Potenzialità del bambino sordo nello sviluppo intrinseco al suo silenzio

Maggio 7th, 2012

 (7.05.2012) La principale questione di un pedagogista, che si occupa di bambini con problemi uditivi, non è né dovrebbe esere gareggiare con un collega che ha fama d’essere «bravo», bensì studiare quanto più potrà il bambino cosiddetto «normale», per trarne idea, alla fine, che il bambino per il quale opera od ha in carico è «più normale» del coetaneo che persegue il modello, abusato, d’uguaglianza agli udenti. Pertanto è suo dovere valorizzare e/o rendere accogliente, da parte dei genitori e di tutta la comunità, quel che è dedotto «meno» e che, al contrario, è qualcosa di straordinario nei processi di apprendimento e di sviluppo delle potenzialità psicocognitive diversificate.

E’ una riflessione che consiglio agli operatori in crisi del proprio lavoro, ai docenti che notano lacune didattiche nell’alunno, ai genitori che lamentano scarsa iniziativa autonoma di comunicazione verbale (…). Dobbiamo  renderci conto, dubitare insomma, che il bambino disabile nasconde valori che, perlopiù, non siamo sufficientemente preparati per inoltrarci nelle aree visive e cinesiche. Focalizzando meglio la problematica dobbiamo dire: il bambino sordo o ipoacusico è migliore del coetaneo psittacistico perché è originale (L.S. Vygotskij, 1936). Siamo noi pedagogisti e psicologi a non analizzare l’esperienza dello sviluppo psicolinguistico e cognitivo su schemi positivi! Allora perché  insistere modellando il bambino ipoacusico sul coetaneo udente se siamo ignoranti per conoscere le sue potenzialità  sperimentate/vissute nel Silenzio?

La democrazia di Don Giorgio

Aprile 9th, 2012

Don Giorgio Zaghi, evidente dalle sue interviste ai quotidiani, non ha pensato che Dio accoglie alla sua mensa solo tutti gli intelligenti  che sappiano bene  interpretare che l’osta è carne trasfigurata ma anche gli ‘altri’ che non hanno un sostegno teologo o mentale per “capire”; considerando che il parroco della chiesa dell’Immacolata Concezione, a Porto Garibaldi, nel Comacchio, ha escluso dalla prima  comunione un ragazzo con deficit intellettivo che «non distingue il pane dall’ostia». Questo giudizio dimostra, ancora una volta, una limitata carenza della conoscenza psicointellettiva e sociale delle persone con deficit di ogni genere.

Un tempo i “sordomuti”, come venivano indicati, pensavano che non fossero in grado di accedere all’astrazione. Infatti, le brave suorine, antesegnane delle logopedite d’oggi, delle «scuole speciali» passavano ore ed ore ad “insegnare a parlare ai sordomuti”. Il motivo dipendeva dal fatto che, quando gli stessi si confessavano, il prete doveva decodificarne  le parole, altrimenti non potevano assolverli. Pertanto era priorità che i sordi imparassero a parlare bene, per assicurarsi il Paradiso! Battaglia primaria del fondatore dell’oralismo italiano: Mons. Giulio Tarra. Per decenni, nel nostro paese, si scordò di considerare i processi mentali dei sordi per la forma tout-court.

Si può obiettare, al parroco di Porto Garibaldi che, ai tempi della Messa in latino,  decine e decine di vecchine, davano risposte psittacistiche (a pappagallo), senza conoscere un’acca delle parole latine pronunciate.

Nelle quetione religiose ci vuole buon senso!

Qual è la riflessione che traiamo da questo evento di cronaca di un ecclesiastico? Che l’Italia non ha, nelle sue  istutizioni, comprese quelle religiose, persone qualificate per entrare nella mente e nel cuore  dei soggetti problematici. C’è necessità di personale qualificato che sortisca dai corsi specifici. Lo Stato italiano, i comuni, non intervengono perché la formazione costa.

Una neo emarginazione di persone sta comparendo attorno a noi. E senza i servizi idonei la democrazia non sarà mai tale!

Il voto: da «Trota» a…

Aprile 9th, 2012

La gente dice: «Tutti i politici sono ladri e imbroglioni!». E’ stufa. Non crede più alla politica. Non la sopporta. Ebbene, se mettiamo da parte la politica del voto soggettivo, ci sono due alternative: l’anarchia e la dittatura.

La prima si riferisce alla mancanza di governo, cioè un popolo che non ha più autorità per essere arbitro tra gli antagonisti politici. Un esempio esplicativo: Rosso, Bianco, Verde eccetera. Ma gli antagonisti non sono solo tra i partiti; ci sono antagonisti economici e sociali. Si crea, di fatto, uno Stato di confusione.

La seconda si riferisce al Governo assoluto, che può essere monocratico o collegiale. Quando è assoluto governa/comanda una sola pesona. Si pensi al Re Sole che urla: «Lo Stato sono io!» Ma la dittatura, nel corso della storia, si è appoggiata ad un Gruppo o comunità. Ecco che abbiamo la «dittatura del proletariato», vale a dire degli operai e dei contadini. La definizione compare con Marx. Significa che le classi lavoratrici degli operai e dei contadini si arrogano il diritto di reggere lo Stato, privando dalla direzione le vecchie classi sfruttatrici: la borghesia e la nobiltà. La dittatura del proletariato fu forte dal 1917 (v. Lenin) e negli anni susseguenti nelle Repubbliche russe.

Sono flash indicativi per farsi un’idea. Oggi non soggiaciamo a dittatura ma ad un intricato governo «costruito» a tavolino (v. tecnici) a seconda delle momentanee necessità socioeconomiche. Sono governi di emergenza.

E’ un Governo democratico? Un popolo, per essere libero, è artefice di scelta di persone che vuole inviare a governare. Si possono fare parecchi esempi di questa nostra comunità plurale. I leader dei partiti moderni sono chiamati a scegliere, con intelligenza ed equilibrio etico, i rappresentanti capaci. Spesso vigilano poco su questo, o sono distratti, oppure - per i contributi statali che il partito riceve - distolgono i fondi e/o si «sporcano le mani». La democrazia, vano ricordarlo, significa governo del popolo e, alla fine, finisce (quasi) sempre per  divenire «governo di parte», di interessi di una comunità ristretta o di un gruppo parentale/amicale al potere, talvolta di affaristi e/o imbroglioni.

Ecco sortire, dalla tombola delle elezioni, politiche e amministrative locali un… Trota (soprannome del figlio di Bossi, ex-segretario del Carroccio), di una Menniti (igienista di Berlusconi imposta nel Consiglio della Lombardia) e tanti altri eletti dappoco che conosciamo dalla cronaca di ogni giorno, per il loro malaffare amministrativo nel panorama politico del notro Paese.

Allora che fare? A mio parere bisogna votare «diverso». Che vuol dire? Dare opportunità a candidati che, sino ad oggi, sono stati esclusi o non sufficientemente considerati. Vero che ci sono partiti che li presentano in Lista, ma essi stessi, ne hanno perplessità perché ne temono il diverso modo di far politica, col timore di non poterli gestire. La disabilità, presente in certi candidati - per taluni segretari di partito - è considerata trasgressione, con difficoltà di conciliare la comunità elettrice normale e la ristretta comunità dei disabili che necessita bisogni speciali. Tutti i Partiti temono una rivoluzione del nuovo che ha genesi proprio da elementi equilibrati che valutano la propria «diversità» come chances in più per migliorare la comunità per tutti.

PARTECIPAZIONE LIMITATA

Marzo 26th, 2012

Ricorderà il primo governo  Berlusconi che, ogni qualche giorno, compariva, sulle TV di Stato, una propaganda alludendo ad una questione, che sfociava con la didascalia «Fatto!». Uomo mediatico sapeva come vendere la mercanzia ad un popolo telepatico, con una mente limitata al un ragionamento politico. Adesso, col governo Monti,  c’è chi  dice: «Visto, ha fatto in qualche mese quel che, governi di destra e di sinistra, non sono riusciti a compiere per anni!»
Nel nostro paese c’è uno smisurato desiderio di amore per il potere fine a se stesso. Se fate una ricerca  nel Parlamento italiano, verificherete che oltre il 70% dei parlamentari ha avuto in famiglia un genitore o un parente che, in un modo o l’altro, ha svolto politica elettiva (in comune, provincia, regione o e nelle stesse Camere….). Ne sortisce che, la politica, è  un’azione esclusivamente di interessi personali. Non sorprende più di tanto. Ma stupisce tuttavia per i nuovi elettori italiani, o  quando  gli stessi fanno un paragone con i politici di altri Paesi europei. Di solito qualche poeta, di rado, entra in politica con l’illusione e la tipica ingenuità dei poeti che le loro forti emozioni, sollevate nella mega aula denominata «parlamento», ovverossia del bla-bla, possa condurre ad un convincimento concreto, con una legge,  di progresso sociale e di un idoneo welfare chi  li sta ascoltando. Mi sono messo a ridere (o a piangere?) nel costatare che gli stessi parlamentari dell’Idv, al Senato hanno votato positiva la  legge per l’approvazione della Lingua dei segni italiana, alla Camera, la medesima legge, in Commissione è stata bocciata, dopo che tutti avevano orecchiato sermoni di rappresentanti di lobby, facendomi dedurre che si valuta sempre una «parte», ma nel nostro caso, considerato che la disabilità è così democratica che non si veste di colori di partito, a vincere sono i furbastri   che tessono per impedire e sconfiggere qualcuno. Nietzsche disse una bestemmia ammettendo che, i poeti, non hanno pudore delle proprie esperienze, le sfruttano. Vorrei sfruttare la mia disabilità uditiva per dare a tutti un’eventualità di partecipazione. Come avviene per i sordi di alcuni Paesi dell’EU. La realtà è differente in Italia. La chiamata, come ho scritto tante volte, c’è allo scopo di aderire in quel momento. Credo che ogni partito sarà effettivamente democratico quando riconoscerà, non solo alcuni diritti individuali, ma come  afferma il filosofo Norberto Bobbio, anche quelli sociali, altrimenti è una democrazia dimezzata. Il fatto che qualche leader alla fine se ne accorga, non giustifica il poco che si fa nei partiti per la «partecipazione». 

I sordi, Machiavelli e gli udenti furbastri…

Marzo 23rd, 2012

Riflessioni profetiche scritte 40 anni fa (13.07.1972)

I Gesuiti hanno accusato per anni e anni Machiavelli di empietà, emarginando le sue opere tra le “proibite“. Il Principe fu “un’opera scaturita dagli inferi“ a dire degli eminenti teologi del XVII secolo. Perché? Semplicemente perché temevano che l’intelletto laico si destasse e togliesse loro gli innumerevoli benefici sociali e l’autorità sul popolino. Ripetere che la religione cattolica ha frenato la presa di coscienza della libertà intellettuale è superfluo confermarlo. Ugualmente oggi i sordi si comportano come tanti Machiavelli che stanno lottando per raggiungere l’indipendenza dagli udenti infiltratisi nella loro associazione ENS per lucrare ogni mese un puntuale stipendio. Sino a quando gli udenti sono nell’ENS e continueranno a tessere sottobanco accordi col potere governativo, e le fazioni di partito, che è un male di tutti gli enti parastatali (l’ENS, quando  scrivevo questi appunti, era un ente parastatale, NdA) i sordi resteranno esclusi, ineducati. Se vogliamo il bene dei nostri fratelli silenziosi dobbiamo dar loro veri educatori e non pseudoinsegnanti. E’ nostro dovere di protagonisti intellettualmente più pronti venire in aiuto ai compagni di sventura perché prendano coscienza della loro condizione sociale. Cerchiamo di riflettere su queste parole più che sulle loro orecchie chiuse.
 

PROPORSI COME REALTA’ COSTRUTTIVA PER VALUTARE IL «SILENZIO»

Marzo 20th, 2012

Ciascuno di noi, nel momento in cui attraversa un periodo di patos, eleva la classica frase: «Voglio cambiare il mondo!»  Ma nessuno, come affermano parecchi filosofi, pensa di cambiare se stesso. Il motivo è semplice: per cambiare dobbiamo sempre rischiare di persona, vale a dire rimetterci in gioco. Di solito rimaniamo esclusivamente marionette che si esercitano nelle dichiarazioni, o nel semplice esercizio loquelico. «Cambiare» ci impone, per primi, all’esercizio intellettuale e filosofico di un’etica morale di   scelte  profonde che ci muti da cima a fondo! Oggi, la comunità in genere, ha intrapreso la via del solo «sentire», o del solo «pettegolare», chiacchiera enfatica che, ieri, veniva  adottata dalle comari del rione o del vicinato. Oggi, la parola, è merce e, come tale, sfoggia gli strumenti di mercato (vedi la diffusione dei DVD, il copyright che ne deriva su ogni medium che fa girare l’idea-prodotto culturale…). Qualche opera potrà essere un prodotto culturale, qualche altra no, restando solo pattume. Siamo allora al mero  sentire: voce spenta che non diverrà mai parola.
 

Pensando alla parola/logopedica, alla voce del bambino con problemi d’udito che, la logopedista, si adopera con tenacia a rendere comprensibile, ci avvicina alla speranza di ogni madre di bambino sordo, ed è ovvio che sia sacrosanta attesa, questo auspicio, di accedere alla loquela da parte dei genitori! Ma se non avverrà - questo processo di apprendimento -  secondo   gli stadi di sviluppo del bambino,  tanti progetti dei genitori, e della madre in particolare, naufragheranno. Allora si pensa all’impianto cocleare. Può essere utile e/o no. Talvolta il piccolo ‘impiantato’ resta solo col tipico di sentire senza approfondire ciò che “ode”, un pappagallismo appunto per accontentare parenti o/e amici d’occasione affinché i genitori possano dire che, il bambino, è «normale». I genitori riflettano su questo perché altrimenti l’impianto cocleare diverrà un esercizio che interesserà esclusivamente un gruppo   considerato al solo fine di sradicare la sordità, senza considerarne il «valore». Sì, mi riferisco ai valori del Silenzio. Noi sordi o ipoacusici dobbiamo insegnare a considerare il positivo presente nel Silenzio, soprattutto in una società, come quella di oggi, dove niuno più ascolta perché è saturo, piegando esclusivamente sul «sentire»,  in cui - gli elementi della parola - restano in superficie. I bambini hanno necessità di ascoltare il Silenzio che deve essergli presentato dagli psicologi e pedagogisti sordi. L’ENS, se esiste o si propone su questi Progetti, dovrebbe essere in prima fila a proporsi nei Programmi.�
 

«IL LATTE DELLA VITA»

Marzo 2nd, 2012

Il 12 dicembre 1938, su proposta del Ministro di Grazia e  Giustizia, On. Arrigo Solmi, fu approvato, dal consiglio dei ministri, un decreto legge che metteva fine all’ostracismo dei «sordomuti analfabeti» i quali, nell’articolo 340 del vecchio “codice Rocco”,  erano condannati a non fruire in toto dei diritti civili, cioè non poter ereditare i patrimoni dai genitori o da altri cespiti familiari o, per esempio, sposarsi e così via; insomma erano «interdetti»!

Sono trascorsi quasi 80 anni, ebbene una percentuale di sordi italiani (non più chiamati “sordomuti”, dopo l’approvazione della legge 20 febbraio 2006, n. 95, che vieta questa definizione) è mercé nelle mani di lobbisti. Ogni qualvolta che la legge sulla lingua dei segni italiana sta per essere riconosciuta, ecco sortire gruppi di (ri)abilitazione connessi con la sordità, intromettendosi e sollecitando persino piccole associazioni di sordi e dei loro familiari a prendere drasticamente posizione contro la maggioranza dei “segnanti”. E’ una storia che si ripete, in questi ultimi vent’anni, portandoci a domande radicali. Come mai questa resistenza è fortemente attiva nel nostro Paese? Perché questo guazzabuglio anti-LIS è presente quando l’ENS, in un modo o l’altro, appare debole o incapace con i propri rappresentanti elettivi?

Ci sono due fondamenti sui quali riflettere: il primo fa riferimento all’ignoranza di fondo su «che cos’è la lingua», considerandola in senso generale. Il secondo sulla praticabilità di accogliere (e insegnare!) questa lingua nella comunità di tutti, cioè nelle aule scolastiche della scuola dell’obbligo. Il fatto che, tale lingua, abbia avuto l’imprimatur di studiosi del calibro di Noam Chomsky, per non citare altri insigni linguisti o filosofi del linguaggio, significa che la società ne ha paura. Perché? Lo abbiamo scritto nei nostri testi (cfr. R. Pigliacampo, 2009) perché, approvando lo Stato la lingua dei segni, deve riconsiderare  in toto le strutture della società e, principalmente, delle istituzioni dello Stato. Quando la precedente Presidente dell’ENS (massima associazione dei sordi d’Italia) era riuscita a fare approvare dalla I Commissione del Senato la proponenda legge sulla LIS, poi abortita dalla VII Commissione della Camera dei Deputati, aveva compiuto una grande rivoluzione socioculturale che, solo gli ignoranti e i pressappochisti, non avevano capito o, in malafede, restavano miopi o, come detto, legati alla coda dei lobbisti egoisti.

E’ in questo momento che una lingua si salva nel venire al mondo! E chi può farla vivere se non chi la utilizzi? Ecco allora l’imbroglio degli uomini sciocchi e degli psittacisti udenti, ma anche sordi, alla litania che non è lingua, che i sordi sono restati alla mimica, che la società non la conosce che che….

Siamo nel 2012 e che io sappia, solo l’Università statale «Ca’ Foscari» di Venezia, ha una cattedra per l’insegnamento della LIS con un programma di «lingua». In altre Facoltà d’Italia, di solito in quelle di Scienze della Formazione Primaria, sono attivati Laboratori linguistici estendendo l’azione didattica a meri Moduli di Lingua e linguaggio per non udenti, a uso dei futuri docenti di sotegno… dei sordi o ipoacusici!

C’è una mancanza di volontà e di coraggio del governo? Credo in parte sì. Ma davanti alla Commissione del Senato, Ida Collu, riuscì a scagliare altrove il masso di Sisifo che ostacolava la realtà dei sordi d’essere protagonisti nella lingua! In Italia ci sono sordi con titoli accademici e professionali che possono ribattere punto per punto ai denigratori della lingua dei segni. Sono capaci di programmare un processo d’insegnamento psicolinguistico idoneo ad aprire la mente verso la polisensorialità dei processi dello sviluppo psicocognitivo e linguistico. Non si dà loro fiducia: e soprattutto perché il potere è kofos. Incredibile tuttavia che il ministro dell’istruzione Profumo non lo abbia ancora intuito! E un mondo iperinformato come l’attuale «dove una teoria dei mutamenti culturali non è possibile senza la conoscenza dei mutamenti di rapporti tra i sensi provocati dalle tecnologie» scrive Marshall McLuhan, fa pensare che, senza l’apporto esperienzale dei sordi o degli ipoacusici, che sviluppano apprendimenti socioculturali su canali percettivi diversificati, non avverrà mai il processo gratificante auspicato per i docenti che insegnano ai sordi né i sordi stessi e i loro genitori comprenderanno che la sordità si sconfigge con  un’ottima scolarizzazione. Resta sempre vivo e ammonitore il giudizio del sacerdote Luigi Vischi, precettore di Giacomo Carbonieri, psicologo antesignano del secolo XVIII: «la cultura è il latte della vita del sordo». E i primi a capirlo siano loro stessi! Ma io mi domando, al limite: sono in possesso, oggi, i sordi del ‘latte della vita’?

GIUSTIFICAZIONE DEGLI INSUCCESSI NELL’ISTRUZIONE DEI SORDI…

Febbraio 29th, 2012

(22.08.2004) Per giustificare spesso l’insuccesso d’istruire i sordi gli insegnanti affermano, nel venire a conoscenza dei buoni risultati riportati da un collega, che  lo scolaro esaminato non fa testo perché «sente bene»; con questo ammettono che, il successo scolastico di un sordo, dipenda esclusivamente dai residui uditivi - dalla percezione - piuttosto che dalle capacità del docente di ricercare un metodo appropriato e un’efficace comunicazione con l’alunno per spiegargli bene le conoscenze e indirizzarlo nel processo di critica.

L’IPOCRISIA DELLA FALSA INCLUSIONE

Febbraio 23rd, 2012

La VII Commissione (Cultura, Scienze e Istruzione) della Camera era chiamata ad esaminare il nuovo testo della proposta di legge C. 4207, recante: «Disposizioni per la promozione della piena partecipazione delle persone sorde alla vita collettiva e riconoscimento della Lingua dei Segni Italiana». Testo unificato delle innumerevoli leggi  proposte sulla LIS, licenziato dalla Commissione permanente del Senato approvato durante il Governo Berlusconi, ma il 16 febbraio 2012 ha avuto  il «parere contrario» dalla VII Commissione della Camera dei Deputati. La Commissione ha rigettato con un  comunicato indolente, mostrando ignoranza esplicita sull’argomento,    disattenzione per bambini e adulti privi dell’udito e difficoltà di linguaggio verbale, sposando  proposte di (ri)abitazione alla carlona, non pensando che – la loquela – è azione di processi psicomotori   dipendenti a solleciti cognitivi nell’utilizzo di uno «strumento»  di comunicazione. Linguisti del calibro di Noam Chomsky, del nostro Tullio De Mauro, ex-ministro dell’Istruzione che, pur riconoscendola «lingua» vera e propria, non è riuscito a imporla materia d’insegnamento facoltativo nella Scuola… L’ipocrisia del verbale della Commissione è massima quando afferma di ottemperare «grande attenzione e cautela» (sic), come dire che, “segnare” con le mani sarebbe come se, i bambini o gli scolari siano loro sordi o udenti, maneggiassero coltelli!. Sorgono, a questo punto, interrogativi vasti: legislativi e procedurali sull’approvazione di  una legge in Italia.  Intuisco il risibile del lettore! Ma al Senato l’Idv, grazie ai senatori guidati da Belisario, che stimo, licenziò positivamente la legge (!), vuol dire che il nostro ADP – come tanti notano ogni anno all’assemblea di Vasto dell’Idv portando, chi scrive, innumerevoli sordi, ivi convenuti nella loro invisibile disabilità, felici di comprendere ed essere attivi, grazie all’interprete di LIS – ha deputati capaci, o almeno quelli della Commissione VII della Camera, bravi solo, che io sappia, ad alzare la  manina per adeguarsi alla maggioranza. Come studioso di tematiche sociolinguistiche, che valuta e rispetta la «lingua», soprattutto la lingua che stimola i processi di apprendimento, non può sottacere che taluni dei ‘nostri’ non abbiano contrastato la maggioranza (almeno è evidente dal verbale della Commissione presieduta dalla vicepresidente Di Centa). Vorrei che si riflettesse sulla considerazione di Wittgenstein: «Non parlare mai di una cosa che non conosci.» Il fatto di cestinare la pdl 4207, rinviando la soluzione dei problemi dei disabili sensoriali, coprendola con una spolverina ipocrita di cipria, dicendo di difendere una presunta “inclusione”, affermo, al contrario, con Don Lorenzo Milani, Priore della scuola speciale   per contadinelli di Barbiana, nel Mugello, che «è la lingua che fa eguali», ovviamente  si riferiva alla lingua italiana, la capacità di saperla utilizzare per iscritto e parlato; io la penso allo stesso modo, aggiungendo che è nella comunicazione, anche nelle mie o le altrui mani, che riconosco l’intelligenza del mio interlocutore e gli indirizzo la mia!    
 

SEGNARE AMORE

Febbraio 20th, 2012

Quando mi spoglio ai giorni
nello stimolo risposta
d’infanzia sonora vissuta a valle
aperta a vita, al narrare al canto,
mi accorgo abbarbicarmi al segno.
Cinestetica mano ara parole sul corpo
in spazi cognitivi consentiti.
La gente mira l’imago-movimento e
la mente disistima l’uomo verbum.

Stasera capisco l’abuso violenza
dell’uomo cianciante. Nullità.
Sul litorale alla necessaria flebile luce
osservo motilità di labbra di donna e
le mie mani che le segnano amore.