Ho sempre pensato che la sordità si vince con la cultura. Un sordo ignorante è doppiamente svantaggiato (handicappato) perché non sa interpretare i significati della lingua scritta e parlata del proprio Paese. Pertanto è fondamentale, per il progresso sociale del sordo, impegnarsi per un’efficace scolarizzazione nella scuola pubblica. Ho scritto, qualche anno fa, un lvolumetto polemico contro la allora ministro della P.I., Letizia Moratti, rifacendomi alla proposta del Priore di Barbiana, Don Milani. Il titolo del libro, firmato con lo pseudonimo «Scuola di Silenzio», Lettera ad una Ministro (e dintorni), Armando, Roma 2005, non ha avuto, ovviamente, risonanza sui giornali e/o riviste nazionali perché non ho ‘entrature’ negli stessi né sono furbo a creare casini. I burocrati del ministero e gli interessati del governo, anche perché le elezioni politiche erano alle porte, si guardarono di scendere in polemica con un protagonista. Questo muro di gomma mi irritava molto. Durante le riunioni al ministero ero presente. Ricordo la coordinatrice del Gruppo, D.ssa Maiolo, del Gabinetto della ministro, ora al comune di Milano a seguito della Moratti, combattuta, durante le riunioni delle associazioni nell’ampia sala adiacente la segreteria del ministro, verso di me tra ammirazione e rabbia di buttarmi fuori. Frenata tuttavia nell’agire perché componente ufficiale, per l’Associazione ENS, del gruppo di lavoro del ministero per «l’integrazione degli handicappati».
Un Paese che nasconde proposte per il progresso scolastico e culturale dei disabili sensoriali gravi, sordi e ciechi, è destinato a peggiorare di anno in anno nell’istruzione pubblica, viene meno alla principale funzione di Stato democratico per le pari opportunità tra ricchi e poveri, disabili e normali.
La cultura che io sognavo - e proponevo - era oltre, non bazzicava il sottobosco culturale. Durante gli anni romani avevo frequenza di contatti con Cesare Zavattini che, più volte, mi aveva portato nella famosa radiotrasmissione «Chiamate Roma 3131». Per un sordo non è facile parlare alla radio. Perché non può ascoltarsi. Ricordo la pazienza dello scrittore e sceneggiatore Zavattini nell’insistenza a ripetere quel che volevo dire. Mi teneva, prima di andare in onda, un’ora di esercitazione di prove. Mi consigliava come ’staccare’ le parole, anche sentendo con la mano, tenuta a contatto della gola, le vibrazioni delle corde vocali, «altrimenti te le mangi» diceva. Per non deluderlo mi impegnavo molto per non creare un’insalata di fonemi: esperienza che mi sarà utile nella professione di psicologo e nelle lezioni all’Università di Macerata.
Nel 1981, con gli amici sordi del Centro culturale per sordi di Civitanova Marche, proposi un concorso nazionale di poesia a tema fisso: «Handicappato, chi sei?». Era intenzione verificare cosa pensassero, i cosiddetti normali, sulle realtà dell’handicappato, come comunemente era indicato. Al concorso parteciparono oltre 150 poeti di tutt’Italia. La Giuria, presieduta dal prof. Luigi Martellini di Fermo, qualche anno dopo sarà professore ordinario di Letteratura italiana all’Università della Tuscia, Viterbo, era composta dal poeta prof. Guido Garufi di Macerata, dal giornalista Dr. Giampiero Cavalli di Civitanova Marche e da me. Vinse il concorso Francesco Mannoni di Arzachena, Sassari con la poesia «Inno», con la seguente motivazione: «Per la problematica del discorso poetico e la complessa articolazione del linguaggio che si svolgono attraverso una ricerca stilistica e formale autonoma e sicura, densa di significati e carica di introspezioni psicologiche». Riporto il testo.
Inno
- Mi doneranno certo chiare immagini, altra indulgenza e pause
- fossilizzate nel clamore indegno che impiaga tutta la mia vita.
- Vergogna, ingiusto sentimento, più volte mi ha distolto e addolorato.
- Uomo senza vene d’uomo urlo la pena che aggroviglia il cuore.
- E l’amore, il negato amore che sbrana l’insaziata viltà
- della parola esplode a fiotti e mi sommerge di rosso stordimento.
- Sia dannato il mio tempo e tutto ciò che in ferrose ingiunzioni
- mi confina. Sono isola chiusa nel fragore della tempesta
- che sventagliando sfrana i profili della terra. Mi si doni
- qualcosa che rapisca la mente perduta nel chiarore d’una gioia
- sovrana. Sia appagata la mia sete umana di baci e chiarezze,
- la necessità che affonda unghie avvelenate nella carne
- - insulso poema d’orrori - e si compia l’epopea dell’epico abbordaggio.
- Venga avanti la primula tracciando giro d’astri nel suo passo
- e al soave mùrmure si distenda su giacigli infiorati di mimosa.
- Non chiederò da quali anni provenga né quali riti a me
- concessa. Ascolterò battiti e sospiri senz’altra volontà
- che l’annullarmi nei suoi abbracci. Chiederò il bene
- il dolce miele dell’istinto, la tenerezza di soffusi incanti
- nei pensosi loggiati del meriggio quando disciolto si rovescia
- il sole sulle palpebre schiuse alla congiura.
- Null’altro assecondi la prestigiosa voluttà del cuore
- né m’insozzi l’errore d’un sol dubbio. Nel pianto della mia
- desolazione cresce l’inno che spalanca il cielo.
- L’amore non ricerca nel suo vivere preordinate regole di vita.
- Sia l’uomo ciò che medita la gioia non la dignità musa ferita.
Francesco Mannoni (Da Handicappato, chi sei?, Centro Culturale ENS, Civitanova Marche, 1982.).
Volevo dare un segno di presenza, di coscienzazione delle problematiche che sperimentavo/sperimentavamo ogni giorno. Il concorso «Handicappato, chi sei?», ebbe risonanza regionale e nazionale. L’anno seguente proposi al sindaco di Porto Recanati, Dr. Luigi Matassini, di continuare l’esperienza conservandone spirito e organizzazione. Era la genesi del 1° concorso internazionale di poesia «Città di Porto Recanati», per il quale per decenni mi sono speso, con presenza di poeti di chiara fama provenienti da tutto il mondo. La Giuria preseduta da personalità (Valerio Volpini, Luigi Martellini, Leonardo Mancino, Guido Garufi, Gastone Mosci, ecc.) che hanno tracce nella storia della letteratura italiana.
Mi spingeva il coraggio: uscire dalla commiserazione del popolino per indurre la società normale a riflettere. Sarà la mia bandiera d’attacco negli anni successivi.