamo dire - che si celano dietro la sordità (badate bene!) per nascondere, appunto, la proprio ignoranza, affidando ad altri gli interventi ’spinosi’ o/e che sono di loro competenza con programmi specifici e progetti e, soprattutto, scrivendo in una comprensibile lingua italiana, nel nostro caso, o segnando in LIS. Molti sordi di oggi, in posseso di titoli di scuola secondaria, confrontati con coloro che hanno ottenuto lo stesso titolo 30-40 anni fa, non reggono il paragone tanto sono indietro perché il ragionamento - sia in lingua dei segni che in lingua italiana - è talvolta confuso e scoraggiante… 

Signor Ministro Profumo, siamo in un circolo vizioso. Ha  riflettuto sulla formazione   per i nostri docenti? Lei afferma, come le sue precedenti colleghe, che la specializzazione è «per il sostegno». Molto bene, abbiamo un docente di «sostego», ma se dovessi sottopormi ad un intervento chirurgico io esigo, e credo anche lei, chiedere il chirurgo specifico.

Ecco che noi sordi auspichiamo che emerga né l’homo udensl’homo signum ma  l’homo intelligens nelle potenzialità di esprimersi nelle modalità da lui scelte, in considerazione del fatto che è all’altezza di esercitare una critica costruttiva, di comunicare (far comune) in modo che chi lo ascolti o lo veda dica: questo soggetto è idoneo per governarci. I sordi devono imparare a rispettarsi a vicenda nelle proprie responsabilità: e non strepitare contro qualcuno che la pensa diversamente. La critica è sacrosanta, tanto di più deve avvenire nei sordi perché, limitati talvolta nel dibatito e nel confronto, devono «crescere» proprio negli scambi di idee e comparazione di programmi. Questo confronto, questa elementare visione, diciamolo pure, è imprescindibile da un’ottima istruzione. Se non siamo abbastanza ‘presenti’ come eravamo  qualche tempo fa - artefici e sicuri del nostro essere noi ad affrontare le Istituzioni - significa carenza di delegati, il non andare di passo con la  cultura e la formazione continua del notro tempo.

ELUDERE E’ CONTRO LA CIVILTA’

Dicembre 25th, 2011

La persona  «portatrice di handicap» (orribile definizione, ma consueta fra la gente d’oggi) è stata spesso, troppo spesso, elusa nei suoi sacrosanti diritti. Siamo nell’anno 1983, e sebbene si facciano cosiddette ‘battaglie civili’, che talvolta si fondono su false questioni, o interessi di parteggiatori politici, in Italia si fa molta fatica a fornire ai disabili la dignità di una vita sociale (…). Devono continuamente insistere nella richiesta del poco che ottengono dallo Stato. Umiliazione che deve cessare! Perché è contraria alla coscienza civile. Sino a quando una società, cosiddetta normale, eluderà i problemi reali delle persone disabili, frenerà sempre le potenzialità di progresso civile e democratico del suo popolo «normale». La democrazia inizia quando si fornisce, anche al disabile, le chances di partecipazione.  Da  «Il Sordudente», anno III,  n. 2 (1983)

CUORE DI PORTO RECANATI

Dicembre 21st, 2011

Ascolto il battito di Geo.
Sempre sei stata, o terra
affine al mio corpo dialogo
teso nei sogni di queste colline
da cui ogni giorno sono generato
nel volto dei mezzadri che ricordo.
 

(Oh! le mie Marche di vergari e tabaccoli,
gente robusta con mani callose
il cuore generoso; ancora mi parlano
nell’idioma del passato
nelle sere che calano sul mare)
 

Sono andato nell’ultimo volo
per imitare il gabbiano sfiorante l’onde.
sulla spalla ho la croce del debole.
 

Mi sono dato ai fratelli del Silenzio.
Volato oltre i Sibillini, oltre
il Cònero per fondermi nell’arcobaleno.
 

La mia storia la sussurro al vento
che soffia per le vie della mia Porto.
A me non è dato ascolto se non che
nelle labbra che muovono rapide parole.
 

Nemico talvolta a me stesso, sui libri
indago la verità per sperare consenso.

LO SCREENING PER I BAMBINI SORDI

Dicembre 18th, 2011

Il diritto alla salute, che consiste anche nella possibilità di utilizzare tutti i sensi, è il principio che guida la democrazia sociosanitaria. Tuttavia questo traguardo non è ancora raggiunto (alla fine del 2011) in tutte le regioni italiane, per quanto riguarda lo screening. Sette sono le  regioni che, con una normativa, impegnano il settore sanitario a valutare le condizioni d’udito del neonato. Sono le Marche, la Toscana, l’Emilia-Romagna, la Sardegna, la Campania, la Liguria e la Lombardia. Ogni anno i bambini che nascono con sordità profonda sono circa 1.100. Lo screening audiologico è fondamentale per approfondire le cause di un’eventuale sordità, e quindi per un buon recupero della potenzialità uditiva; infine ci vogliono i centri audiologici con personale qualificato. C’è, nel nostro paese, un’incuria ingiustificata sull’accertamento della sanità di un senso fondamentale come l’udito che governa la relazione del piccolo sia con i familiari - la madre in primis - sia con l’ambiente. Ogni ritardo è una colpa che va evitato.�

MACHIAVELLI E… LA SITUAZIONE DEI SORDI (Dal «Diario» del 22 luglio 1972)

Dicembre 9th, 2011

I Gesuiti hanno accusato per anni e anni Machiavelli di empietà emarginando le sue opere tra quelle “proibite“. Il Principe fu “un’opera scaturita dagli inferi“ secondo gli eminenti teologi del secolo XVII. Perché? Semplicemente perché temevano che l’intelletto laico si destasse e togliesse loro gli innumerevoli benefici sociali e l’autorità sul popolino. Ripetere che la religione cattolica ha frenato la presa di coscienza della libertà intellettuale, è superfluo confermarlo. Ugualmente oggi  taluni sordi  dell’ENS si comportano verso i simili in modo machiavellico  nel momento in cui alcuni di loro stanno lottando per raggiungere l’indipendenza dagli udenti, infiltratisi nell’associazione ENS per lucrare  probabilmente ogni mese un puntuale stipendio. Sino a quando gli udenti sono nell’ENS - e continueranno a tessere sottobanco accordi con i poteri di governo, e le fazioni di partito, che è un male di tutti gli enti parastatali (l’ENS, quando  scrivevo questi appunti, era un ente parastatale, NdA) - i sordi resteranno esclusi, ineducati e senza rispetto di un codice etico. Se vogliamo il bene dei nostri fratelli silenziosi dobbiamo dar loro veri educatori e non pseudoinsegnanti. E’ nostro dovere di protagonisti, intellettualmente più pronti, venire in aiuto ai compagni di sventura perché prendano coscienza della loro condizione sociale. Cerchiamo di riflettere su queste parole più che sulle loro orecchie chiuse da sottoporre all’otochirurgia.

SORDITA’ E IGNORANZA

Dicembre 7th, 2011

Recentemente un quotidiano riportava le riflessioni dell’ex-ministro della P.I., prof. Tullio De Mauro il quale, rispondendo ad un giornalista, affermava che il 70% della gente  non sa intraprendere un discorso verbale efficace, meno ancora per iscritto quando deve destreggiarsi con le regole grammaticali. Ci sono sordi e ipoacusici ignoranti considerato che, i processi di apprendimento, avvengono soprattutto utilizzando il canale acustico-verbale, che è chiuso nel sordo, oppure per iscritto, tramite la lettura e la scrittura. E’ notorio che la lingua italiana per il sordo è ostica, in particolare nell’utilizzazione di un sistema narrativo appropriato.

Si può affermare che essere ignorante, per il sordo, diviene una colpa quando, non potendo confrontarsi con i sordi colti o avvantaggiati dagli studi superiori o accademici, egli si fa sedurre dall’ambizione di voler governare i simili, con la superbia di gesticolargli «ho vinto io!». «i sordi mi hanno votato!», «io sono il capo!». Poi, nel momento in cui si trova davanti all’ostacolo, chiamato a decidere la scelta di un programma eccetera, delega agli udenti, a chi gli scodinzola attorno. E’ l’ignoranza imperante di taluni sordi a bloccare il progresso dei sordi! L’offesa di costoro è tanto più grande quanto più è dettata dalla superbia! Se la Scuola avesse meno indulgenza verso i sordi, e iniziasse a bocciarli per scarso profitto, ci sarebbe maggiore selezione tra i loro rappresentanti, giovando alla comunità dei sordi.   �

I DOCENTI VANNO RISPETTATI NELLA LORO PROFESSIONALITA’

Dicembre 5th, 2011

Credo che non ci sia un docente di sostegno (definizione poco efficace per indicare un lavoro professionale) che insegni ai sordi che non voglia il bene  del suo alunno o  studente. Questo “bene” è inteso come capacità di condurre l’alunno, che gli è stato affidato, a comunicare per iscritto in un buon italiano, vale a dire farsi comprendere da chi utilizza la lingua del paese.

Nella scuola secondaria di 1° e  2°  si affida il cosiddetto sostegno ad un docente che sostene (sic!) tutti gli alunni di  diverse tipicità di disabilità in tutte le materie. L’importante è essere il più alto in graduatoria, cioè avere l’incarico!  Ma vedendola  con attenzione critica dovremmo  dire che siamo di fronte ad un  docente  eccezionale però, che merita  onori e plauso perché, per tale incombenza, è un  geniale programmatore didattico e di  comunicazione, a meno che non si voglia prendere in giro il soggetto e  i suoi genitori.

Ma chi ha una minima esperienza di didattica con gli alunni sordi e ipoacusici – passi per la scuola dell’infanzia e primaria – sa  benissimo che  i docenti che  si occupano  di  studenti sordi necessitano di programmi appropriati che vanno ‘calati’ nei processi psicocognitivi dell’alunno sordo co cui operano.

Evidentemente il MIUR (cfr  Scuola di Silenzio, Lettera ad una Ministro (e dintorni), Armando, Roma 2006) non ha  “esperti” all’altezza di comprendere che la didattica insegnata - sfruttando il  canale visuomanuale - richiede docenti capaci di sviluppare un processo afferente per il quale implica il docente a  conoscere in modo approdondito la materia insegnata. Questa ha nome professionalità, che dovrebbe obbligare il MIUR a riconoscerla al docene. Se questo avvenisse farebbe di  lui un vero esperto, un competente nel settore specifico di quell’istruzione! Il Ministero si guarda di agire così, ripiegando sul sostegno generico e così imbroglia. E’ il pressappochismo italico la catastrofe dell’Italia della mananta d’istruzione dei sordi e degli ipoacusici! Il dramma inizia qui: è  l’invisibilità di incompetenti che lo stato non vuole formare “perché costa troppo”, o perché pochissime Università hanno il coraggio di incarichare insegnamenti  efficaci per i reali bisogni  dell’istruzione dei sordi.

GLI INSEGNANTI DI SOSTEGNO

Ottobre 26th, 2011

Quel che stupisce  è il  fatto che, nel nostro Paese, non si vogliono formare  docenti  specializzati, ovvero ad hoc.  Si sono predisposti (e in parte sono ancora attivi) programmi per i corsi  di formazione nelle Facoltà di Scienze della Formazione sia per la scuola dell’Infanzia che Primaria; talune Università hanno organizzato anche corsi per la  Scuola secondaria di 1° e 2°, con ottimi risultati anche con docenti “protaonisti”, vale a dire in possesso di titoli accademici e loro stessi  disabili  di quella minorazione sensoriale (o sordità o  cecità). Ma il governo ha di nuovo mescolato le  carte probabilmente perché respinge i protagonisti. La formazione per la scuola secondaria è stata affidata, che io sappia, attualmente ad un Istituto Statale per sordi di Roma “A. Magarotto” (Convitto di Scuola per sordi). Così che vuole specializzarsi deve recarsi a Roma. Si potrà immaginare che tipologia di formazione, considerato che l’attestato è, anche in questa  scuola specializzata, generico. C’è qualcuno  che  è  contento, dice: almeno i docenti apprenderanno a segnare in LIS. Vi invito a ridere o a piangere, secondo le emozioni prevalenti. Io mi vergogno, non tanto per chi “insegnerà in questi corsi”, ma soprattutto per la professionalità che ne sortirà, ossia quasi nulla nella  programmazione  didattica, nello studio dei processi di apprendimento e  nella conoscenza metodologica e psicolinguistica (cfr Scuola di Silenzio, Lettera ad una Ministro (e dintorni), Armando, Roma 2005) Per la reale formazione occorrono docenti che possono o devono essere  forniti dalle Università in possesso di solidi studi  generali di quella diciplina che, grazie a  specifiche ricerche sulla disabilità specifica, ne sortiscono validdissimi docenti disciplinari, intendo affermare, con ciò,  nel  sapere insegnare le materie, in particolare per la scuola secondaria di 1° e 2°; invece tutto aggrumato nella definizione implicita di «docente di sostegno». Ma per  chi? per quale settore specifico? Non si chiarisce mai per quale settore il docente cosiddetto di sostegno, per la scuola secondaria ripeto (!), viene preparato/specializzato, perché se  fosse  esplicito, di fatto si confesserebbe la   «specializzazione»: e la specializzazione induce  il MIUR a tenerne conto  nel contratto dei docenti, pagandoli di più.  Il discorso alla fine resta nel cantuccio del generico  termine di «insegnante di sostegno» perché non si vuole pagare la professionalità. Questa è la vera vergogna della scuola statale nel nostro Paese in cui si invita al processo di inclusione, ma che invece…  «Scrivendo dl piccolo sordo, ignorato nelle sue esigenze nella scuola pubblica, mi sono reso conto delle manchevolezze della scuola nel mio Paese. (…). La scuola dovrebbe cambiare via via che cambia la società. Ma cambiare anche gli insegnanti! Ahimé, è proprio qui il fallimento del rinnovamento scolastico: i docenti che restano allo status quo nel momento in cui la scuola cambia.» (op. cit. 94-95) Sino a quando non avremo docenti effettivamente formati a seconda della specifcità della disabilità reteremo al mero sostegno e le risorse  gettate al vento.

MUTA ELOQUENZA

Settembre 23rd, 2011

Spesso capita a scuola che scolari o studenti si suggeriscono durante le interrogzioni - con gesti manualii e/o labiobuccali, per il fine di rispondere a domande del docente - nomi, città, date o quanto altro in quel momentoo non ricordano.  Indico questo agire come “ginnastica cognitiva delle dita”. E’ raro trovare uno studente che non abbia sperimentato l’esperienza. G. Bonifacio, ne L’arte dei cenni, Vicenza 1616, afferma che il parlare in silenzio è il più nobile modo di farsi intendere,  lamentando che non gli risultava che qualcuno avesse trattato l’argomento, «benché gli antichi avessero più maniere di manifestare occultamente, e furtivamente i loro pensieri… ». Platone afferma che Socrate amava dialogare con i discepoli che la vista e l’udito hanno qualche verità per gli uomini perché - come ammettono i poeti - raramente siamo in grado di vedere e di udire di preciso. Ora la “muta eloquentia” può riferirsi alla dattilologia, dal greco dactilos (dito) e logos (parola): e consiste nell’abilità di riprodurre, con le dita della mano, le lettere dell’alfabeto.  La dattilologia non è na lingua, bade bene, ma un supporto, possiamo affermare un “metodo”. E’ naturale che ciascuno di noi, come afferma Bernard Mottez, preferisca «comunicare con la lingua più congeniale piuttosto con quella degli altri. Ci si sente meno handicappati. Ciò è ancora più vero per i sordi. Sebbene siano diverse le lingue parlate hanno in comune fra di loro l’utilizzi di suoni. Esse sono  fatte per e ssere udite. le differenti lingue dei segni sono eclusivamente visive. Tutto ciò che è emesso è integralmente percepito.» (cfr Mottez B., Paris 1981).   Il sordo è ancora più svantaggiato non poter utilizzare una lingua non sua. Ce ne avvediamo nell’imposizione della lingua verbale, che è sempre uno sforzo, non compensato dalla gratificazione di udirsi la pronuuncia corretta. Comunicare con i segni vocali è come tentare di mettersi un vestito senza individuarne la taglia. Un analfabeta che si appropria di un idioma parlato da poche migliaia di persone potrà essere capito e/o interpretato da chi lo ascolta rispetto al sordo di nascita il quale, pur  parlando a voce, potrà risultare monotono e «senza anima nell’espressività verbale». Perchè i codici sono memorizzati per labiolettura (movimenti labiali) o la scrittura, il tutto per  via del canale visivo, vale a dire carenti dell’imprinting emozionale. Quando qualche udente afferma, nei confronti di qualche sordo, che “sta parlando come un libro stampato”, dimostra scarse conoscenze psicolinguistiche sui sordi, non considerando che è la scrittura la loro fonte principale di memorizzazione delle parole. La letttura è l’esercizio principale per accedere all’altra lingua perché favorirà l’apprendimento dei vocaboli con cui il sordo “nutre” il dialogo quando parla con gli udenti. Ma c’è poca solidarietà nei suoi confronti nello sforzo quotidiano di resistere linguisticamente  in un mondo che lo percepisce, nell’utilizzazione della lingua, come se fosse straniero. Non viene compreso nella difficoltà di modellarsi  sul codice verbale di maggioranza perché è, appunto, “sordo” nell’accento e nell’intelligibilità del codice verbale.

La ‘forza’ di una lingua è di solito mnifestata dal numero delle persone che la parlano, dai gruppi culturali e scienfiici che la adottano negli scambi. Per secoli - nel nostro caso - la comunità udente ha sopraffatto l’evoluzione della lingua dei segni.  Le ultime ricerche, condotte anche da sodi, hanno individuato che l’ostracismo alla lingua dei segni che, per oltre un secolo e mezzo lasciate fuori dalle aule scolastiche, è dipeso da due motivi: l’uno dalle difficoltà dei docenti udenti di modificare il pensiero radicale di percepire ed elaborare la cultura su presupposti verbali, non riuscendo di fatto a trovare un procedimento didattico e una metodologia fondato su un processo psicovisivo; l’altro è il timore che la diffusione dell’informazione e della cultura in lingua dei segni provocherebbe, come in tutte le comunità, la selezione di leaders tra gli stessi sordi, sospingendoli ad azioni critiche verso i dirigenti delle Istituzioni e degli stessi dirigenti udenti. Non favorirli nella loro lingua dei segni - studiata come lingua! - vuol dire bloccarli nell’evoluzione di una cultura propria, non considerandoli  «come comunità», imponendo loro il coattismo linguistico, ossia la lingua verbale della maggioranza! Questo è stato molto bene espresso da H. Lane (cfr H. Lane, La chiave è la lingua, in «Il Sordudente», n. 5/6, 1989, pp. 1-3.

Il rifiuto della lingua dei segni è sociale e sociologico e andrà avanti sino a quando i sordi dei Paesi più avanzati non prenderanno in mano il proprio destino  decidendo come voler essere.

Nel testo (cfr R. Pigliacampo, Parole nel movimento. Psicolinguistica del sordo, Armando, Roma 2009.) abbiamo studiato  e comparato lo sviluppo della lingua verbale e la lingua dei segni, rispettivamente nel bambino udente e nel bambino sordo. Ma quando si parla di lingua dei segni ai genitori udenti è come dir loro di confemare la sordità nel figlio. Parlare di una lingua che si evolve  per mezzo dei processi psicocognitivi visivi e cinestetici, è gettarli nel panico, letteralmente. A parte che non ne hanno esperienza nei processi di sviluppo, con difficoltà di frequentare corsi specializzati e confrontarsi con soggetti sordi di buona cultura linguistica sia verbale che segnica, vivono nel dubbio d’essere genitori capaci.

Oggi la scolarità degli ipoacusici e dei sordi avviene nella scuola di tutti «insieme ai coetanei». E’ un bene sul piano dei diritti sanciti dalla Costituzione. Ma la professionalità dei docenti, necessaria per l’istruzione di  questi scolari o/e studenti, dove è? Io credo sia restata nell’antesala del Ministro di turno (cfr Scuola di Silenzio, Lettera ad una Ministro (e dintorni), Armando, Roma 2006. C’è un vuoto di formazione e di professionalità, nel nostro Paese, che allarma perché di pretende il bambino, con problema d’udito, di ascoltare anche riicorrrendo all’ I.C. che, pur essendo utile talvolta,  raramente permetterà di ascoltare con la tonalità che è caratteristica di un udito sano.

Allora che facciamo del bambino sordo che ogni giorno cerca la sua lingua non sapendo quale essa sia? Il bambino che ode sa di appartenere alla comunità del «bagno sonoro» (J. Piaget), sperimentato nell’adattamento della forma mentis già prima di nascere nel liquido amniotico. E il piccolo sordo? Nei primi anni  di vita il piccolo è bombardato di seguire un programma di (ri)abilitazione, per lo più proposto da personale che  pretende la guarigione per un tornaconto anche economico: le professioni, gli ordini professionali hanno questo obiettivo. Per  questo motivo, sin dall’inizio, si evita che il bambino sordo apprenda la lingua dei segni. La madre  si solito e i genitori e familiri non conoscono questa lingua visuomanuale e, di fatto, la nega. Così negano una cultura, un processo psicocognitivo  di  nuovi orizzonti che nulla hanno di relativo, ma un’ampia chance di accedere  a quello status psicofisico fondamentale per esser contentento di sé e accettarsi(Cfr  R. Pigliacampo, 2009).

Ogni sordo cerca la sua lingua. Dov’è? Egli letteralmente la “vede” nelle mani dell’interlocutore. B. Mottez (1981) afferma che, i sordi, quando comunicano a segni fra di loro ad esere “handicapati” sono gli udenti.

La domanda che ci poniamo è: la dattilologia è utile al bambino per comunicare (a parte la LIS)?

La dattilologia  (da dattilo, dito e logia discorso, studio) su alcuni  vocabolari (per es. il Palazzi edizione 1939) è descritta «arte di conversare con le dita, mediante segni convenzionali corrispondenti alle lettere dell’alfabeto». L’estensore della ‘voce’ non era un esperto. Non è «arte di conversare con le dita», bensì un processo di apprendiento che implica costanza e maestria. Le dita della mano o delle mani originano la configurazione. Facciamo una comparazione esplicita: una consonante  e una vocale  orignano un fonema; due dita o più dta posizionate in un certo modo compongono un cisema o cinesema. Una lettera  del nostro albabero, come la C, può essere formata con una o più dita, o solamente con l’indice e il pollice. E’ evidente che le configurazioni composte con quantità di dita differenti,  cambiando  il luogo  originano differenti movimenti e, di fatto,  diversi significati.

E poi, mentre si ’segna’, è  bene coordinare il segno con l’espressività del volto. Un ottimo segnante è pure un ottimo attore. Un esempio: «vai», «vai?», «vai!». Qui si rileva  fondamentale l’espresività per  la domanda o l’ordine. Il docente specializzato favorirà la strutturazione dell’acquisizione della lingua utilizzando anche la dattilologia. (cfr R. Pigliacampo, op. cit.): Bisogna chiarire ai profani che la dattilologia non ha  una grammatica, è solo  il tentativo digitale di imitare le lettere dell’albafeto per rendere esplicito un nome o ciò che vogliamo che l’interlocutore conosca graficamente.

Evidente che la dattilologia conduce l’attenzione sulla mano. Leroi-Gourhan, (pp. 45-47, 1997) fa notare che la mano è molto efficiente, segue i comandi cerebrali disposti dall’emisfero destro, sede della motilità, mentre l’emisfero sinistro identifica il «segno» da scegliere sia verbale che motorio per esprimere il concetto o l’idea. Nel piccolo sordo e/o ipoacusico è male bloccare o frenare l’interazione cervello-mano perché inibirà i procesi dello sviluppo cognitivo. Il neuropsicologo  Oliver Sacks (1990) ha messo in evidenza l’errore di  insegnanti e logopedisti quando sconsigliano o impediscono al bambino l’apprendimento della lingua di segni o la frequentazione dei simili. O. Sacks (op. cit. 1990) ammette che la relazione mano—cervello induce ad analizzare la relazione comunicativa del bambino con l’adulto su  aspetti antropologici e non solo psicolinguistici, enza questo approfondimento ci sarà difficile capire che «c’è» nei segni, nella motilità rapida delle mani. Abbiamo  scritto che la mano è il primo strumento di relazione, il medium con l’anima, il ponte reale con l’interlocutore: e grazie allla sua specializzazione e alla capacità di compiere migliaia di movimenti diventa essa sessa privilegiata dal sistema nervoso centrale,  dunque dalla mente creatrice. (Cfr Parole nel movimento, cap. V).