I pubblici ufficiali devono aggiornarsi…

Agosto 8th, 2012

Le parole prodotte dall’esercizio ginnico dell’apparato fonico-labiale e respiratorio sono convincenti per chi ha l’esperienza di «sentire», senza l’abitudine di voler «riflettere», realtà consueta nelle persone «udenti».  Quando l’udente parla, come qualsiasi altra persona… che parla  appunto (!), svolge una tipica azione cinetica, e chi ha la fortuna d’essere intonato, talvolta è un  ottimo persuasore per attrarre nella trappola gli ingenui, i cosiddetti creduloni. Se l’energia e la capacità di persuadere sono efficacii anche nell’interlocutore sordo, l’udente - non riuscendo più a dominarlo - si irrira o si adombra, tanto che  talvolta osa aggridirlo dicendogli “tu taci!”, “stai al tuo posto!” e così via. Il povero  sordo è umiliato per tale reazione! Ciò confessa che, nel nostro paese, l’educazione civica della gente è quasi zero, con  carenze gravi anche nelle persone che hanno il ruolo di pubblici ufficiali.

La tenacia di Renato Pigliacampo esorcizzerà il Silenzio

Luglio 17th, 2012

«I ’sovrumani silenzi’ dell’indimenticato e indimenticabile L’Infinito di Giacomo Leopardi rappresentano lo sfondo, il paesaggio, l’habitat e, starei per dire, il liquido amniotico in cui prende corpo e vita, si nutre, fiorisce ed emerge a tutto tondo il poièn di Renato Pigliacampo ne L’albero di rami senza vento. Del grande recanatese, cantore dell’anima e dell’impescrutabile parabola esistenziale, Pigliacampo idealmente raccoglie il testimone per farsi a sua volta, come l’inimitabile conterraneo, infaticabile e tenace cercatore di risposte atte a dare senso e misura al faticoso “mestiere” del vivere. Un’ideale staffetta, dunque, che dà continuità e ritmo al viaggio verso il centro dell’insondabile e del mistero. Certo, si tratta di una scommessa estrema, di una sfida che sembra (è?…) puro azzardo, un’impresa di strenua, finanche eroica battaglia, con preannunciato retrogusto di sconfitta. Sono numerosi e ricorrenti i motivi che rimandano all’autore dei “Canti”: oltre alla parola-simbolo di questa simbiosi, ovvero il “silenzio”, anche il “nulla eterno”, la morte, l’illusione, la luna, la solitudine, il mal d’amore, le promesse, la natura, il ricordo, il mistero, il disinganno, la speranza…  Si tratta, certo, di stilemi comuni dalla poesia di ogni luogo e di ogni tempo, ma nella poesia di Pigliacampo questi tratti distintivi vengono reiterati con precisi e intenzionali rimandi, quasi “chiamati” con nome e cognome, rievocati e rivisitati con amorevole e deferente omaggio per uno  spirito di cui l’autore si sente come una sorta di reincarnazione, un “apostolo” di “quella” parola, di “quella” poetica.

Le fasi che contraddistinguono la struttura della silloge prendono l’avvio col il volo dalla natìa Bagnolo di Recanati «oltre gli Appennini verso Roma l’infinito» (Nel mio cuore l’amore); quindi, dopo l’entusiastica parentesi del fervore amoroso, il Nostro subisce la progressiva inarrestabile “deriva” verso il disincanto, la disillusione, il tormento, per finire nella rassegnazione e nella rsa, ma con improvvise fiammate di rivolta. Si profila, così, una exit-strategy dall’aggrovigliata fatica del vivere attraverso un recupero di luoghi, degli affetti, del tempo perduto; luoghi e affetti e tempo rivisitati in una luce nuova, la luce del rimpianto e della memoria, il ritorno alle origini, alla buona terra, alle “colline di Recanati”, ai “sodi” della contrada Bagnolo di Recanati, dove lo «tabaccolo e il nonno vergaro», insieme all’ “imberbe” nipote, perpetuavano la faticosa civiltà contadina col duro faticoso lavoro de campi.

Dapprima, dunque, l’eros e lo stordimento sentimentale, la breve stagione del fuoco e della passione amorosa: «Sei come le colline delle Marche/…/ Sodi sono i tuoi seni,/ sinuose le tue forme» (- Senza titolo -) sembra di ritrovare, in questi versi, il Neruda del “Canto General”, che peralto il poeta omaggia inserendo, in esergo alla silloge, i versi del Canto XXIV).

E’ la fase vissuta con l’intensità e l’entusiasmo della vertigine erotica e dell’abandono; il sogno che dispiega tutta la sua malia, un campo appassionato e libero che cancella il  dubbio, spegne l’inquietudine, accende voli: «Tu artefice del ritrovato canto./ Sei la musa » (My world, my love). Ma presto l’incantesimo svanisce, si compie il sortilegio, irrompono solitudine e silenzio: «Cessò improvviso l’ascolto del canto/ …/  / Tutto è ammutolito./ Mai più ascolterò il mare./ Ho fagocitato i sogni: / non ti rincorrerò/ avvedendomi pur loro traditori/ illudendo i giorni di gioventù» (Spento il canto). La pena del poeta non ha sponde, tutto diviene dolente memoria d’amore, rifiuto, felicità negata. Anche lui deve bere l’assenzio del tradimento e dell’abbandono, proprio come il “Genio” (una sorta di vite parallele) che, ne  “La sera de dì di  festa”,  si macera al chiaro di luna per un amore che non ha corrispondenze.

Nella seconda fase, cadute le illusioni, il poeta si rifugia nella salvifica dimensione della fede e dell’Assoluto; qui, finalmente, il limite della grave disabilità dell’udito può essere azzerato. Per corrispondere col Padre non c’è bisogno dei segni e della gestualità delle mani. Finalmente il poeta può interrogare, chiedere, comunicare, rispondere, stabilire un rapporto “alla pari”, liberato del limite che così drammaticamente ha segnato la distanza tra lui e la società, spesso indifferente, o addirittura ostile e chiusa alla sua richiesta di “ascolto” non solo per sé, ma soprattutto per coloro i quali questo limite rappresenta una barriera insormontabile: « Sapevo che sarebbero scese le tenebre/ dei giorni e della vita (…)/ … / Arrivato il tempo della resa. / Le mani immote ai segni. / L’uomo coraggioso di me/ non più naviga quiete acque./ Elevo il grido di dolore, Padre/ perché rinnovi la promessa di fede» (Sostentamento di fede). Si tratta di una dimensione che comporta una ricerca paziente e sofferta, con la consapevolezza di avere accumuato un debito pesante come “peccatore incallito”, ma che non dispera: «Quando arriverà l’ora, Padre/ saprò staccarmi dai limiti;// non negarmi un cantuccio di cielo» (Preghiera di misericordia).

Ma talvolta il peso della solitudine e dell’abbandono è così insopportabile che la richiesta di comprensione e di perdono cede il passo alla rivendicazione e alla rivolta, tanto da sfiorare il limite del sacrilegio e della blasfemia: «Nel mio esistere a volte sono così solo che/ la stessa solitudine impaura (…)/  / …;/ solo col bagliore di lacrime/ che scorrono sulle gote per gli errori/ accumulati e i no ricevuti// pure da te Signore» (Solitudine). Ma la solitudine compagna di tante battaglie vinte, è stata anche lei tradita dalla leggerezza e dalla presunzione del poeta,  «sciocco farfallone incosciente./ Giusto il tuo abbandono./ L’inferno si sconta in vita.» L’inferno in vita. Il rinvio al celebre verso di Ungaretti, “la morte si sconta vivendo”, rappresenta l’omaggio deferente e riconoscente ad un poeta che ha segnato il Novecento col suo impegno poetico per un’umanità liberta dalla violenza e dalla guerra).

Nella terza fase della silloge, “Memorandum di luoghi e di persone”, Renato Pigliacampo compie il rito del ritorno, un “Nostos” in cui rivivono gli affetti familiari, il canto per una terra amata oltre ogni immaginazione, «Luogo d’infanzia  mio proprio -,/ vitale e caro; elevando gli occhi/ il cuore ammaliato di te./ Chi sei?//» (Le Marche al plurale regione/ ch’espande miei proibiti sogni/ (…)// A te mi dono perché tutto è qui;/ fuggiasco mai, restato all’Avemaria» (Con delicatezza messo in eterno sonno). E’ questa la confessione di un amore sconfinato e di un sacro rispetto per il luogo in cui il poeta ha piantato le radici dell’anima, il “Topos” per eccellenza, punto definitivo di approdo, che restituisce la serenità tanto cercata nel suo peregrinare oltre quelle contrade che conservano le memorie più care, i segreti e le epifanie dell’infanzia. Qui il poeta esprime chiara la speranza di ritrovare pace e serenità: «La solitudine mi sarà meno penosa/ dormendo nel solco già dissodato» negli indementicati anni della fanciullezza insieme alle figure dello zio e del nonno, custode amorevoli di quel nipote “imberbe” che con loro santificava il lavoro dei campi. Netta esplode anche la rivendicazione di un’appartenenza e di un possesso di cui altri vorrebbero privarlo, «Già di me hanno sentenziato/ lo sfratto dal borgo selvaggio di mare;/ sulla carta traccio indelebile messaggio/ per i figli e nipoti generazioni future» (ibid.)

Il cerchio dunque si chiude, il viaggio volge al termine, ma non si arrende il poeta, che ancora conduce con determinazione la sua lotta in favore dei compagni a lui accomunati da una drammatica condizione  esistenziale. Ancora è vivo il martirio per un destino avvero: «E’ stato difficile girovagare/ per la penisola con questo Silenzio./ Implosive grida per l’anima assetata», e ancora senza risposta è la domanda relativa al mistero, al senso dl vivere, al fine dell’umana avventura: «Corpo, siamo passati./ Geo ci assista per l’eternità/ nel groviglio metamorfico venire/ forse ancora in questa contrada?» (Preghiera per Geo).

Sembra l’abbandono di ogni illusione, la consapevolezza di una solitudine cosmica che non riceve segnali, che non trovo ascolto non solo presso gli umani, ma neppure preso il Verbum. Nel consuntivo finale prevale un disperato sconforto, l’ironica amarezza per l’oblio incomprensibile, quasi un ostracismo, cui lo condanna la “sua” terra: «Non c’è più nessuno a cercarmi/ … / scordato dalla mia Porto dopo il guaio/ cui per vent’anni ho donato il Canto./ Gente comune, d’idiomatico linguaggio/ ho sollevato all’attenzione d’Italia./ Solo ora piegato a guardare le onde/ scopro che la vita discende al fine» (L’ultimo giro).

Ancora e sempre il silenzio, dunque, “risponde” al poeta, certifica la fine delle illusioni, marca la distanza siderale tra la realtà e il sogno, cala definitivamente il sipario su ogni spiraglio di speranza e di luce: «L’albero di ami senza vento/ su foglie essiccate nel muto orto/ stasera chiude la storia.» (L’albero di rami senza vento).

E’ resa totale? Sembra di sì.  Ne prendiamo atto, anche se sappiamo che la tenacia di Renato Pigliacampo ha risorse inesaudibili. Siamo certi che l’orgoglioso, indomabile, camusiano “Uomo in rivolta” che alberga in lui troverà ancora il coraggio e la forza per tornare (proprio lui che la natura ha beffardamente privato del suono e della musica) a “gridare” la parola, ad indicare la rotta, a trovare, per mezzo di un poièn luminoso, le risposte a lungo cercate e ad esorcizzare il silenzio.

Umberto Vicaretti, vincitore del XXII Premio di poesia “Città di Porto Recanati”, recensione del volume, L’albero di rami senza vento,  Luco dei Marsi, L’Aquila.

 

Le emozioni dei sordi

Luglio 16th, 2012

(21.01.1997) La maggior parte delle persone - compresi i docenti specializzati e chi opera per nel mondo del Silenzio - dimentica che noi sordi abbiamo emozioni: e siamo coinvolti nell’ansia quando, accanto agli udenti,  che siano coetanei o meno, non capiamo il loro interloquire… Ansia che si accresce, nei soggetti di scarsa scolarizzazione, in panico o di reale rifiuto dell’udente. Quante giovani sorde mi hanno comunicato, dopo una delusione d’amore con un ragazzo udente, che mai più avrebbero avuto storie con un udente (sic). A questo punto dobbiamo affermare che i sentimenti dei sordi sono poco rispettati e approfonditi per il raggiungimento di uno sviluppo equilibrato.

Come si vince la sordità….

Giugno 25th, 2012

(02.07.1981) La sordità sensoriale si vince con la cultura. E la cultura è una lenta acquisizione. Tanto più una persona sorda si istruisce quanto più riuscirà a comunicare i profondi pensieri, i propri desideri e le speranze. A che serve favorire il sordo con una buona voce se non riusciremo contemporaneamente a dargli una buona istruzione? Sarà quest’ultima a favorirlo  nella comunicazione. I sordi istruiti e colti possono esprimersi compiutamente. E’ vero, forse mancano di pathos che caratterizza, spesso, la vocalità sollecitante le emozioni, vale a dire quella ricchezza emotiva che è intrinseca all’ascolto della parola nei vivi toni, negli accenti, nelle interrogazioni ed esclamazioni, quel modus vivendi verbum insomma. Ma oggi sono attivi nuovi studi e ricerche sulla lingua dei segni, e verrà il giorno in cui…
   In conclusione vincere la sordità sensoriale è possibile con la cultura, perché solo la cultura vince e sconfigge la «sordità» del sordo, bloccando la genesi di quella spirituale.

SOCIETA’ E SORDITA’

Giugno 25th, 2012

(08.05.1980) La sordità è un gravissimo handicap che annulla o discrimina il rapporto sociale con i membri della comunità udente, oppure la altera. Cosicché questa menomazione sensoriale, presente nell’individuo, devia o modifica i processi dello sviluppo psichico, in rapporto allo standard di vita della comunità sonora. Inoltre l’individuo sordo mette a soqquadro le istituzioni nelle loro tradizioni, schemi prefissati, nei rapporti gerarchici, eccetera.
   Ancora: nella realtà di quanto avviene attorno al sordo, egli non sembra soggetto passivo, intendo dire che non subisce l’influenza altrui nelle scelte. Come spesso accade ad altri disabili. Il sordo è una persona che partecipa o vuole partecipare: è individuo attivo nella comunità. Ma la sua partecipazione in essa è culturalmente diversa, originale. Per questo spesso non è capito. E’ generoso quando non è richiesto esserlo; astioso quando tutti scherzano e ridono; avaro quando gli altri donano. Tutto ciò “dice“ un fatto essenziale: il sordo non sperimenta il condizionamento dei media. Mai non ne è dominato. Nella propria sfortuna esistenziale di vivere la disabilità resta libero: persona che “cresce“ e “cala“ secondo le proprie capacità e virtù. Egli resta padrone del proprio mondo.
   Se questo lo privilegia da una parte, dall’altra si rivela una tortura perché la società - questa società degli anni ‘80 - è a misura  di un individuo con sanità di udito. Chi non sente o non parla è tagliato fuori senza rimedio e possibilità d’appello. Ecco allora vanificarsi le ricchezze in  una forma di tensione, direi nevrosi, per una società vile ed egoista che, per lui, non fa niente.
   E quanto analizzato sopra ci convince che non amiamo il sordo (o non lo vogliamo comprendere) e, probabilmente, non lo capiremo mai. Perché non lo amiamo. Perché quando lo accostiamo lo facciamo con la presunzione di imporgli il nostro punto di vista, il nostro modo d’essere udenti! Per esempio: la lingua verbale, l’ideologia, la religione, l’hobby, l’idioma locale e così via. Lo “vediamo“ e “sentiamo“ solo come persona da strumentalizzare,  raramente da aiutare con idonee strutture e personale specializzato nella comunicazione per una condivisibile serena esistenza coi cosiddetti ‘normali’. Perciò succede che il sordo fugga da questa società sonora per vivere coi simili. Con essi si rilassa nella lingua dei segni. Sa che sperimentano il suo stesso modo di percepire il mondo; e questo lo fa contento, libero. Libertà tutta sua e, nello stesso tempo, degli altri uguali. Ecco che egli non deve integrarsi in una comunità che si dichiara normale, è  essa che deve inserirsi nella comunità dei disabili d’udito e della parola.
   In conclusione potranno essere riconsiderati significati come inserire, socializzare, scegliere, sapere, conoscere, lavorare, studiare, comunicare, per il fatto che saremo di fronte alla  “scelta“ drastica d’amare uno che non può essere come tu sei, che hai sempre visto dall’alto in basso, o dall’altra parte del fosso, e gli getti un aiuto perché venga da te solo quando ti fa comodo per quietare i rimorsi o gli irrazionali impulsi psicologici (talvolta) velati di solidarietà.
 

Condannato a tacere

Giugno 6th, 2012

Io non so più che cos’è vita

in questo sprofondar di letame

nel fondaco di un’Italia losca.

Questa palla la chiamano Geo e

gira dove pullula l’homo sapiens;

forse più preciso dire homo insapiens.

Il ripetersi psittacistico di parole

mi condanna a tacere ancora.

Dalla Silloge Penite animus, inedita.

POLITICA ELETTIVA E… SORDITA’

Maggio 15th, 2012

 

«Io non parteggio per nessuno.  Mi oppongo a chi sragiona» (Abate Galiani, Chieti 1728-Napoli 1787).
 

 
Nella Divina Commedia, Dante scrive: «Le leggi son, ma chi pon mano ad elle?» Con un solo verso, il sommo, ci dice che sì, le leggi ci sono, ma sono pochi coloro che le fanno rispettare o le trasformano in azioni per cittadini.


 Parlare di politica, secondo le necessità della popolazione disabile, ci conduce, di fatto, a prendere in considerazione la disabilità di chi svolge politica attiva.


 In questo intervento, dopo un excursus generale sulla politica, restringerò l’argomento prettamente sulla persona sorda o ipoacusica, che si propone “attore politico”, vale a dire sull’individuo che denuncia la pressione e gli impedimenti, culturali e psicologici, che ostacolano o limitano l’espletamento delle potenzialità psicointellettive  o l’evoluzione di una matura democrazia.
 

La Costituzione italiana dice…
 L’Italia ha subito l’esperienza dolorosa della dittaturaL’ex-capo dello Stato, Oscar Luigi Scàlfaro, che ha partecipato attivamente a scrivere la Carta, ha ammesso: «La Costituzione è forte.» Continuando poi, nell’intervista data al giornalista: «Lo Stato è la casa di tutti sulla quale nessuno può mettere il proprio marchio personale.» (cfr Corriere della sera del 4 febbraio 2008, p. 11). L’attuale Presidente della repubblica, Giorgio Napolitano, incalza (è): «Un grande quadro di riferimento unitario», «un patrimonio comune». La Costituzione italiana è ‘figlia’ della libertà. Ma non dice che ciascuno può fare ciò che gli pare. E’ ‘costruita’ (anche) sulla solidarietà per i meno fortunati, che non significa mantenere - vita natural durante – i perdigiorno. Oggi ci sono forze politiche che vorrebbero cambiare degli articoli della Costituzione. E’ pur vero che niente resta immutato perché la società continua il suo sviluppo socioculturale.

Ricordiamo che la Costituzione è la prima legge di un Paese, contiene tutti i suoi dati: e li caratterizza. Anni fa l’ex-capo dello Stato, Azeglio Campi, espresse l’idea, da molti condivisa: «Più che cambiata la Costituzione va rispettata.»

La Politica dunque ruota attorno alla Costituzione con cui si «veste» un Paese. La democrazia – come la intendiamo noi – ha origine dall’interpretazione delle regole che favoriscono o meno la partecipazione del cittadino.
 

Che cos’è la  ‘reale’  e ‘matura’ democrazia…
 La definizione «democrazia» lascia addébito a numerose interpretazioni. Molte volte chi la definisce agisce in modo opposto. Faccio un esempio. Mesi fa  (autunno 2010) è venuto in Italia, in visita ufficiale, il “dittatore” libico, Gheddafi. Tenne, sul tema «democrazia», una prolusione all’Università “La Sapienza” di Roma. Nella sostanza affermava che il compito del leader è… ascoltare tutti, poi agire come gli pare e… continuare ad essere e a fare il capo. Ma se in un Paese il leader non è stato scelto dal voto popolare, la democrazia è “ingessata”, non c’è ricambio. Ora ci sono Paesi antidemocratici: la Corea del Nord, per esempio, alcuni Paesi dell’ex-unione Sovietica, altri nel Continente africano e altri ancora nel Sud America…
 

La libertà è madre e figlia della democrazia. La domanda sulla quale portiamo l’attenzione e la riflessione è: come identificare l’uomo democratico, colui che può governarci senza rischi totalitari? Qui entriamo nel contesto dell’etica politica. E’ sufficiente convincersi di saper governare un Paese o un gruppo, come stiamo facendo, oppure ci sarà (forse) un metodo migliore? Spesso non basta la “buona volontà”, agire in “buona fede” per favorire lo sviluppo di processi democratici. La democrazia si coniuga con la libertà se chi la esercita ha una mente aperta alla cultura. La società di oggi non ha penuria di individui che sognano la democrazia, ma di politici colti - possiamo affermare di filosofi -  all’altezza di selezionare i propri collaboratori per coltivare, insieme alla gente, progetti di educazione democratica, dirigenti onesti nelle/delle Istituzioni. La complessità della società odierna chiama (e impone) al leader una selezione delle innumerevoli proposte che, l’esterno, vuota sul tavolo. Perché il politico scelga bene deve convincersi, egli stesso per primo, che la decisione presa sia utile e interessi tutti cittadini, non solo un gruppo di comodo, sarebbe fazioso, appunto “di parte/partito”, scelta umorale, talvolta degradante per la persona stessa che la compie. Ciò lo notiamo in alcuni Paesi di religione musulmana nei confronti della donna. Secondo Spinosa l’uomo deve svegliarsi dal sonno secolare per  pensare secondo le categorie della vita.
 

Il sordo è parte di una categoria?
 �
Chi ha problemi uditivi (mi riferisco ai sordi e agli ipoacusici, a me affini per la disabilità) deve compiere uno sforzo di evoluzione culturale, in modo da poter presentare - alla società di maggioranza - la propria vita del “fare”, dell’ “agire”, il suo essere insomma persona, secondo le Necessità. Se ciò non avverrà quanto prima, l’uomo sordo da res cogintas diverrà asinus turpissimus. Noi non possiamo permettere che la res publica (la cosa pubblica, lo Stato) venga governata o diretta esclusivamente da individui cosiddetti normali, per il semplice motivo – come nel nostro caso di persone sorde o ipoacusiche – che finiamo d’essere soggiogati da chi  ha la fortuna d’ascoltare le parole verbali e/o rispondere esclusivamente con le stesse, ossia il linguaggio verbale.

Tutta la storia dei sordi è stata gestita, sempre, dagli udenti, disponendo – e dispongono ancora oggi, anzi più di ieri! -  la loro idea di educazione linguistica, edificando il tutto secondo il proprio comodo, probabilmente perché si sono accorti che i sordi bene istruiti, colti, una volta che si siano seduti al tavolo del «pasto acquisitivo»1 potrebbero estrometterli dal comando.2 Molti udenti battono la grancassa affermando che i sordi hanno bisogno di loro per manifestare le necessità alle istituzioni, nelle quali essi governano!   

Rovesciare il problema, per risolverlo: un Paese per tutti
 Nel 1981 si celebrò a Roma la Conferenza internazionale sulla sordità, organizzata dalla Federazione Internazionale dei Sordi. La delegazione ufficiale, guidata dal segretario generale, Dr Cesare Magarotto e dal presidente Dr Drago Vinkotic, fu ricevuta dal Santo Padre Giovanni Paolo II, il quale pronunciò le profetiche parole, nel rispondere al ringraziamento del Dr Cesare Magarotto, ovvero disse il Papa: «…il vostro settore è quanto mai emblematico, tipico della preclusione a quella possibilità di vicendevole comunione, che è una delle massime qualifiche della persona umana. Ecco perché promuovere l’abilitazione e la riabilitazione sociale e umana dei sordi è un aspetto particolarmente encomiabile e benemerito dell’interessamento al prossimo (…). Spontaneo ricordare la lode rivolta a Gesù dalle folle di Palestina: “Ha fatto bene ogni cosa; fa udire i sordi e fa parlare i muti” (Marco, 7,37) (cfr L’Osservatore romano del 30 giugno 1981, pp. 1-2). Giovanni Paolo II aveva il dono di andare oltre, rispettando la persona. Noi sordi dobbiamo prendere atto di taluni insegnamenti per proporre i valori, non ovviamente quelli professati dalle «veline» o «meteorine»» o, peggio, dalle «escort» oggi tanto in voga, ma quelli del «Progetto dell’uomo solidale» che ricerca un modus vivendi per tutti  i cittadini, una verità, anche escatologica e utopistica, in uno  Stato bene organizzato. Perché il nemico della democrazia non è la dittatura, ma quel che conduce ad essa! I peggiori nemici della democrazia sono i cittadini apatici, l’indifferenza della gente alle regole, l’ignoranza, la superbia, l’invidia e il farsi manipolare dai marpioni (…). Socrate fu acerrimo critico della classe politica perché sottoponeva, chi auspicava raggiungere il potere, di esercitare il dialogo e, soprattutto, di dubitare sulle proprie capacità. Oggi costatiamo che sono pochi gli intellettuali che sanno professare una politica di opposizione. “Vendersi” al capo del governo, o stare al suo gioco, è meno faticoso che sfidarlo: e se lo stesso Premier governa i più importanti massmedia del Paese diventa molto difficile contrastarne il potere.

Ecco che la ragione è insufficiente per contrastare chi possiede capitali ed ha  supremazia sui media. L’Italia odierna non educa né favorisce i cittadini nello sviluppo democratico, per lo più assistiamo ad esercizi di demagogia, a retorica su tutto e tutti. Siamo spettatori di presunte verità “preparate” a tavolino per nuocere il concorrente o di emozioni astutamente manipolate dal potere (cfr il terremoto in Abruzzo).
 

Il nostro destino politico di sordi in questa societ�
 Quando Cicerone vede decadere Roma imperiale se la prende con Catilina. Celeberrime le parole: «Fino a quando, Catilina, abuserai della nostra pazienza?» Demos infatti va inteso come totalità della popolazione, non come una parte (i poveri contrapposti ai ricchi). Noi sordi dobbiamo costituire una «comunità politica» che spieghi alla società di maggioranza la predisposizione di progetti per garantirci l’uguaglianza dei servizi. Noi siamo chiamati, nel/col nostro Ente, a programmare questi servizi differenti per partecipare alla gestione pubblica. Alcuni partiti di Stati europei hanno capito ciò ed hanno appoggiato, nelle loro Liste, l’elezione di parlamentari sordi o ipoacusici. L’Italia, a parte in qualche piccolo comune, i sordi non hanno voce nei partiti. La domanda spontanea che sorge è perché? Possiamo supporre che la gente comune non ci conosce abbastanza. Parliamo speso di lingua di segni, di identità e cultura sorda, ma in via di massima alla gran parte della gente sfugge a cosa ci riferiamo. Molti di noi sono a conoscenza che il leader politico della Lega Nord, Bossi, vuole introdurre nella scuola il dialetto. Ora, il discorso del boom politico della Lega, è (anche) etnolinguistico e culturale. I dirigenti hanno intuito che è il linguaggio a condizionare il pensiero. Per i dirigenti come Bossi è elementare affermare: parliamo padano per influenzare il pensiero a tutt’Italia! Noi sordi lottiamo da decenni per far riconoscere la LIS dal parlamento. Io e Pedrali, membri della Consulta del MIUR, troviamo continue resistenze perché la LIS entri nelle scuole italiane. Il governo ha intuito che, aprendo alla nostra proposta, avverrà una rivoluzione - non solo linguistica ma soprattutto culturale - ancor più efficace dell’introduzione del dialetto padano! Noi Deaf siamo rivoluzionari perché obblighiamo la maggioranza ad interrogarsi. Il no dei partiti, al sostegno dei candidati sordi, è negazione alla completa democrazia. I partiti dovrebbero essere i primi a rinnovarsi, nelle strutture e nel personale, affinché la democrazia effettivamente possa maturare! Se ciò non avviene è evidente che, i leader, non si prendono cura di tutti i cittadini, la democrazia è zoppa.
 

E allora?
 

Le vicende degli educatori sordi ed insegnanti  – Basso, Minoja, Carbonieri – che in passato hanno subito, nelle istituzioni scolastiche incomprensioni,  nell’accoglienza della lingua visuomanuale protrattesi sino ad oggi, devono finire. Se vogliamo far politica, partecipando attivamente alle elezioni, dobbiamo alimentare, con proposte concrete, come partecipare «noi» nel gruppo delle persone udenti. Se un partito accoglie un sordo nelle sue file ha il dovere di fornirgli strutture e personale per metterlo nella condizione di partecipare attivamente e non essere solo un mero strumento di portatore d’acqua per sospingere i candidati udenti! Noi sordi possiamo anche pensare ad una scelta politica tutta nostra, se i partiti ufficiali continueranno ad ignorarci. Possiamo creare un Movimento nazionale, guidato dai nostri elementi più agguerriti. Ma siamo consci che l’astuzia dei dirigenti dei partiti – come è successo in passato – finirà per spezzare l’unità dei sordi in politica: e ancora una volta, caduti nella trappola, resteremo con un pugno di mosche in mano. Qualcuno di voi mi ricorda che i nostri simili dei paesi del Belgio, dell’Austria, della Repubblica ceca eccetera sono riusciti a “farsi ascoltare” dai leaders dei partiti dei propri Paesi. Ne sono a conoscenza, e ammeto che hanno avuto più fortuna di noi, trattando con politici che professano veramente valori solidali e democratici. Secondo il giornalista-scrittore Indro Montanelli, le caratteristiche del buon politico è “la consapevolezza dei propri mezzi”, cioè compiere scelte valutando se, politicamente, conviene o no, anche per il raggiungimento di  “una giusta causa”.


 Nel concludere questa relazione sono convinto che la democrazia possa essere misurata nella capacità dei partiti di rendere partecipi tutti quei cittadini che stanno sulla .

Il grande scrittore argentino, Borges, ammetteva che di politica – per vivere tranquillo – se ne era occupato il meno possibile. Noi non possiamo farlo. Siamo chiamati in prima fila, specialmente in questo periodo difficile, quando astuti manipolatori della verità, tramite massmedia verbali e scritti, creano opportunistiche o false necessità per persone che non ne hanno bisogno. Riconosco che la democrazia, secondo la felice espressione del filosofo inglese Bertrand. Russell, è stata inventata come strumento per conciliare il potere con la libertà. Oggi, nel nostro Paese, i sordi non sono liberi perché il «carcere» è già insito nella loro disabilità sensoriale. Pertanto hanno bisogno, più che mai, di utilizzare  le potenzialità   psicointellettive dei propri elementi migliori del «gruppo del Silenzio» per incidere sui due rami del parlamento, sull’evoluzione democratica.
Voglio concludere – e ciascuno di voi collegherà l’opinione secondo le proprie esperienze e conoscenze – con definizioni che mi sono rimaste impresse dalle mie letture politiche:
«Tutti i governi sono guidati dai bugiardi.» (Isidor F. Stone, giornalista statunitense).


 «La tragedia delle democrazie moderne è che non sono ancora riuscite a realizzare la democrazia. (J. Maritain, filosofo cattolico francese).


 «La pazienza dei popoli è la mangiatoia dei tiranni.» (Emilio De Marchi, scrittore).


 «La vera prova della democrazia sta nel rispetto per l’opinione della minoranza.» (Ellery Sedgwic, giornalista del Jersey Journal).


 «Il governo è il governo del popolo e opera del popolo.» (J.J. Rousseau, filosofo svizzero, famoso per il libro Il contratto sociale).
 

Note
1 Con riferimento ai sordi bene istruiti che, appropriatisi dei processi socioculturali della società di maggioranza, possono anche   sostituirli al potere, anzi  capaci di migliorarne la gestione.
2 Fa testo la protesta dei sordi dell’Università “Gallaudet” di Waushington , allorché sostennero, a parità di titoli, l’elezione a rettore di un sordo che sapeva dialogare direttamente con loro in lingua dei segni americana (l’Aslan), piuttosto che ricorrere   all’interprete come soleva fare il precedente rettore.
 

Scaletta e sunti della relazione
  *Nella Divina Commedia cè un v. di Dante che fa  riflette. Il divino poeta annuncia: : «Le leggi son, ma chi pon mano ad elle
  * La Costituzione italiana e i  presidenti: Scàlfaro-Ciampi-Napolitano
Scàlfaro: «Lo Stato è la casa di tutti sulla quale nessuno può mettere il proprio marchio personale.»
Ciampi: «Più che cambiata la Costituzione va rispettata».�
Napolitano: «Un grande quadro di riferimento unitario»; «un patrimonio comune»
 

*  La reale e matura democrazia.
*  Il sordo è  (parte) di una categoria?
* Rivedere il processo politico dal punto di vista solidale. “Ha fatto bene ogni cosa; fa udire i sordi e fa parlare i muti” (Marco, 7,37)
*  Il nostro destino politico di sordi in questa società.
 *Se vogliamo fare politica partecipando alle elezioni dobbiamo alimentare, con proposte concrete, come partecipare noi nel gruppo delle persone udenti. Se un partito iscrive un sordo nelle sue file ha il dovere di fornirgli strutture e personale per metterlo in una situazione di partecipazione attiva, non essere solo un mero strumento di portatori d’acqua, per sospingere gli udenti. Noi sordi possiamo anche pensare ad una scelta politica tutta nostra se i partiti ufficiali continueranno ad ignorarci. Possiamo creare un Movimento nazionale, guidato dai nostri elementi più agguerriti. Ma siamo consci che l’astuzia dei dirigenti dei partiti – come è successo in passato – finirà per spezzare l’unità dei sordi in politica: e ancora una volta caduti nella trappola, resteremo con un pugno di mosche in mano. Qualcuno di voi mi ricorda che i nostri simili dei paesi del Belgio, della Grecia dell’Austria, della Repubblica ceca ci sono riusciti a “farsi ascoltare” dai leaders dei partiti dei loro Paesi.

·        «Tutti i governi sono guidati dai bugiardi.» (Isidor F. Stone, giornalista statunitense).
·        «La tragedia delle democrazie moderne è che non sono ancora riuscite a realizzare la democrazia. (J. Maritain, filosofo cattolico francese).
·        «La pazienza dei popoli è la mangiatoia dei tiranni.» (Emilio De Marchi, scrittore).
·        «La vera prova della democrazia sta nel rispetto per l’opinione della minoranza.» (Ellery Sedgwic, giornalista del Jersey Journal).
·        «Il governo è il governo del popolo e opera del popolo.» (J.J. Rousseau, filosofo svizzero, noto per il libro Il contratto sociale).
 

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1 Con riferimento sociologico della conoscenza di problematiche che li riguardano direttamente (cfr Renato Pigliacampo, Lo Stato e la diversità, Armando, Roma  1983).
2 Fa testo la protesta dei sordi dell’Università americana “Gallaudet” nei confronti del rettore udente, sostenendo la scelta, a pari titoli ma capace di dialogare con gli studenti nella lingua dei segni  (l’Aslan), il candidato sordo.

IL CORPO DIALOGANTE

Maggio 12th, 2012

(16.01991)  Dal 29 luglio al 3 agosto dell’anno scorso, ho partecipato ad un congresso internazionale sull’istruzione ed educazione dei sordi, a Rochester (USA) in cui,  nella sala, migliaia di mani  si levavano vivaci dalla platea impadronendosi dello spazio neutro circostante o di aree segniche del corpo per comunicare un messaggio al Deaf venuto da un Paese lontano. E sebbene la lingua dei segni sia diversa da un Paese all’altro - proprio per il fatto d’essere lingua - sono stato testimone di  “colloqui“, grazie alla capacità che ciascun sordo aveva (o possiede) nell’interpretare la semiotica corporea. Siamo testimoni, in queste occasioni, nel sordo di una elasticità mentale che sbalordisce, facendoci intuire e riflettere che, se il segno fosse adottato sin  dall’infanzia, esso permetterebbe di individuare i significati iconici con cui, l’emozione, si manifesta in lui, nella cultura e lingua  diverse; difatto esporre i bambini sordi alla lingua dei segni non potrà che favorire il trionfo del «corpo dialogante».
 

La LIS che non viene insegnata nelle Scuole…

Maggio 9th, 2012

 (09.05.2012) Non c’è dubbio che la LIS (Lingua dei Segni Italiana) è una lingua vera e propria (cfr Noam Chomsky, Tullio De Mauro ecc.). Ma perché sia conosciuta ed utilizzata, bisogna insegnarla come lingua ai bambini sordi e ai bambini udenti che vogliono apprenderla. E’ una chance che permette di aprire una finestra sul mondo: letteralmente, si può dire, ‘apre gli occhi ai ciechi’ vedenti. Le interpreti (cfr Dennis Cokel, Il processo di interpretazione. Un modello sociolinguistico, Edizioni Kappa, Roma 2002; Valeria Buonomo, Pietro Celo, L’interprete di lingua dei segni italiana, Hoepli, Milano 2010) dovrebbero tradurre, come  alcune effettivamente fanno, direttamente dal visuomanuale al verbale; accade, invece, vedersi chiedere - dall’interprete visuomanuale di un Convegno -  la «visione del segno, in modo che ella possa ‘tradurlo’ come è conosciuto in loco perché, in Italia, la “traduzione” varia molto dal Nord al Sud. Questa diversità di apprendimento della LIS, sfociando  spesso in idiomi segnici locali o addirittura parentali, di fatto genera incertezza per l’interprete che si avvicini a questa professione. Le critiche non sono nuove: è consuetudine notare, nei Convegni, le lagnanze di chi vede la LIS come fumo negli occhi, proprio criticando  questa mancanza di “lingua nazionale”. Le diatribe sortiscono dalla carente o nulla  formazione né, questa lingua visiva cinestetica, è  proposta nella Scuola. Un anno fa, dei giovani sordi, hanno protestato per giorni davanti alla sede della Camera dei Deputati, con  cartelli su cui spiccava «LIS subito!». Trascorsero settimane e, furbo il  governo, la protesta è rientrata anche perché - nell’associazione più numerosa dei sordi d’Italia - sono cambiati il presidente nazionale e il consiglio direttivo, alcuni di loro competenti. Cosicché, sebbene la  ^ Commissione dl Senato avesse approvato la proposta di legge, alla fine tutto è naufragato.

Educazione e istruzione dei sordi

Maggio 9th, 2012

 

 

(20.08.1980) Le imbecillità che circondano l’educazione dei sordi sono tante e contraddittorie da invogliare gli adulti sordi, di valida cultura, a guardare con disincantata meraviglia che, tale missione educativa, sia affidata proprio a persone che si attribuiscono «normali»!

 

 

(20.10.1980) La comunità dei sordi mi ha insegnato moltissimo. Non posso accostarmi ad essa senza dirle grazie. Chi non vuol vedere, chi non vuole ascoltare difficilmente scoprirà il nuovo e il profondo nella/della cultura, nell’arte, nella forza di emancipazione dei sordi; in fondo come potrebbe se tutto, in loro, è verbalismo e tecnicismo? Oh non si avvede che il Silenzio è l’ultima àncora di salvezza?