L’ENS si sostituisce allo Stato. Se non ci fosse l’ENS i sordi resterebbero sempre in serie B

Settembre 10th, 2006

L’ENS porta attenzione all’istruzione dei sordi. L’Università italiana non è pronta, meglio non ha risorse umane per rispondere con ricerche e approfonditi studi scientifici per licenziare un corpo di docenti specializzati preparati. Questo vale anche per le Facoltà di Scienze della Formazione che dovrebbero preparare insegnanti per la scuola dell’infanzia e primaria. Dove si diplomano gli ex-maestri di un tempo, con l’opportunità - per lo più - di accedere anche al sostegno con discussi e affrettati “seminari” sulla disabilità in generale (…). Ci sarebbe bisogno dun programma più dettagliato per avere una minima preparazione di base specifica: sullo sviluppo del linguaggio nei/dei sordi, sulla comunicazione, sui processi psicocognitivi, sulla lingua dei segni, sulla conoscenza della labiolettura e sui vari supporti di interrelazione. Come tentiamo di impostare il programma  - nel nostro piccolo - presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Macerata. Ciò indcuce gli stessi sordi, più preparati e diligenti, a divenire loro stessi protagonisti dell’insegnamento ai simili.

Qualche tempo fa, nella mia qualifica di consulente scientifico dell’ENS, ho suggerito al gruppo di lavoro: l’Aies, educatori e insegnanti dei sordi, la FIACES, delle istituzioni scolastiche specializzate, la FIADDA delle famiglie dei sordi italiani, di sostenere la priorità d’incarico - per i sordi in possesso di titoli universitari adeguati e di specializzazione -  per l’inserimento nelle graduatorie per l’attività didattica in favore dei simili. Ci vorrebbe un decreto ministeriale. Deduco che la lungimiranza della presidente nazionale dell’ENS valuterà la proposta e provvederà a sostenerla nelle competenti sedi di governo. Con l’opportunità di incarichi ai docenti sordi si apriranno prospettive di lavoro qualificato: e gli stessi genitori  potranno superare il trauma dell’accettazione del figlio nella disabilità sensoriale perché lo considereranno su una nuova prospettiva. Operando il sordo nella scuola nuove generazioni di docenti fioriranno e avranno conoscenza della propria disabilità uditiva, oggi oscurata con l’insistenza di frequentare o convivere con gli udenti. Perché, sinceramente, oggi non c’è confronto con gli uguali. Tutte le questioni sono commisurate sul metro del coetaneo udente. Ci si dimentica di entrare nel contesto dell’identità, non inquadrata nell’insieme culturale e linguistico propri del sordo, vale a dire non la si studia abbastanza nel merito del processo psicologico, sociologico e linguistico. Per tanti rimane solo mera «disabilità»: un giogo pesante  in una società, come l’attuale, che focalizza l’attenzione sulla prestanza fisica, sull’estetica. Si chiede al diversamente abile di divenire «abile», cioè annullare le proprie potenzialità specifiche per rincorrere  l’utopistica abilità di chi non ha difficoltà di sorta. Ed è, invece, proprio nelle piccole differenze che si presenta il riscatto del soggetto problematico quando potrà gestirselo senza traumi, con un metodo adeguato. Infine mi sono avveduto, in questi ultimi decenni, che la società tende ad esorcizzare le imperfezioni fisiche, sensoriali e psichiche intervenendo dapprima sulla terminologia, poi sull’educazione e l’istruzione modellando infine il tutto su un presunto contesto generale di «normalizzazione» che non chiarisce proprio nulla.

   E di nuovo a capo per riprendere la filastrocca.

Il migliore insegnante dei sordi è il sordo

Agosto 30th, 2006

Sono convinto che il migliore insegnante per i sordi è il docente sordo specializzato perché - avendo sperimentato l’apprendimento per mezzo del canale visivo - saprà adoperare tutte le accortezze didattiche per portare l’alunno o lo studente ad apprendere i contenuti dello scibile. Per questo è necessario stimolare e favorire i sordi nella carriera di insegnanti.

Ebbene, sino a non molti anni fa, la professione di insegnante ai sordi era preclusa. Certamente ricorderete che nella riforma della scuola del governo Giolitti del 1923 del secolo scorso vi era un emendamento nella legge che affermava che l’insegnante della scuola elementare dovesse essere «di sana e robusta costituzione». I sordi, i ciechi, gli storpi (sic) erano banditi dall’insegnamento! Sino al 1990 l’emarginazione degli insegnanti sordi, pure in possesso di titoli accademici e di specializzazione, era  la norma nelle scuole statali italiane. Ci è voluta un’apposita circolare ministeriale per eliminare la discriminazione. E pensate che l’accettazione dei «portatori di handicap» nella scuola pubblica è del 1977! Gli scolari sordi erano accolti nella classe delle scuole statali ma erano respinti gli insegnanti con la stessa menomazione snsoriale nell’attività didattica, non dico per gli studenti o scolari udenti, ma addirittura per insegnare ai simili!

L’Italia è uno strano Paese in talune scelte; nazione di ignoranti sui temi dei disabili. Sotto la coltre dell’umanismo del momento si celano secolari pregiudizi e timori. La verità è che nella metà degli anni Settanta si aprirono le porte delle scuole statali senza far precedere, tale accoglienza, con una campagna di sensibilizzazione sui bisogni didattici dei «diversamente abili», come li chiamiamo frettolosamente oggi senza dire più di tanto, anzi senza aggiungere altro perché o ci fa paura, o perché non abbiamo argomenti all’altezza di confrontarci.

Nel caso dei sordi, è accertato dai coetanei udenti frequentanti la scuola di allora, che nessuno spiegava loro le condizioni del compagno che «non sentiva bene», o altrettanto «non parlava bene». La prima azione che i docenti si proponevano era esorcizzare la disabilità dalla classe: e come farla se non che eleminando le vecchie parole con cui veniva indicata? Ecco perciò sùbito comunicare ai compagni di classe che il loro amico non era «cieco» ma non vedente; non chiamare «sordo» il compagno ma audioleso o non udente; tabù assoluto dire «non capisce niente» per chi aveva difficoltà enormi a sommare 1 più 2. I docenti si danno un gran daffare per sopprimire la terminologia obsoleta,  a loro dire. Ma nessuna parola è vecchia se non ne portiamo un’altra altrettanto efficace per chiarire il significato di come agire o comportarci per tratare l’argomento. L’incapacità di approfondire, infatti, ha spinto i docenti a portare avanti una didattica uguale  a quella adottata per il coetaneo normodotato; azione che esorcizzava la disabilità non avvedendosi che la ingigantiva perché non si davano daffare per superare lo svantaggio dell’apprendimento con una metodologia e didattica adeguate. In classe sia il docente cosiddetto curriculare sia di sostegno fanno a gara per parlare di normalità, di uguaglianza senza porsi l’elementare domanda che siamo tutti diversi sia nei processi d’apprendimento sia nelle moltiplice intelligenze (cfr. H. Gardner, Formae mentis, Feltrinelli). Un efficace apprendimento è nell’individuare l’intelligenza specifica: è evidente che, nel sordo, essa è caratteriizzata da un processo di stimolo visivo. I ragazzi udenti ricevono lezioni di tratare il compagno di classe - con problemi fisici o sensoriali - come se nulla fosse, anzi non tenerne assolutamente conto; si sorvola sulla specificità che rinnoverebbe il loro essere nella scuola, la routine e  l’approccio interrelazionale  di gruppo. Non è democrazia trattare tutti allo stesso modo: è una comoda scorciatoia perché non si è abbastanza preparati per risolvere i problemi che, l’alunno speciale, ci impone di risolvere. Il pressappoco, le affermazioni «sei come gli altri», «perché te la prendi? sei speciale!», eccetera, sono luoghi comuni che nascondono manchevolezza di seri studi e ricerche. La disabilità non è una malattia da curare con medicine o riabilitazione coatta: richiede il confronto continuo con lo studente al quale insegniamo, una continua invenzione di metodi e didattica differenti, creativi, perciò migliori del passato, impegno specializzato che si protrae per tutti gli anni dello sviluppo biologico e psichico: e non solo.

Il premio

Agosto 28th, 2006

La sera del 23 agosto nel vasto cortile del Palazzo Lucangeli di Porto Recanati si sono adunate oltre 500 persone per il Premio “La Ginestra” - Luoghi leopardiani dell’anima. Il premio è stato assegnato al vicedirettore de Il corriere della sera, Dr. Magdi Allam. Presente gente colta, intellettuale, in gran parte venuta da fuori. Ho partecipato con la speranza riuscissi a… labioleggere gli interventi. Qualche parola, anche intere frasi sono stato in grado di decodificare su labbra predisposte alla labiolettura. Costruirci il contenuto completo, arrivare alla critica no. Il sindaco, parecchi assessori assistevano guardandomi di sottecchi pensando – ovvio - che stesse facendo lì un “sordo” tra le migliaia e migliaia di parole vaganti nello spazio (…).

Una settimana prima la sala consiliare era stata invasa da imprecisate associazioni protestanti per le barriere architettoniche che, una nuova banca – ironia della sorte – aveva creato per facilitare l’ingresso ai disabili nel loro istituto di credito, generando ostacoli sui marciapiedi per… i normodotati. E’ tutta una guerra di fazioni: normali e disabili-problematici-diversamente abili, indicaci come vuoi. La mia “barriera di comunicazione”, nell’incontro culturale, ovviamente è rimasta irrisolta, sebbene io conosca la legge 104/1992, l’art. 9 (abbattimento delle barriere di comunicazione) per cui mi sono esposto nei vari comuni delle Marche per la soluzione. L’attenzione della gente è sempre portata sulle “barriere architettoniche”. Quasi mai sulle altre, che escludono, non la partecipazione del corpo, ma della mente, il confronto diretto con le altrui idee per partecipare al dibattito, per portare testimonianza.

Bisogna iniziare a pensare… diversamente abile per risolvere i problemi della società civile. Se per gli amministratori è un dovere, scordato sempre, alla fine dobbiamo essere noi a ricordarglielo, anche con proteste o denunce o sit-in perché la gente volti pagina anche con certi politici che non hanno più niente da dire. La lezione deve iniziare – a mio giudizio – proprio dall’Italia dei valori.

ULTIMO DONO D’AMORE A KETTY

Agosto 3rd, 2006

Quando avrai il peso degli anni
forse comprenderai il mio amore:
il fuoco erompente, la dolcezza
dello sguardo, il sussurro di voce;
rileggendo lettere e poesie
capirai il silente poeta
cui donasti segreti giovanili anni
ponendogli attese, illusioni.

E’ tardi; lui ormai è cenere
che il vento disperde nella valle.
Non hai intuito.
Tu come altri?
Fuggì sulle colline di Fiesole
per nascondere il pianto
in uno sciame di stelle.

dalla silloge inedita “L’albero di rami senza vento” di Renato Pigliacampo

Luoghi comuni di taluni docenti di sostegno

Luglio 30th, 2006

«Eh! a che serve apprendere la lingua dei segni?». «Il mio allievo mi capisce: e lo capisco». Sono luoghi comuni di tanti cosiddetti docenti di sostegno nelle interrelazioni con i colleghi e i familiari dello studente sordo frequentante la scuola secondaria di primo e/o secondo grado. Non riflettono abbastanza sul processo d’apprendimento e la memorizzazione dei contenuti perché, nei corsi di formazione e di specializzazione, nessuno ha parlato loro di questo. Alla fine si riducono a presentare la didattica allo stesso modo dello studente con normalità sensoriale. I docenti possono essere considerati ammaestratori che prendono la via del canale auditivo, il verbum per antonomasia, senza che ciò abbia la doviziosità, l’esperienza e la completezza fondata sull’intelligibile ascolto costruttivo come avviene nella domanda/risposta caratterizzante il processo di apprendimento dello studente udente. Pertanto il nostro allievo sordo dovrà cavarsela per via visiva (labiolettura). La maggior parte dei docenti chiama questo operare «il metodo orale».

Non siamo «sulla dritta via».

La verità è un’altra: insegnare ai sordi e/o agli audiolesi di nascita o divenutili in età evolutiva impone al docente di studiare molto, con l’intenzione di affermare che deve avere conoscenze di base dapprima su discipline pedagogiche e psicologiche, poi sul particolare specifico e metodologico del disabile sensoriale d’udito.

Nel nostro Paese (estate 2006) questa preparazione è assente. Se ci adoperassimo meglio alla soluzione del problema, è certo che a giovarsene sarà l’attività didattica per gli scolari normodotati. Chiaro che sorge un dubbio: la Scuola ha un corpus docens all’altezza di saper insegnare, non dico ai sordi, ma agli studenti in genere?

Mi rendo conto che la definizione «saper insegnare» solleverà un vespaio di discussioni. Noi sordi ci adoperiamo negli ultimi anni a suggerire soluzioni, più volte esposte nel tavolo del Gruppo di lavoro per l’integrazione degli handicappati operante presso il MIUR centrale. Abbiamo suggerito che i docenti per la scuola secondaria - a stipendio d’accesso o valutando determinati crediti formativi - nei primi due anni della professione affianchino i docenti ritenuti esperti perché possano esercitarsi sulla programmazione didattica della loro disciplina, di cui hanno l’abilitazione (generica) per l’insegnamento. Se non sblocchiamo questo giro vizioso di un’istruzione approssimativa del sordo e/o dell’audioleso, egli finirà per essere ‘assistito’ da chi gli è dintorno che resta (sempre) un operatore con scarsa e/o nulla professionalità.

Il metodo orale non è un metodo didattico

Luglio 14th, 2006

Mi rendo conto che sono noioso, ma insisto e mi “spendo” ancora sul metodo orale perché - comprendendo che non è un metodo didattico - ci impegneremo tutti per una didattica per i reali bisogni fondati sulla percezione visuocinetica.

Gli insegnanti sono fondamentali per il sordo. L’ho scritto in molti libri e saggi (cfr. Scuola di Silenzio, Lettera ad una Ministro (e dintorni), Armando, Roma 2005), annunciato nei tanti convegni nazionali e internazionali in cui sono relatore perché, senza una buona istruzione, il sordo resta «handicappato», svantaggiato. Se è istruito bene la disabilità sensoriale diviene risorsa stimolando la visione dell’ambiente, di persone e cose: costruzione positiva della persona.

Quando ho superato la ritrosia del rifiuto della lingua dei segni, frequentando un corso di LIS, ho capito intrinsecamente gli Idilli di Leopardi, mio concittaddino. Nel momento in cui traducevo a segni i versi tutto il mio corpo dialogava con la natura circostante, revocata dal poeta: il colle dell’Infinito diventava strumento per spiccare il volo verso i “monti azzurri”; il Passero solitario lo scorgevi “sulla  vetta della torre antica”, più romito che mai; la donzelletta la vedevi sul serio venire dalla campagna “con il suo fascio d’erba in mano e un mazzolin di rose e di viole”; Silvia la percepivi nella realtà sinestesica come Giacomo Leopardi dal “paterno ostello” la ascoltava e vedeva (…). Sono esperienze fondamentali che un docente specializzato deve conoscere per saper insegnare.

Io non sono incavolato con i docenti specializzati, solo di nome, per lo più sono rimasti “docenti di sostegno”, “samaritani”, “polivalenti”, buoni per tutti gli alunni e studenti di  diverse disabilità e problematiche d’apprendimento. Solo il nostro Paese a tutt’oggi (estate 2006) non riconosce ai docenti realmente specializzati una professionalità didattica sul/del settore specifico. Di solito si lavora o si pretende d’inserire il soggetto sordo nella classe comune per renderlo «come gli altri coetanei»; considerarlo normale non significa che non incontri difficoltà di relazione e d’apprendimento, vuol dire, al contrario, sviare i suoi bisogni specifici perché è proprio l’invenzione di una didattica, la costruzione di un appropriato ambiente formativo e apprenditivo a far sì che i disabili sensoriali d’udito (e non solo essi) imparino a crescere culturalmente. La questione perciò non è la diatriba sui metodi d’istruire i sordi: è la conoscenza dei processi mentali, l’essere diversamente abili nel pensiero creativo.

Ogni bambino sordo ha una storia a sé: di riabilitazione e d’apprendimento. Studiandole con attenzione, il bravo docente specializzato, saprà programmare un lavoro specifico per acculturare e istruire lo studente e/o l’alunno che ha in carica; se non ci riesce significa che egli stesso non ha studiato abbastanza, non è filosofo.

Sei cattivo

Luglio 12th, 2006

“Sei cattivo” ho letto sulle labbra di un coordinatore regionale dell’Italia dei Valori, perché non mi sono sottomesso ai “soliti giochetti”, cantandogli sul muso la disorganizzazione e le nulle scelte democratiche, le decisioni motu proprio compiute nella nostra regione negli ultimi tempi. Io ho concepito la filosofia di Antonio Di Pietro, dell’Italia dei Valori, sul fatto che una cosa, prima di giudicarla se “è bene” o se “è male”, la soppeso sulla bilancia della democrazia, se può essere utile alle persone.

Purtroppo anche alcuni nostri candidati alle elezioni politiche non erano utili per raggiungere la mèta dei valori. Scrivo “utili” e non “passati in giudicato” o con “problemi di giustizia”. A mio parere chi avanza una candidatura deve valere qualcosa, anche saper testimoniare per migliorare la società. L’uomo che non ha stimoli positivi finisce d’essere alieno alle proposte, di qualsiasi tipo. Antepone sempre se stesso, per la poltrona. A questo punto il fatto che sia giudicato cattivo per il coordinatore regionale, diviene un plauso. Infatti, mi batto per avere voce nel partito, una voce che è quella dei veri più deboli, che non sono mai ascoltati, nemmeno sono chiamati a risolvere i propri problemi. La mia “cattiveria” è solo ribellione per non essere sopraffatto dall’arroganza dei cosiddetti normali. Chi mi accusa cosa ha fatto o sta facendo per permettere la partecipazione del disabile nella struttura del partito? Troppi usano frasi scontate “è un valore aggiunto per il partito”, “appartiene alla società civile” eccetera. A che pro? Per la raccolta di consensi elettorali? Nooo! Se è così si tratta di sfruttamento delle associazioni dei disabili, dei protagonisti disabili (…).

La verità è che il vero cattivo è il mio coordinatore regionale perché pretende il consenso, da me e simili, senza mutare la mentalità degli iscritti e le strutture secondo i bisogni. Rimando al mittente l’accusa. Siamo di fronte ad un astuto che si serve dell’elettore prima allo scopo di approdare ad una carica istituzionale. Questa è la reale cattiveria: azione politica indegna in un partito come l’Italia dei Valori. Pertanto tutti coloro che gli dicono “signorsì” sono ometti, complici.

A MIO PADRE

Luglio 11th, 2006

Mio padre fu un uomo di limitata cultura sui libri, ma di vaste conoscenze concrete di cose e persone. Partecipò alla 2a guerra mondiale col grado di caporal maggiore; lasciato solo a governare una combriccola di soldati nel momento in cui doveva imbarcarsi nel porto di Bari per Malta, venuto a sapere che Mussolini se la dava a gambe per l’imminente disfatta, decise che era bene “rompere le righe” e tornarsene, con mezzi di fortuna, a casa. Fino alla fine della guerra restò nascosto, «disertore» per i benpensanti. Ne parlo ne “Il Vergaro. Storia di contadini nella terra di Leopardi”, Moretti & Vitali, Bergamo 1999. La poesia che segue è un dono alla sua vita. Tra noi non c’è stato un colloquio profondo di parole e frasi (forse lo frenava la mia disabilità sensoriale). Bastava però uno sguardo, un gesto (…). Mentre anch’io vado verso la sera - le generazioni se ne vanno una dopo l’altra, la prossima a lasciare sarà la mia - penso che a mio babbo potevo parlare di più, spiegargli il mio Silenzio perché anch’egli lo accettase. Forse non sono stato a sufficienza figlio e psicologo (…).

Non sono altro che te, padre
nello sguardo vivace, nel lampo di luce
nel ricordo di quella contrada
dove mi generasti (confermano i mesi
nel Natale dell’anno d’infanzia della Repubblica).
Sei andato ora nel luogo dei più.
Effluiva primavera il 10 aprile 2002;
t’incamminavi nel terzo millennio.
Ormai ignoravi i discorsi
dei potenti della terra dicevi:
«Hanno qualcosa d’artefatto.»
«Vero, babbo» rispondevo.
«Troppo denaro.» Pausa.
«Vero padre, vero» confermavo.
«Otri di superbia, venduti
nella stanza dei bottoni, per voti.»
Sono sagge valutazioni.
Siamo uguali padre nel giudicare
la politica, la vita, le rabbie.

(era allora che aprivamo ali
spaziando pensieri nell’idiomatico
linguaggio; odore di stallatico
m’insegnò che la fatica compensa
indurisce mano dilata il cuore)
Ora dormi: le mie grida dal Silenzio
non scavano pietra, ove è inciso alfa e omega.
Tu lineare al comando, burbero
su chi accumula denaro, sei icona
serena accanto ai compari
in terra consacrata nel paese di collina.
Spiace averti rattristato
col dramma di mia vita.
Ti risento vocione
condannare Mussolini, gli eguali
bramanti potere, io non spero salire
gradi politici. Non m’interessa sortire
dall’anonimato per consenso ai loro interessi.
Guerriero col cuore di fanciullo, padre
nelle notti, quando l’Adriatico
sposa tramonto annuncio
d’essere girovago per la citta’
dire alla gente «noi siamo comunita’
nell’identità di lingua e cultura».
Frasi lette nei libri di Sacks (1).
«Pur noi lo fummo là, ricordi?»
«Vero babbo, a Bagnolo (2) c’era solidarieta’
altro che il sottobanco di Berlusconi (3) a Previti (4).»
Si desta mio padre dall’avello
se gli parlo di politica dell’ultimo decennio.
«Solo ammiro l’uomo di Montenero (5)
figlio di genitore testato (6) su sodi e polpe (7).»
Gli avevo regalato il libro di Travaglio (8) su Di Pietro.
L’unico che ha letto da inizio a fine
oltre la Bibbia e la Divina di Dante.

Nel silente gelido marmo dormi
in questa collina di Montecassiano (9)
straziandomi il cuore con l’altro Silenzio
che tormenta l’anima tesa a sapere (…).
«Ti è manifesta la Verità?».
Non rispondi alla domanda di fondo.
Resto smarrito infiacchito nei pensieri.
M’allontano dal tuo cospetto quasi irato
per divenire volatile senza nido,
trottola incauta d’estremo osare
interrogandomi perché non (mi) annunci
la Verità l’Amore l’alto respiro di Dio?

 ———————————
1) Neurologo e scrittore che nel libro “Vedere voci”, Adelphi, Milano 1998, dimostrò che i non udenti hanno cultura e lingua  fondate sulla percezione visiva.
2) Contrada di case sparse a nordest di Recanati dove erano mezzadrie di conti degli Azzoni Carradori e di altri latifondisti.
3) Già più volte capo di governo, pluriaccusato per vari reati.
4) Parlamentare, ministro e avvocato di fiducia di Berlusconi.
5) Montenero di Bisaccia, paese natale del magistrato Antonio Di Pietro, indagò sui parlamentari, ministri, imprenditori, segretari di partito, fenomeno illegale conosciuto come «Tangentopoli». Di Pietro era componente di un gruppo di magistrati (Gerardo D’Ambrosio, Davigo, Colombo, Ghitti, Borrelli, procuratore capo).
6) Forgiato dall’esperienza, dal vissuto.
7) Scarti di barbabietole lavorate negli zuccherifici, utilizzate come mangime per gli animali domestici.
8) Giornalista che ha documentato coi suoi scritti e ricerche le vicende giudiziarie di Berlusconi.
9) Paese di dodicimila abitanti a nordest di Macerata dove riposa il padre dell’autore.

da Renato Pigliacampo, L’albero di rami senza vento, (silloge inedita al luglio 2006) ŠŠŠ

Š

(1)

Luglio 1st, 2006

«Sentire è diverso che ascoltare»
insegnava agli studenti di liceo.
S’accorse che tutti sentono e nessuno ascolta
La parola emerge oggetto
quando viene soppesata

La logopedista, di là della stanza,
programma ore di straordinario
per il bimbo sordo

da Renato Pigliacampo, Ascolta il mio silenzio, Edizioni Cantagalli, Siena, 1999.

L’On. Balbino GIULIANO, Ministro della P.I. nel 1931

Giugno 30th, 2006

Voglio ritornare sulla questione del “metodo orale”. Far comprendere il danno causato  in prospettiva nella conoscenza e nell’approfondimento dei processi d ‘apprendimento nel/del sordo: e (forse) solo allora riusciremo a valutare la storia dei sordi nel nostro Paese. La popolazione scolastica sorda ha sempre subìto, o soggiogata a maestri e “professori” che, a dirla tutta, erano solo capaci di parlare, mai d’insegnare.

Nel periodo fascista un gruppo di sordi preparati e istruiti milanesi s’era organizzato, come tanti altri gruppi di mutuo soccorso nella penisola, aveva un leader eccezionale per intelligenza e cultura, Giuseppe  Enrico Prestini. Costui infatti intuì immediatamente che, per contare, tutte le piccole associazioni dovevano federarsi, ecco allora nascere la FIAS (Federazione Italiana delle Associazioni dei Sordi). Prestini fu eletto Presidente di questa Associazione. (Chi voglia approfondirne la Figura vada su www.storiadeisordi.it di F. Zatini, a cui sono debitore delle ricerche iconiche e altre info).

Il 14 dicembre 1931 (X) Prestini predispose un pro-Memoria per l’On. Balbino GIULIANO, ministro della P.I., in sei sintetici ‘punti’ ammise che la scolarità dei sordi(muti) era  disastrosa in Italia, invitando a chiudere la diatriba sui metodi perché «il metodo orale non esiste», e che i docenti dovevano approfondire la didattica, la comunicazione. Chiaro che i sordi adulti istruiti bene non si crucciavano della favella, valutavano le capacità di comunicazione scritta, l’unica opportunità, allora, di evasione dalla sordità, di comunicazione con la società degli udenti.

Ebbene allora, come ogggi, i genitori di sordi si preoccupavano solo della favella. I maestri delle scuole specializzate si adoperavano, basta riflettere sulle suorine che pensavano che l’accesso al verbum era fondamento salvifico (come del resto la pensavano così quasi tutti gli insegnanti ‘consacrati’); ore e ore venivano utilizzate «per imparare a parlare», raro per apprendere la grammatica italiana. Così avevamo sordi che, come pappagalli, infilzavano frasi mnemoniche con voci chiare per sostenere la prova d’esame davanti alla commissione di esimi pedagogisti, facendoli entusmare perché, maestri e suore, gli avevano permesso «l’acquisizione della loquela umana».

Non era un «metodo» didattico, ma si trattava di esercizi logopedici, riabilitazione fonica. Impegno che, oggi, è della logopedista. Il metodo orale (didattico) non è mai esistito. Infatti molti sordi, come me per acquisizione, quando si trovarono (da sordi) a seguire lezioni di fronte a insegnanti di varie discipline costatarono che agivano come se gli alunni fossero udenti: parlavano a voce, con qualche accorgimento per la labiolettura.

Anch’io sono caduto nella trppola del metodo orale perché mi attendevo un metodo orale didattico che mi favorisse l’apprendimento con una strategia di propositi o, appunto, metodi per memorizzare, comprendere, spiegare. Quanto gli insegnanti erano lontani dal comprendere i miei bisogni apprenditivi che si bavano su un processo psicocognitivo fondato sulla percezione visiva! Oggi ciò mi è chiarissimo per aver studiato le aree cerebrali specializzate, e le ultime ricerche sui neuroni specchio confermano le ipotesi di ieri.

La  fisima della parola verbale. L’unica cosa che i sordi adulti possono fare, per la popolazione scolastica  sorda, è conseguire i titoli accademici e di specializzazione per divenire insegnanti specializzati e insegnare ai simili. Abbiamo già operato, nelle sedi opportune, su questa prospettiva.