Per un albero di Natale

Dicembre 20th, 2006

Nella mia Porto Recanati sindaco e giunta sono turbati perché - come da alcuni anni – regalano l’albero di Natale ai quartieri. Quest’anno il quartiere “Sammarì” non ha partecipato nel palazzo comunale alla pomposa cerimonia di consegna. I consiglieri comunali e la gente del quartiere sono incavolati con l’amministrazione per non aver considerato i problemi delle loro viuzze, abituri, negozi, eccetera. Il “casus belli” ha fatto cassa per i giornali delle cronache locali. Ecco che l’assessore “agli Istituti della partecipazione” (sic) interviene con interviste e scritti ai giornali che “Noi offriamo l’albero ai Quartieri per trasmettere un senso di pace, gioia e serenità tra i cittadini e di tutti i Quartieri”.

L’intenzione è buona se il Natale è una festa per tutti, come (forse) lo era una volta. Oggi il Natale, sebbene scriviamo con la lettera maiuscola, non è più quello di ieri perché, se vale per la maggioranza della gente, meno è “natale” per una percentuale non indifferente di cittadini. Porto Recanati ha quasi il 20% di gente residente straniera, la cui religione - non solo ignora la festa del Natale cristiano - ma sono giorni in cui cresce lo sconforto di una solitudine e assenza che non ha nulla a che fare con la solidarietà trasmessa da un simbolo per cultura a loro è ignoto. Il messaggio della giunta è riduttivo, enfatico. Non si governa più col “volemose bene” dettato dalle date del calendario delle “feste comandate”: il dono del panettone e la bottiglia dello spumante ai vecchietti della casa di riposo, o cercare appoggi politici con l’invio degli auguri alle “persone in vista” della cittadina a spese dell’amministrazione. La festa della natività non è nata per lenire gli sconforti del Quartiere “Sammarì” col dono, ripeto, dell’albero. Il volemose bene è dovere d’intervenire per la soluzione delle questioni per tutto l’anno: dal 1° gennaio al 31 dicembre; altro è demagogia, anzi diseducazione per chi non professa la religione cattolica perché ci notano ipocrisia e strumentalizzazione di sentimenti.

La fede è coscienza di ricerca di un trascendente, pertanto personale che non può essere ridotta a politichese. “La politica - disse De Gasperi - è fare.” Chi non sa fare è incompetente e non può sfuggire alla responsabilità delegando ai dirigenti dell’ente perché è chiamato egli stesso a decidere: e se non ha cultura ed etica istituzionale decide male. Ho notato che, anche nell’assegnazione degli assessorati, c’è inflazione di nuove terminologie. Fumo negli occhi per scaricare l’inefficienza. L’albero di Natale ha compiuto il miracolo di togliere la maschera.

I genitori: la sordità mai

Dicembre 12th, 2006

Quando mi permetto di approfondire nei familiari dei bambini sordi l’accettazione della sordità riconosco di inoltrarmi su un argomento spinoso, che non stimola la loro attenzione, anzi li irrita; interpretandola come azione sadica, anche perché finiscono quasi sempre per dare retta alle innumerevoli sirene che li circondano, con la promessa del recupero certo dell’udito. La mia onestà di professionista è stata coerente sia quando insegnavo nelle scuole specializzate sia operando da psicologo nelle strutture pubbliche, vale a dire sostenendo psicologicamente la famiglia nell’accoglienza della disabilità sensoriale del bambino. Valutarla senza drammi, scorgendovi una ricchezza per tramutarla in risorsa: prima per il piccolo, poi per la stessa famiglia e la comunità di maggioranza.

Non crediate che sia una scelta utopistica: è una proposta programmatica che può essere portata avanti dagli operatori scolastici e sociosanitari. L’accoglienza di vivere la sordità non è rassegnazione, si badi bene! Significa avere genitori diligenti che rinunciano all’accanimento  (e a girovagare per l’Italia e all’estero alla ricerca della panacea o del luminare) per conseguire la sanizzazione, al coattismo verbale, ad imitare il fratello o il cugino udenti, all’idea di conseguire per forza la «normalizzazione», che niente ha a che fare con la persona.

Discutere con la famiglia, i riabilitatori logopedici e gli insegnanti di questo Progetto di divenire sordo - perché si tratta proprio di un progetto -  è un processo che obbliga innanzitutto noi stessi  a cambiare concezione di vita, alla scelta dell’ ex-novo dove l’altro - il sordo - diventa il primo artefice di saper affrontare  le proprie questioni, crescendo egli stesso quale primo artefice per confrontarsi con i simili e gli udenti “normali”.  L’eutonologia di Henri Laborit  - saper vivere bene nella propria pelle - è dunque sapersi accettare «in viaggio» perché tutti, prima o poi, nella vita sperimenteremo la diversità: disabilità momentanea per parecchi e/o permanente per taluni. Dobbiamo addestrarci per essere pronti ad accoglierci nello essere diversi! I bambini sordi sono spinti a modellarsi secondo i bisogni di chi ha orecchi e lingua idonei; dimentichiamo che sono nel silenzio, anzi nella sordità: esperienza che include spavento in chi la considera dramma e isolamento; invece bisogna ‘rivisitarla’ su un contesto culturale, di processi psicocognitivi nei quali matura una persona migliore.

Solitudine tragica talvolta del sordo

Dicembre 5th, 2006

Talvolta è importante accettarsi nella propria disabilità sensoriale. Ma come accettarsi? Non certo vuol dire rassegnarsi alla condizione di sordo. Se veramente ci si rassegna alla condizione di non poter ascoltare si finisce per rinchiudersi in un recinto, isolato. Solitudine tragica avvolge la persona priva dell’udito. La mia generazione di sordi, per lo più istruita nelle scuole specializzate, indicata con terminologia nuda e cruda: «i sordomuti». «gli handicappati», la maggior parte ha accolto la condizione d’essere sordi con serenità. Ci sono sordi figli di benestanti, di professionisti, sospinti a divenire secondo un modello parentale, di fratelli, di cugini, si sono trovati davanti ad ostacoli inenarrabili.  Non riuscendo essi a soddisfare le aspettative dei familiari, precipitavano nella depressione o nella nevrosi. Altri sordi, provenienti da famiglie modeste e/o semplici, abituati ad una condizione difficile di difficoltà economiche per seguire i figli, li hanno lasciati liberi di fare esperienze, di confrontarsi con i pari o nella comunità dei simili prendendone a modello alcuni (…). Costoro di poi hanno raggiunto un equilibrio psicologico e sociale gratificante. Altri sordi si sono accettati impegnandosi  con tenacia in un settore professionale o artistico: penso ai mei amici  dell’Istituto di studi medi e superiori “A. Magarotto” di Padova, che hanno creato laboratori di odontotecnica notissimi nelle proprie città; penso a pittori  e scultori famosi di valore; penso ai tanti docenti di lingua dei segni che si adoperano ad insegnare la LIS in ogni dove; penso ai dirigenti di associazioni che trascorrono intere giornate nelle sedi. Ci sono sordi che si ‘battono’ a livello nazionale, regionale, provinciale come leoni per favorire e suggerire strutture, personale specializzato, formazione di docenti, interpreti di LIS e labiali, per la diffusione di informazioni tramite media visivi adattati. Certo, se la società è pensata anche per chi non ode l’accettazione della privazione sensoriale dell’udito è meno dura.  Eppure  tutti gli anni assestiamo, nei mesi novembre-dicembre, al valzer della Finanziaria, ai ‘tagli’ sul sociale; vigilare - attraverso i dirigenti regionali e regionali delle associazioni - diventa sempre più stressante e drammatico nei rapporti col potere politico. La classe politica considera i disabili nulla-facenti, mangiatori di pane a ufo. Vuole eliminarli.  Ma non ce la fa. Sono parecchi. Allora esorcizza l’handicap. Il giochetto avviene - mi ripeto - modificando le parole di riferimento alla disabilità o al deficit. Chi era sordo diviene “possibile udente” con l’impianto cocleare, o audioleso.

Accettarsi non significa rinunciare  a uscire dalla condizione di disabile, a curare sensi e apparati del proprio corpo; vuol dire prendere coscienza di quel che si è, dominando e soggiogando la disabilità per riciclarla secondo le proprie esigenze, farne bandiera di lotta per migliorare - non solo la fazione dei disabili dell’udito e della parola - tutti.

La voce,il suono, il canto

Novembre 19th, 2006

O sera che scendi
scendi
e cali
e avvicini la mia collina
(collina or desolata
dei miei mezzadri ferrigni
donne e uomini recitanti Pater e Ave)
rivedo, a te rivengo
insieme ai figli adulti;
d’improvviso mi stacco solo e pensoso.
Qui ho recitato l’alba di vita:
e i contadini di valle
sanno di me di allora
e di poi.

Non tutto è perduto!
C’è un soffio di brezza di mare
che dal porto ascende
le colline sin qui;
c’è la quercia sempre uguale;
c’è il lago che specchia negli occhi
tutte le albe di Bagnolo;
c’è un via vai di tabaccoli (1) e vergari (2)
che s’incamminano col bestiame
per la fiera di Recanati;
c’è al bivio la scuola rurale
dove il piccolo poeta
iniziò il viaggio con le aste e le macchie
d’inchiostro sullo zinale;
c’è sulla strada il sogno
e la speranza oltre l’Appennino
e la mia voce nel suono e canto.

1. Nella mezzadria l’addetto al governo del bestiame.
2. Il capo della mezzadria dal quale ognuno della casata prende ordini.

da Renato Pigliacampo, L’albero di rami senza vento, Iuculano editore, Pavia, 2006.

Scherzare con i disabili

Novembre 16th, 2006

Lo scrittore Claudio Magris è intervenuto con uno scritto sul Corriere sulle violenze perpetrate da alcuni ragazzi sul compagno down. Facile fare il sermone agli insegnanti, genitori, agli stessi disgraziati adolescenti. I “diversamente abili” (!) sono stati accolti nelle comuni classi della scuola quasi trent’anni fa. Nei susseguenti anni abbiamo masticato gli aspetti socio-psico-pedagogici dell’integrazione. Abbiamo mangiato pane e integrazione sia a scuola sia a casa. Io giravo l’Italia per convegni e seminari per spiegare la diversità. Ci sono voluti anni, ma ora mi è chiaro: l’integrazione è un’invenzione dei normali. Non esiste. Semplicemente perché non esiste la normalità.

Quel che è successo e succede in questi tempi contro le ragazzine e i disabili non sono azioni di normali, come prontamente vi definite. Ogni giorno mi trovo a scontrarmi contro l’assurdo; sì assurdità perché, se non lo fosse, queste problematiche sarebbero state risolte da tempo. E ora avremmo parlato di giovani con gravi indizi psichiatrici, trattandoli in certo qual modo. Siccome ad agire sono “i normali” che prevaricano sui “diversi”, non approderemo a niente…

Ci resta pertanto la riflessione amara che la scuola non serve a nulla. Lo riconoscerà chi mi ha seguito con le denunce alla ministra Moratti, del precedente governo, con Scuola di Silenzio, Lettera ad una Ministro (e dintorni), Armando editore, Roma. Sono stato profetico. La verità è che a questi ragazzi pasciuti e consumisti, vuoti di ideali e letture, saturi di immagini e verbosità non gli è stato insegnato nulla, nemmeno ciò che è evidente in classe con la presenza di ragazzi “diversamente abili”.

Ines Talignani, ex magistrato che ha scelto di divenire suora di clausura: “Ho visto l’abisso tra ciò che sono e ciò che chiedo di diventare.” Insegnanti, genitori, dirigenti scolastici non vedranno mai l’abisso perché egoisti, presuntuosi. La scuola, per scorgere la ricchezza portata dai ragazzi speciali, deve spogliarsi d’essere ambiente di normali per diventare “ambiente di persone”, allora sì sarà capace di notare chi ha vicino.

Sete di conoscenza

Novembre 7th, 2006

Raggi di sole hanno accesso il suolo
solcando il cuore della terra:
e io cammino sull’orlo dei solchi
col cuore crocifisso di dolori.
Tu porti stesso amaro fardello?
Sei nel solco o voli spazi siderei?
Il tempo segna di rughe il volto
divenuto simili a prati in fienagione
dove erba s’è data alle falci
per ridonare verdi steli a primavera.

Vieni con me:
di sera riscrivo ogni verso
riprendo profumo di valli
scogliere figli vocianti gabbiani.
Il mondo è nostro
quando siamo baciati di gioia.
Ma la mia felicità non arriva:
dimmi se verrà dopo morte?
Nemmeno tu sai.
Resto con la sete di sapere.

Da Renato Pigliacampo, Canto per Liopigama, CASISMA ed., Porto Recanati 1995.

Il corpo ferito non mostra la sordità

Novembre 1st, 2006

La disabilità sensoriale dell’udito in una giovane donna non è visibile. Anche l’accidente della loquela può essere celato nella frequenza del gruppo degli udenti, purché la giovane taccia; per  il resto ha bèi seni o no, natiche formose o no, insomma conta il body (corpo) in questi casi: seducente o meno. La stessa opinione sul corpo vale per la ragazza udente.

La madre  della ragazza  sorda pensa che il giovane che esce con la figlia ne diverrà il «ragazzo fisso» e chissà che… Sì, avviene spesso che una storia inizia proprio così e vada avanti per alcuni mesi, anche per qualche anno. Lui nel frattempo la “prende”, intendo riferirmi ci fa sesso; è uno sfogo, una passione inevitabile, ovviamente mi riferisco a colei che è carina e sensuale (…). Non è che abbia rèmore sulla relazione tra una ragazza sorda e un ragazzo udente! La verità è che la premura della madre per «il normale» non ha avuto di frequente la riflessione che i maschi sono “rapaci”. Il possesso della lingua verbale, il destreggiarsi con la parola è una forma di difesa all’assalto della passione. La ragazza udente può fermare, con l’intervento lesto della loquela, il ragazzo che la desideri quando si faccia troppo audace e non è disposta; infatti, mentre è abbracciata a lui, ha la bocca libera per proibire le avances. Questa difesa non è possibile quando è nella stessa posizione la ragazza sorda: e lui insiste con carezze ardite e altro (…). Lei non può segnare perché, per farlo, ha bisogno della libertà delle mani ed essere ad una certa distanza. Le mamme, alla fine, intuiscono ma lasciano correre; si accorgono tardi delle conseguenze. Non mi riferisco ad eventuale gravidanza indesiderata, sempre possibile (sappiamo di una percentuale non trascurabile di giovani sorde messe incinta da ragazzotti irresponsabili) ma al fatto che, donandosi, crede d’essere stata scelta e contraccambiata nell’affetto. Era solo sesso! Se il ragazzo intende scegliere-amare una giovane del Silenzio deve prima conoscerla nella capacità di divenire madre e compagna, valutarne il mondo percettivo, culturale e lingua differente. La giovane che è stata posseduta, la giovane che si è donata ingenuamente - forse è la definizione più precisa - capisce tardi che la famiglia l’ha posta sul mercato (sic). Come il contadino fa con una bella manza. Sacrificata sull’altare di una presunta normalità altrui. Adesso, colpita dalla depressione, disprezza il mondo degli udenti; scemata la passione, «il ragazzo normale» - sognato dalla madre e dal parentado - scompare dalla vista.

Verità e valori

Ottobre 28th, 2006

Giorni fa, leggendo resoconti di stampa, mi sono “scosso” come i cavalli del palio di Siena, vedendo imbrogliare o camuffare “verità” e “valore”. Ovviamente il giochetto può riuscire solo alla loquela del Cavaliere. Ecco così che a Report, il programma di RAI 3, sottotitolato, mi è stato possibile confrontare opinioni e spropositi, menzogne dalle comuni furbizie. Di Pietro dice, per giustificare l’annullamento della costruzione del ponte di Messina, “… a che serve costruire il ponte sullo Stretto se non ci sono strade dall’una e dall’altra parte? Ci metto una pecora e una capra?”. La verità è che le mille opere programmate del passato governo era fumo negli occhi degli… allocchi. Chi sa dire le opere concluse dal governo Berlusconi? Eppure, con la complicità delle sue televisioni, abbiamo visto inaugurazioni, discorsi in pompa magna e bottiglie di spumante stappare. Ahi, scatole cinesi! Una sfilza di consigli d’amministrazione controllati e controllori. Nessuna opera iniziava, trovavano soltanto i fondi per pagare stipendi ad una moltitudine di impiegati e progettisti di faraoniche opere di carta. Eppure la “verità” del capo del governo giungeva alle orecchie dei pigri, di coloro incapaci di svolgere un’azione propositiva di critica, bravi solo a “credere” e a “criticare” secondo il padrone che li foraggia o no. I sessanta deputati del passato governo del centro destra eletti in Sicilia dimostrano come si stava ideando un ponte di carta, una raccolta di finanziamenti che sarebbero finiti tra Scilla e Cariddi, per decenni il ponte non sarebbe iniziato, ma le risorse economiche sarebbero giunte puntuali, magari con appoggi bipartisan nell’approvazione della Finanziaria.

Purtroppo ciò che rovina l’Italia non è solo l’ineducazione ai doveri – soprattutto pagare le tasse – ma l’infima astuzia che, fregando lo Stato, si pensa d’acquisire l’onore d’essere furbo e intelligente. Invece occorre che qualcuno la canti che è un reato, che va contro la costituzione. Berlusconi ha insegnato a mentire e a “rubare” allo Stato. Ha sollecitato decine di volte di non pagate le tasse. Noi dell’Italia dei Valori i “valori” ce li abbiamo radicati nel partito. Qualcuno è restato confuso, perplesso sul fatto che il capo del governo invitasse a sfuggire alla tenaglia del Fisco. Eccoci dunque spogli di “valori”, annullati, presi per il di dietro perché, se la maggioranza della gente che ci è attorno non distingue il “valore” insito in un partito come IDV, non ci sarà mai democrazia, solo demagogia. Che è stata per lo più la pietanza scodellata per cinque anni agli italiani. I risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Ti confesso che sono incavolato, non per l’aumento delle tasse anche a me, che pagherò secondo le nuove aliquote di Visco, ma per il fatto che l’opposizione allora non sapeva leggere il bilancio dello Stato. Chiudere la stalla quando i buoi sono scappati è azione degli sciocchi! Mi trovo a plaudire Travaglio e Moretti (sic!). Prodi, che è un ciclista, dovrebbe sapere che arrivare secondo è il primo di tutti gli sconfitti, talvolta il più fesso: e nessuno lo ricorda.

Bisogna rigenerare la verità per rinvigorire il valore. Difficile. Con i trabocchetti delle televisioni di Sua Emittenza, e gli yesman a disposizione in ogni dove, a noi rimane la parola, l’antico passaparola dei saggi che, alla lunga, finiva in tutte le orecchie. Sai dirmi un politico attuale con capacità e destrezza di superare l’Ostacolo (Berlusconi)? Io non ne vedo alcuno. Provo tristezza nello scoprirmi con gli occhi spalancati su una moltitudine di “sordi”.

Accettare o no la sordità

Ottobre 17th, 2006
Per comprendere meglio il mondo del Silenzio presento, ai miei lettori, due realtà: l’una di persona che si accetta nella sordità, l’altra la sfugge e combatte.
   Credo che abbiate udito o letto la parola eutonologia. Studia la scienza di «star bene nella propria pelle». Proposta dal filosofo e biologo Henri Laborit, nonno di Danielle, sorda, attrice e autrice del libro autobiografico Il grido del gabbiano. Molti sordi dalla nascita o divenutili durante lo sviluppo chiedono alla società di maggioranza d’essere compiutamente nella propria pelle. Molti incontrano difficoltà in questo, anzi gli divienta impossibile. Ci sono genitori che, già nei primi mesi di vita del piccolo, decidono per l’impianto cocleare. Ho un amico otochirurgo a cui ho chiesto quante possibilità ci sono (anno 2003) per percepire, non solo “sentire”, la parola nella completezza… Ha risposto: «Poche.»  Ciò indica che, l’imperfetto ascolto, limita la memorizzazione e, di poi, il richiamo mnemonico e la strutturazione del linguaggio sonoro-verbale. Agli impiantati (pare) venga limitata l’attività sportiva competitiva, talvolta anche ludica, attraverso la quale, molti di loro, entrano in relazione con i coetanei udenti riportandone gratificazione. Sono bambini impediti a divenire se stessi.
  La sordità grave o meno grave conduce alla complessività psicologica, ad una rielabotazione dell’Io. Ne ho parlato nelle mie ricerche sull’inconscio. Per ora mi ripeto affermando che la sordità è una filosofia esistenziale. Capisci gli altri da come tu sei accettato e trattato nella tua caratteristica di sordo. Il miracolo dell’Effeta (apriti) non può avvenire. Non puoi strapparti gli orecchi. Sei «sordo» negli orecchi. Ma se l’indicazione finisse qui non è un ludibrio: lo diventa quando ignoranza e pregiudizio della gente colpiscono mente e psiche del sordo!
   C’è la persona sorda che non si accetta, non perché soffre la disabilità sensoriale, ma perché si ritrova inconsiderata nella società o gruppo professionale o amicale. Ecco che il tutto si sposta nell’accettarsi ed essere accettato.
   Ho visto nel corso della mia atttività professioanle di  psicologo decine e decine di drammi: genitori in lite per accelerare l’educazione del figlio «a parlare bene». Come se l’obiettivo parlare fosse l’unica etichetta visibile per accedere alla cosiddetta normalità, da far «udire» al parentado, ai vicini di casa. Ho visto ragazzine sorde allontanate dai coetanei o giovani non udenti dalle rispettive madri e sospinte, letteralmente, nelle braccia dei compagni di classe udenti «perché - essendo udenti - impareranno a parlare bene».

La partecipazione dei disabili alla politica

Settembre 15th, 2006

E’ mia volontà partecipare alla gestione del partito, essere propositivo nel confronto con gli altri iscritti e simpatizzanti. Esaudire questo desiderio è difficile perché, senza che nasconda la verità, taluni non hanno compreso niente sull’apertura dei partiti ai disabili, in particolare sensoriali. Ci vogliono strutture adeguate, personale idoneo per superare le “barriere”. Invece si continua con i luoghi comuni offendenti la mia cultura, il coraggio dell’intelligenza quali “tu sei una risorsa”, “sei il nostro valore aggiunto”, “apri la via agli altri… “. Parole.

La verità è che non sono nulla sino a quando il partito non si libererà dai pregiudizi e dall’ignoranza. Per rendere attivi i disabili in politica ci vuole coraggio tra i dirigenti, lungimiranza e saper rischiare, vale a dire l’onestà di svolgere un monitoraggio se il proprio partito è pronto all’accoglienza. Perché diviene un boomerang – per il partito - lamentarsi o denunciare all’opinione pubblica le leggi non applicate quando, nel proprio, sono escluse le migliori potenzialità dei diversamente abili. Rinnovare è anche (o soprattutto?) valutare le nuove forze che attendono sulla soglia. Io e tanti altri ci siamo stancati di delegare i nostri problemi – si badi bene! – agli incompetenti “normali”. Se oggi sono ricercate meritocrazia e competenza non possiamo far finta di niente dimenticando le energie di persone che, al limite, auspicano la soluzione dei propri problemi.

Nelle Lamentazioni, 4-4 leggiamo: “I bambini chiedevano il pane e non c’era chi lo spezzasse per loro”. I disabili chiedono di superare le “barriere”, non solo quelle “architettoniche”, come credono i soliti che si fermano alla prima valutazione, ce ne sono molte altre, e più gravi: quelle della comunicazione con gli audiolesi e non udenti gravi. Helen Keller, la nota sordocieca, ebbe a dire che “Quando diamo il meglio di noi stessi non ci rendiamo conto di quale miracolo si compie nella vita nostra e degli altri”. Proprio a quest’osservazione volevo approdare: umanizzare la politica, prerogativa in casa di quei partiti che hanno leader che sanno procurare, per ogni iscritto, lo spazio di accoglienza e di espressione che diventano allora vera risorsa, non vuoto slogan come troppo spesso càpita.