Camminare il mondo

Settembre 24th, 2008

Piero Camporesi, studoso di etnografia, alcuni anni fa pubblicò un libro Camminare il mondo. Vita e avventure di Leonardo Fioravanti medico del Cinquecento, riproposto dall’editore Garzanti nel 2007. Fioravanti iniziò a… camminare dalla Sicilia risalendo sino a Napoli, da Roma a Venezia, da Ferrara a Milano e, mentre marciava, «stava in mezzo alla gente». Lo studioso ammira Fioravanti tanto da affermare che «sapeva per esperienza che la Terra era un viscido labirinto pieno d’inganni e gabberie nella qale solo chi sapeva nuotare riusciva a galleggiare e soprvvivere, nella migliore delle ipotesi in una gabbia di matti».

Le vicende di questi giorni sulla compagnia aerea nazionale Alitalia ci induce a pensare che a galleggiare, pardon a volare, è sempre il signor Cavaliere Berlusconi. Costui non “cammina il mondo”, condiziona le menti della gente con le sue televisioni.  Berlusconi inventa i problemi entrando come il cucculo nel nido di altri volatili, crea scompiglio sino a quando non li sfratta. Poi scarica le malafatte agli oppositori politici, ad enti o istituzioni dello Stato sino a quando la sua strategia sia vincente. Ormai nessuno più crede  a Berlusconi, ammesso che le persone intelligenti e colte gli abbiano una volta creduto. Il Corriere della sera del 24 ottobre 2008 riportava un’intera pagina di riflessioni e interventi di massmediologhi sulle lettere d’insulto e maledizioni inviate nel sito di Forza Italia dagli italiani. Il responsabile dello stesso e della propaganda elettorale, Antonio Palmieri, affermava che fosse giusto che Berlusconi sappia, a parte i plausi e l’alleluia, che una marea di gente lo odia, lo disprezza, addirittura lo vuole morto. Tuttavia conclude che il Cavaliere, pur non avendo studiato McLuhan, è maestro di media per girare a suo vantaggio le opinioni negative provenienti dalla gente comune. Ci riesce perché siamo il paese delle passarelle, pronti a correre dalle emittenti televisive per dire la nostra, apparire insomma, a scapito del controllo del nostro cervello, della cultura o testimonianze edificanti. Troppi politici sono ospiti delle televisioni del Cavaliere: e si svalutano. Perché apparendo la gente sospetta che “sono tutti uguali” indipendentemente di ciò che dicono. La gente è stufa del virtuale, cerca il rapporto diretto con le persone, la testimonianza, vederti in faccia chi sei e cosa sai fare. Quando scendiamo sul terreno televisivo di Berlusconi è sconfitta certa. Perché ha risorse economiche che utilizza per il consenso immediato, per prostituire la verità, per comprare supporti dai suoi palafrenieri, che lavorndo professionalmente sull’informazione rende il vero per  falso e viceversa affinché possa  rispondere il giorno dopo: “Mi hanno interpretato male”, o «I giornalisti scrivono quel che vogliono, io non ho mai detto… ».

Spostiamo l’attenzione dall’udito al cervello del sordo

Settembre 15th, 2008

Quando do una tesi sia alle giovani laureande della Facoltà di Scienze della Formazione che alle docenti che conseguiranno la specializazione per l’insegnamento ai soggetti disabili noto che l’elaborato è focalizzato - attaccando il I capitolo - sull’immancabile sordità, considerata come deficit che blocca il processo d’apprendimento. Ciò fa pensare che, il candidato, dispone il lavoro con una mentalità stutturata esclusivamente sulla parola verbale, di udente, forgiata sulla/dallla verbalità. Ripete gli stessi argomenti e definzioni a iosa. Il modello da seguire è sempre l’udente, il coetaneo che ha la fortuna di sperimentare e utilizzare le parole verbali.

Vero che la mancanza d’udito è uno svantaggio a livello d’apprendimento immediato, ma non si fa sufficiente ricerca psicocognitiva, linguistica e metodologica per aggirare l’ostacolo del deficit sensoriale affinché sia possibile condurre il bambino sordo verso l’attività d’apprendimento col canale intatto (la vista). Il deficit è considerato, appunto, esclusivamente deficit ed è scaricato sul bambino, no sul docente o l’operatore che lo assiste nello sviluppo. Gesell, pedagogista e studioso di problematiche dei soggetti disabili, alla fine degli anni Sessanta del secolo scoro scriveva che non è normale essere sordo, «ma i sordi sono individui perfettamente normali se noi li aiutiamo a superre i vari problemi del loro handicap». Il sordo diventa un soggetto equilbrato nel momento in cui noi riusciremo a sviluppare un processo d’apprendimento efficace. Non è impegno plausibile e di lavoro scientifico disporre la programmazione didattica pensanta, e proposta, esclusivamente da chi ha sperimentato processi d’apprendimento con gli orecchi. Andare oltre per organizzare una didattica per venire incontro ai sordi vuol dire studiarne le azioni cerebrali  e i meccansmi percettivi, avere  la forza d’immaginazione di immedesimarsi nel loro esistere (cfr. Renato Pigliacampo, 2008).

Il chioccolo dell’educazione religiosa

Agosto 27th, 2008

Nel tempo della frequenza delle scuole specializzate (gli ex-istituti per sordomuti) l’educazione religiosa era seguita regolarmente, in talune sedi imposta ai collegiali. C’era sempre qualcuno che non comprendeva le azioni liturgiche, intendo a livello teologico. Il celebrante compiva ogni sfozo per apprendere i segni più efficaci perché la Messa fosse seguita con attenzione e trasporto. Il ministro sollecitava un collegale diligente di insegnargli “i gesti”. Per la verità il compagno diventava il chioccolo per coinvolgere gli altri, talvolta in parecchi non cascavao nel tranello.

Padre Thomas McCoughlin, sordo dalla nascita, per trent’anni ha esercitato il suo apostolato nelle diocesi di Honolulu (Hawai), Denver (Colorado) e San Francisco (California); sin dall’inizio del suo ministero nella parrocchia di San Francisco è stato incoraggiato dal Cardinale William Joseph Levada, Prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede. Per Padre McCoughin l’apostolato tra i sordi era tutta la sua vita, tanto che pensò - e fu dai superiori incoraggiato - di istituire una comunità di religiosi che si occupasse esclusivamente della crescita religiosa dei sordi. La liturgia era ovviamente svolta in lingua dei segni. I sordi non stavano più in chiesa immobili come statue e il capo rivolto ai capitelli, partecipavano alla Parola. Perché il Verbum, come non mai, si faceva Signum nel linguaggio comune tra celebrante e assemblea sorda. Il sacerdote era un protagonista chiamato a svolgere il ministero tra i simili: e i presenti lo sapevano accettandone sermoni e consigli.

Il lupo perde il pelo non il vizio

Agosto 23rd, 2008

Che Berlusconi utilizzi le menzogne (non scrivo bugie perché è un attributo innocente, infantile) lo sa tutt’Italia ma che ostentasse per il proprio tornaconto politico le parole dei morti non lo sapevamo (…).
Maria Falcone, sorella del giudice Giovanni trucidato  dalla mafia sull’autostrada per l’aeroporto di Palermo, ha tagliato corto alle estemporanee sortite sulla riforma della magistratura del capo del governo. Ha detto ai giornali: «Non si faccia dire a Giovanni cose mai dette.». Scommettiamo che, come accade di frequente, sua Emittenza controbatterà d’essere stato interpretato male. «Tutta invenzione dei giornalisti». Ma è insospettabile che settimanali come Famiglia Cristiana, o addirittura il segretario dell’Associazione magistrati, Giuseppe Cascini, ammettano: «C’è il rischio di fascismo… ».  All’incirca un mese fa il leader dell’Idv dichiarava siamo all’inizio di una «dittatura dolce». Di Pietro in lingua italiana non gioca di fioretto, parla con una semantica di getto. Tuttavia il fascismo non è mai “dolce”, è solo fascismo, va interpretato  sul fatto che i detentori di potere eludono le regole o le governano per il proprio tornaconto, soffocando ogni opposizione. Di Pietro conoscendo bene Berlusconi, per le vicende giudiziarie, ha colpito nella realtà. Se potesse, Berlusconi, eliminerebbe il ministero della Giustizia per fare amministrare i reati dai prefetti, in particolare contro coloro sollevino questioni di opposizione politica. Esperto com’è di leggi e regole ad personam se la caverebbe benissimo anche senza il ministro addomesticato Alfano.
A Piazza Navona l’8 luglio 2008 era stata invitata Sabina Guzzanti, maestra di satira. Ella aveva capito tutto, idem a Grillo, Travaglio, Moretti e un ristretto numero di persone che non hanno mandato al macero il cervello (…). Aleksandr Puskin aveva dichiarato: «Dove non arriva la spada della legge, là giunge la frusta della satira.» E’ evidente che Berlusconi teme i comici, l’unico antidoto all’addomesticamento cerebrale compiuto con le proprie televisioni e giornali. Purtroppo per lui Veltroni è «il gatto con i guanti (…) che non acchiappa i topi» (B. Franklin). Non è un caso che il topo di campagna di Montenero di Bisaccia, senza guanti e col suo parlare alla buona, ha intuito la politica del Cavaliere accentrata ad personam. Bisogna liberarsi da questo capo di governo che utilizza il piffero magico per imbrogliare gli ingenui topini sobillati dai voltagabbana, dagli arrivisti,  dallo sculettare delle veline, dagli pseudoartisti e dal sottobosco del potere. Berlusconi strappa dalla  bocca di Falcone frasi per riformare la Giustizia italiana con l’obiettivo finale che sia subalterna all’esecutivo, altro che magistratura indipendente! Eh sì, elementare ricordarlo: il lupo perde il pelo non il vizio.

I sordi sono usciti dal sonno

Agosto 19th, 2008

A volte traciamano su di me come ebefrenici torrenti in primavera delle mie Marche e-mail di lettori del mio sito, dei miei libri, delle mie poesie sul Silenzio e così via. Sono madri di bambini con orecchi gessati, fidanzate udenti di sordi, e  anziani genitori sordi smarriti sulle nuove tecnologie e sulla comunicazione digitale (…). Il fax di casa, d’ufficio e l’indirizzo di posta elettronica sono ingorgati. I mittenti chiedono risposte.

Mi interrogo sul perché siamo usciti dal sonno solo adesso? Perché i sordi italiani hanno tanta frenesia, oggi? Che mèta d’improvviso puntano? Questo popolo dimenticato dal potere politico, nascosto dalle «persone per bene», avvilito per decenni avvezzato alla mutezza ora ha scoperto di poter accedere all’informazione, alla lingua scritta e parlata, alla lingua dei segni. A proposito tutti i sordi raggruppati nella principale associazione nazionale, l’ENS, parlano di Lingua Italiana dei Segni. Guai criticarla! Perché, giustamente, la lingua non va criticata: la si impara dal gruppo di appartenenza, dai coetanei o da chi è più grande di te. E se ne resti «vuoto» la colpa è solo tua. I sordi sono divenuti gelosi della loro lingua. Vogliono individuarvi la propria identità: e precedendo come microcomunità strutturata e caratterizzante da una disabilità specifica modificano la comunità di maggioranza.

Ho riflettuto su questo, e nella comunità sorda italiana sta avvenendo, ovviamente in miniatura, quel che accade in parecchie zone etniche del mondo: il riconoscimento dell’identificazione socioculturale, linguistica e politica. Il popolo silente si è accorto,  in quest’ultimo decennio, che è stato soggiogato da quello udente. Ha subìto disposizioni: «devi frequentare quella scuola», «devi imparare questa nostra ingua», «devi frequentare questi amici» e così via. Il sordo non ha mai maturato la libertà di scelta, gli è stato imposto di scegliere quel che altri - attribuitisi il concetto di normalità - gli hanno  imposto di scegliere. Così ha sempre iniziato il suo percorso di vita in handicap, a rincorrere angosciosamente il cosiddetto normale. Gli è stata fatta intravedere una realtà presunta, mentre gli veniva soffocata (in altri nascosta) quel che sarebbe divenuto. La potenzialità dello sviluppo intellettivo, psicologico ed emotivo è stata sacrificata al virtuale, alla demagogia degli esperti - e guarda caso - erano costoro prototipi e sacerdoti della normalità.

Avevo intuito le possibilità del sordo se istruito bene. La creatività compariva nella sua lingua di movimento. Io, giovane studente che scavava nel Sapere, proponevo il “nuovo” quando taluni difendevano il “vecchio”: e lo rivangavano per il fatto di non essere capaci di accendere la scintilla dell’idea, che sortiva - ciechi! - proprio da quella lingua generata dalla visività e motilità.

I sordi non istruiti con attenzione, non esposti coerentemente alla lingua dei segni, alienata con definizioni neglette - «gesticolano come scimmie», «la mimica non accede all’astrazione», «i gesti non li conosce nessuno» - da maestri stolidi adagiatisi nella mediocrità e ignoranza! (…). Eccoli  ugualmente i sordi dare un colpo  sporadico d’ala nel lavoro manuale, nella pittura di afreschi e tele seppure analfabeti (!), dando ragione all’intuizione di Leonardo da Vinci che, i sordi, parlano «con i movimenti delle mani, e degli occhi, e ciglia, e di tutta la persona, nel voler esprimere il concetto dell’animo loro».

Ho notato negli anni menti via via spegnersi perché non alimentate dalla cultura, dalle conoscenze fornitegli dai precettori. Ma è una storia educativa e d’istruzioe ancora presente. Gesù pronunciò la famosa frase: «Scagli la prima pietra chi è senza peccato!». Ebbene io mi alzo in piedi, dico a chi si ritiene insegnante di sordo senza macchia: «Pronuncia forte al collega il metodo appropriato per insegnare all’alunno con gli orecchi spenti». Non credo che assisterò a tanti presuntuosi docenti che si proclameranno efficaci nell’insegnamento dei sordi. Questo confessa una verità sacrosanta: la società non ha mai compiuto lo sforzo per venire incontro alle necessità della popolazione scolastica sorda. Si è solo esercitata a parlare ai sordi secondo i propri comodi. Quando ne era stufa forniva la risposta scontata:  «dopo, dopo ti spiegherò», oppure «migliora la tua labiolettura».

I sordi devono imparare a pensare e ad agire con la propria testa, cioè divenire protagonisti. Non farsi adulare per il fatto di aver ottenuto il successo o compiuto quel che ha eseguito l’udente. La verità è che non sei scemo. La sordità, se sei istruito, è la ruota di scorta che ti farà continuare nella corsa quando l’altro ha  bucato  e non sa come risolvere il problema o come rimettersi a ricorrere.

Non pensare sempre che, perché sordo, gli altri devono sopportarti e giustificare le tue manchevolezze. Se chiedi il loro adattamento alle tue esigenze di comunicazione è bene che tu compia lo sforzo di adattarti alle loro. So bene che verrà detto «Facile dire, ma… ». I sordi intelligenti devono liberarsi del «ma». Perché è la prima prigione, l’incatenamento alle cose ovvie. Sono chiamati a rinnovare le azioni, la cultura del bla-bla. Hai capito che la LIS serve proprio a questo? A rimettersi in gioco in modo differente perché la struttura cerebrale sta lavorando proprio sui processi innovativi afferenti alla diversità percettiva. In queti anni le ricerche neurologiche azzittiscono i denigratori della lingua dei segni. Il cervello dei sordi lavora differentemente. Il neurologo Giacomo Rizzolatti (So quel che fai, R. Cortina, Milano 2006) indagando sul cervello delle scimmie ha fornito  risposte convincenti per comprendere meglio l’attività cerebrale dei soggetti che adoperano per caratteristica naturale - come i sordi - prettamente il canale visivo per stimolare i processi psicocognitivi. Ma pochi sordi sono all’avanguardia per indagare… se stessi, la propria sordità. Non basta dire o accennare il possesso di una madre lingua valutata nella lingua dei segni, la propria identità culturale per sentirsi appagati e potersi confrontare senza rischio (…).

Bisogna studiare, apprendere, capire. Troppi sordi si adeguano su percorsi che sono letteralmente scorciatoie… del sapere. Il volume di certi tomi su cui devono preparare gli esami universitari li spaventano: e avviene di chiedere ai profesori un testo abbreviato, un sunto perché, ammettono senza imbarazzo, hanno difficoltà di comprensione della lingua italiana. Eh, qui cade tutto! La sordità è una scusa, un imbroglio per non faticare. Non c’è giusificazione a questo. Diventiamo e/o siamo come tutti precipitando nella massa: e là  dove c’era ricchezza, ideazione per progetti nuovi troviamo accortezza, furbizia. I sordi, per scoprire le loro capacità, si allontanino dagli udenti: imitandoli è tutto a loro svantaggio.

«Il lodo Alfano»

Luglio 27th, 2008

Per Berlusconi «il lodo Alfano difende la democrazia». Poi si espone durante un’astuta conferenza stampa sul fatto che per quattordici anni è stato perseguitato dalla Magistratura. Dimentica di dire che egli stesso ha sempre disattivato le norme, allo scopo di favorire i propri interessi economici e di potere, e quelli dei solidali. Ottenuta la vittoria nelle elezioni politiche dell’aprile 2008 con messaggi improntati sulla bugiardaggine, di facile presa sulle menti non avvezze al ragionamento, ha poi preteso priorità di programmazione politica per mettere a tacere la Magistratura non considerandola (cfr Carta Costituzionale) istituzione indipendente ma sottomessa al Governo. Eccolo utilizzare il “lodo Alfano” prettamente per non farsi processare, legge ad personam. Antonio Di Pietro ha affermato che assistiamo ad una «dittatura dolce», eufemismo fuori luogo. La dittatura lo è o no. Berlusconi nega la Giustizia, le leggi dello Stato, meno quelle proposte dai parlamentari del suo personale partito: protervia e privilegio diseducante per i giovani. Agisce nella menzogna, differente dell’astuzia perché studiata “a tavolino” per denigrare l’avversario o soggiogarlo. L’ex-ministro del governo Prodi, Mastella, se ne è accorto tardi, un pivello della politica (!). Che farne di un capo di Governo così? E’ l’impegno preso da Antonio Di Pietro con i propri elettori: frenarne l’escalation  megalomane, nell’attesa che il popolo non ricada nella credibilità nella prossima sceneggiata elettorale di tali personaggi pretendenti a guidare l’Italia.

Gli studiosi che facevano scuola nella formazione dei docenti

Luglio 23rd, 2008

Sino a metà degli anni Settanta del secolo scorso c’era ritrosia per condurre approfondimenti e ricerche sull’istruzione ed educazione dei sordo(muti). Il motivo evidente: i laici che insegnavano nelle Congregazioni religiose si guardavano bene di pestare i piedi o di contraddire i maestri conclamati tali sia dalle stesse Istituzioni sia dagli allievi. Prevalevano studiosi ecclesiastici: da una parte i Profico, gli Elmi, gli Zecchini, dall’altra alcuni laici come i Francocci, i Gaddi, gli Scuri e pochi altri.  Coloro  che avevano supporti politici e/o vertici di Curia dirigevano le «Scuole di Metodo» dalle quali uscivano i nuovi docenti che iniziavano ad istruire i sordi nelle poche scuole statali, per la verità solo tre; le altre erano governate dalle Congregazioni religiose e alcune dall’Ente Nazionale Sordi  (ENS). Ma perché i cosiddetti laici non si davano alla ricerca, agli studi comparati eccetera? La risposta è semplice: molti di loro erano privi del titolo accademico. Non sapevano come si predipone una tesi di laurea. Non scherzo; pertanto non avevano idea di esercitarsi su un programmato lavoro scientifico; al massimo si davano alla prosa (…). Insegnavano col metodo appreso dai loro maestri nelle Scuole di Metodo. Ricordiamo che parecchi di loro erano reclutati dalle Congregazioni o da Enti allorché - rimasti esclusi dall’accesso alla cattedra per i normodotati - erano reciclati per l’insegnamento ai «poveri sordomuti». Insegnavano per mesi, talvolta per l’intero anno scolastico addirittura gratuitamente, per il solo fatto di conseguire il ‘punteggio’. Inoltre i neo docenti non entravano in sintonia con gli alunni, salvo eccezioni. Sicard, successore nel famoso Istituto per sordomuti di Parigi di Padre de l’Epée, paragonava il cervello del sordo non istruito ad una pagina bianca, tabula rasa, considerandone i sensi spenti, incapaci di condurre lo stimolo all’apparato cerebrale. Si attendeva che qualche studioso, di buona  volontà e sveglia intelligenza, iniziasse ad indagare sui processi linguistici visivi dei sordi, sulla memorizzazione e altro ancora. Le Università italiane, solo all’alba del terzo millennio, proporranno moduli d’insegnamento di discipline quali Psicologia dell’handicap, Laboratorio per i linguaggi del sostegno (Moduli  per l’infanzia e scuola primaria) e altri insegnamenti nei corsi (affrettati) per il sostegno nella scuola secondaria. Pochissime Università hanno dato incarichi a sordi laureati in lingue o in psicologia. Anche perché  un numero considerevole di studenti sordi hanno conseguito la laurea in fretta, sospinti da chi li ha accompagnati nell’itinerario accademico, gli interpreti, i quali - per evitare la disoccupazione - diventano avvocati difensori di una comune causa! Molti sordi, che si apprestano oggi alla docenza come incaricati all’insegnmento dell LIS (Lingua Italiana dei segni), mancano letture riflessive su L.S. Vygotskij, su (de) Saussure, su Piaget, sulla Montessori, su Lurija, senza queste basi sono modesti «addestratori» di una lingua che, i futuri docenti di sordi, potranno anche apprendere nella ripetitività del segno motorio, ma con deficienze teoriche che gettano ombre sulla didattica e dubbi su chi ne segue le lezioni.  Ma se da una parte assistiamo ancora a docenti sordi o audiolesi con carenze nella propria diciplina insegnata, la lingua dei segni, dall’altra notiamo anziani docenti che, al termine della loro carriera «linguistica-logopedica», come il recente testo di Giuseppe Gitti, Sordità e apprendimento della lingua, FrancoAngeli, Milano 2007, induce a confendere chi si avvicina alla conoscenza scientifica dei processi psicocognitivi e linguistici del sordo. Gitti ha sempre escluso dalla sua attività riabilitativo-logopedica la lingua dei segni, giudicandola non lingua o prettamente mimica. Oggi, nella sua terza età attiva, recatosi in Africa ha notato che, anche ivi, i sordi segnano, optando «che nessuno può negare alla persona sorda di utilizzare la LIS o di frequentare chi e la comunità che vuole» (op. cit. p. 114). Gitti non ha mai sperimentato la LIS nell’interrelazione con i sordi perché non la conosce come lingua ma (forse) sa eseguire qualche segno. Di fatto non la esamina da linguista, la considera un obbrobrioso mezzo che soffoca la possibilità di apprendere la lingua verbale.

A questo punto ci sono due riflessioni: da una parte pochi ricercatori sordi italiani sono all’alteza di difendere e rispondere scientificamente che la lingua dei segni è efficace mezzo per esprimere il pensiero e l’emozione; dall’altra ci sono ancora “maestri” formatori di logopedisti e insegnanti di sostegno con pregiudizi e carenze che bloccano le intelligenze non temprate. E’ bene studiare la LIS - come vogliono i sordi - ed è giusto che sia così. Ma ricordiamoci che la risposta per il nostro reale progresso linguistco (non solo nell’accoglienza e utilizzazione della LIS nell’interrelazione) è nella full immersion visuomanuale in cui la primaria lingua si coniuga con la vocale, troppo spesso dal sordo considerata ‘pesante’ e che, con l’altra, si sposa per aprirgli le ali e oltrepassare chi si fossilizza sulla lingua  scaturita  dall’orecchio e dalla struttura labiobuccale (..)..

La Guzzanti, Al Tappone e…

Luglio 11th, 2008

La rivista MicroMega  (www.micromega.net) diretta da Paolo Flores d’Arcais e l’IdV di Antonio Di Pietro, con i ‘preistorici Girotondini’ hanno deciso di scendere, l’8 luglio 2008, in piazza: la stupenda Piazza Navona in Roma. Fino alle 20,30 di sera la manifestazione di protesta, per il cosiddetto «Lodo Alfano», - racchiudente la proposta del ministro della Giustizia che, osservandone la fisiognomica  può  essere considerarato a proposito per i conforti politici di Al Tappone - tutto è andato  sul progamma predisposto. Poi entrano in scena la Guzzanti (satira) e Beppe Grillo (menestrello del popolo) e sparano bordate sulle alte cariche dello Stato. La ragione e il plauso della gente per l’iniziativa di Antonio Di Pietro e altri diventano un boomerang per taluni scurrili attacchi dei due contro Benedetto XVI, il Capo dello Stato e la ministro Carfagna.

Le cose sono serie, anzi due fondamentali: l’una è che non si può più criticare (la democrazia vive grazie al giudizio critico del popolo).  La Sabina ho puntato tropo in alto, addirittua Napolitano e il Papa. Ma di grave che cosa ha detto? Semplicemente che Pertini e Scalfaro non  si sarebbero prestati al gioco, non avrebbero mai firmato il “lodo Alfano”; l’altra è che le “sparate” di certi validi, a mio parere Comici, risvegli il sonno della gente, quella gente che gode ai culetti scodinzolanti delle veline, che segue le vittorie politiche di Al Tappone  e se ne gloriano spesso, compresi certi operai che si lamentano di non avere euro sino alla fine del mese!,grazie al “sonno cerebrale” di un’alta percentuale di persone prese, ancora una volta!, per il c* dall’esimio Cavaliere. Da quando Berlusconi è in politica non c’è serietà di decisioni nel dibattito parlamentari. Ci sono politici autocomandati o, appositamente presenti in parlamento, per gesire esclusivamente le quetioni del capo del governo (vedi l’avv. Ghedini e altri). Vi ricordate dell’avvocato ad personam di Berlusconi, Previdi? Ebbene cosa è cambiato da allora? Tutto si ripete alla lettea. Cambiano i teatranti  ma no la trama. Per un obiettivo: fare i cavoli miei e/o interpretare la legge come mi pare e piace! Così è la filosofia di Al Tappone. Ce ne rendiamo conto? No. La gente, secondo i sondaggi di Renato Mannheim, crede ad Al Tappone. Invece il popolo chiede cose elementari, alla portata di mano da tutti, dalla vecchina non ancora rincitruillita all’uomo che ragiona sul semplice: difendersi dalle accuse davanti al giudice. «La legge è uguale per tutti». Dovremmo forse aggiungere sotto «meno per Berlusconi»? Vero che ci sono delle forzature (talvolta) nei confronti del Personaggio Berlusconi, ma diciamo la verità: il  comportamento del capo dello Stato è da statista? Secondo parecchi osservatori è da teatrante. L’unica cosa perché si rivaluti come uomo e cresca vero statista è rispondere alle domande del giudice. Di Pietro ha avuto 265 processi e sempre   assolto di fronte alle accuse. Rimane questa amara considerazione del tipico conflitto freudiano: chi riconosce la colpa è un eroe e si pone al giudizio; il contrario è la fuga dallo stesso giustificandosi  d’essere persecuitato dai magistrati. Più chiaro di così!

Il termine insegnante di sostegno nasconde l’incapacità dello Stato di fornire docenti specializzati

Giugno 20th, 2008

Nei miei molti interventi su riviste specializzate, nelle relazioni ai convegni ho sempre considerato forzatura, fuori luogo, utilizzare la terminologia «insegnante di sostegno», riferendomi al docente che propone la sua attività didattica per alunni con problemi di disabilità. La generalizzazione degli interventi sull’istruzione ed educazione di soggetti con deficit sensoriali, o fisici, o psichici che limitano od ostacolano l’approfondimento di una scolarizzazione efficace, nel nostro caso la popolazione scolastica sorda, lascia sempre  nella mente dello studioso o ricercatore un discorso inconcluso. «Il primo passo» scrive Franco Gavazzi (v. Il Corriere della sera del 15 giugno 2008.) «per una riforma della scuola è quella dell’abbandono dei concorsi pubblici… ». Occorre in pratica che le assunzioni siano decise da chi deve poi rispondere dell’operato del docente. Oggi il reclutamento, come è noto, avviene mediante l’ordine occupato in graduatoria, capita di frequente che un docente di discipline letterarie sia chiamato «a sostenere» discipline per le quali non ha titoli accademici o, al massimo, una base di studi insufficiente. Abbiamo esempi evidenti di laureati in lettere moderne sostenere ragazzi sordi del IV o V anno negli insegnamenti  di Costruzioni o Topografia negli Istituti tecnici per geometri, riducendosi di fatto a  prendere appunti delle lezioni del collega e poi passarle allo sfortunato studente. E’ imbarazzante affermare che questa sia da considerare didattica specializzata. E’ solo un’umiliante occupazione che, la disabilità di uno studente, offre ad un operatore della scuola; a perderci, peggio a vergognarsi di questo modus operandi, sono tutti  i docenti della scuola, in primis i dirigenti scolastici; allo studente problematico è negata una didattica conforme ai bisogni. Cosicché (siamo in Italia!) il docente, pur di avere un tornaconto economico, si presta ad occupare un delicato incarico per il quale non ha il titolo accademico; persino la scuola stessa – nella massima dirigenza  rappresentata dal dirigente scolastico - sa d’inviare in classe un incompetente.  Cerchiamo di essere seri: quale primario di una struttura sanitaria si farebbe carico di responsabilità allorché, per esempio, ad un oculista è messo in mano il bisturi per interventi chirurgici al di fuori del proprio settore professionale o per il quale è stato assunto? Il ministro dell’istruzione, Maria Stella Gelmini, deve ripensare una scuola competente, prima di tutto negli insegnamenti qualificati, vale a dire nell’opera di fornire la prestazione didattica specializzata. Solo il dirigente scolastico, come del resto il dirigente sanitario dell’ospedale, è in grado di sapere l’ «esperto» necessario per il suo reparto per la soluzione del problema e, nel nostro caso, il docente specializzato di didattica da mettere a disposizione del sordo per favorirne il processo di apprendimento. Oggi si sprecano risorse economiche senza cavare un ragno da un buco per l’utilità dell’alunno o studente sordo (faccio riferimento a lui perché è il protagonista a cui muove la mia attenzione da sempre NdA), ma vale  anche per gli altri disabili accolti nella classe comune.  Convinciamoci che la qualità dell’integrazione passa nella corretta scelta delle capacità di chi governa l’istituzione: e questo è imprescindibile dalla frenesia di scalare la graduatoria provinciale per anzianità di servizio o per accumulo di punteggio per numerosa figliolanza, oppure aver prestato servizio in sedi disagiate. Infine solo attraverso l’autonomia della programmazione didattica (fondamentale per il disabile) scaturisce le professionalità del docente. Oggi non possiamo affermare che lo Stato fornisca docenti specializzati per la scolarità dei disabili; talvolta parlarne è un tabù, allo stesso modo di quando indichiamo la disabilità nuda e cruda con i termini sordità, cecità, eccetera. E’ molto facile nasconderci nel generico, nella terminologia «insegnante di sostegno», volutamente scordando che nessun capitano di una nave imbarcherebbe il marinaio generico o senza stabilire il ruolo di ciascuno in base alle competenze professionali. La riforma di una scuola seria passa nello studio e decentramento di una didattica predisposta su un POF con la collaborazione di una équipe sociopsicopedagogica focalizzata sul docente specializzato, a mente della disabilità dell’alunno e – per la scuola secondaria – considerando ovviamente il titolo di laurea dell’insegnante. Piuttosto che continuare a fingere su un docente “samaritano” factotum com’è quello d’oggi, un tenere alunni o studenti in classe senza fornirgli una didattica all’altezza, effettivamente specializzata, la quale obbliga il docente ad un impegno superiore rispetto al collega curriculare per il ragazzo cosiddetto normodotato.
Su questa direttiva, che dovrebbe prima di tutto essere proposta agli organi Istituzionali dall’associazione nazionale (l’ENS), si gioca la riforma della scuola a favore dei disabili e, in particolare, della formazione del docente specializzato che opererà per l’istruzione dei sordi. Sappiamo che è un compito difficile, ma non impossibile, di sicuro affascinante.

Nominazione del partito: «Lista Antonio Di Pietro» o/e «Italia dei Valori (IdV)»?

Giugno 15th, 2008

Antonio Di Pietro aveva affermato, in un incontro nazionale,  che era giovevole spersonalizzare il partito, auspicando l’eleminazione del suo nome e cognome dalle bandiere,  gadget e manifesti eettorali. L’iscritto e il simpatizzante dovevano abituarsi a focalizzare l’occhio esclusivamente su «Italia dei Valori» e non sulla «Lista Di Pietro». Abbiamo riscontrato nell’ultima campagna elettorale  delle elezioni politiche del 2008 che c’è, in tutti i leaders, il tentativo di personalizzare il proprio partito; alla lettera imitano Luigi XIV che,  con prosopopea, affermò:  «Lo Stato sono io». Ecco che i Casini, le Santachè, i Berlusconi ecc. sovrappogono il proprio cognomme alla denominazione del partito. Non penso sia idonea scelta - per proporsi - di psicologia sociale. La personalizzazione del voto non tiene alla lunga perché genera  gli opposti: disamore o disprezzo del capo e fanatismo. Se da una  parte una percentuale di «elettori deboli» abbocca ce ne è un’altra che ne ha repulsione, distacco e fuga. L’accentramento del partito su se stessi può funzionare là dove è limitata la propaganda,  usabile nel passaparola per un popolo analfabeta, ma difficile che funzioni in una società massmediale come l’attuale. La democrazia matura non indirizza l’elettore sul leader del partito, ma su un progetto, su un obiettivo di fondo, sul programma. Nel nostro caso è bene eliminare «Lista Di Pietro» per sposare prettamente la dicitura «Italia dei valori» perché, - i valori - dell’IdV non sono gestiti solo da Di Pietro ma da ognuno di noi. Sono il frutto di una scelta di ciascuno inducendoci alla lotta, a inserirli e sostenerli nel programma elettorale. «IdV» non deve per forza ‘puntare’ solo sul carisma e la storia di ADP. Di Pietro merita plauso, è il motore che muove il partito, è il patos che ci sprona a seguirne la linea. Ma ricordiamoci che è un errore farlo diventare capro espiatorio di eventuali sconfitte, o fughe dal partito, o di “infiltrati” tipo De Gregorio. Proprio per questo è necessario spersonalizzare il partito, aprire alla democrazia di base, alle testimonianze forti degli iscritti capaci. Meglio perdere il voto dell’elettore che sta a ruota piuttosto d’umiliare il giovane che lavori con entusiasmo per la crescita dell’IdV. Quello ha bisogno della balia del “padrone”, non sarà mai maturo politicamente e, al  primo annuvolamento, sarà voltagabbana. Quest’ultimo è un investimento per il futuro, per le successive elezioni.  Crescerà con riferimenti precisi, idee critiche e autonome, all’altezza del confronto costruttivo con altre fazioni politiche. L’IdV ha iniziato a crescere ed è difficile avere idee chiare quando un partito compie il salto di espansione. Come succede ai genitori  notando il figlio nell’esplosione dell’adolescenza. Stargli addosso allarmandolo di divieti e paure ne faranno un temerario, un indeciso, uno senza valori perché, come scrive il sociologo Edgar Morin, «siamo malati di iperindividualismo, di protagonismo, di narcisismo».  Tutti i politici che sbandierano il proprio nome e cognome su un gadget o manifesto politico non saranno mai statisti perché hanno fondato il partito su sabbie mobili. Chi si autoproclama da “solo” leder, e come tale si mette in mostra, dimentica di palesare la limpidezza della propria storia politica e democratica per acquisire il potere, imprescindibile dal consenso di base. Se non possiede questa doviziosità  ed umiltà è il classico re nudo. Lo stesso accade a chi ha fondato un partito, un movimento, un gruppo insomma, egli si sente «padre» dello stesso, fatica  a staccarsene, a verificare i valori che, col tempo, scemano (…).; di Mosè che conduce il  suo popolo nella terra promessa, che io appia, ce ne è stato  uno solo! Per quanto ci rigurda qui inizia il rinnovamento dell’IdV: la liberazione dal padre, con tutto il rispetto s’intende, affinché siano liberate le nostre  potenzialità (se ne abbiamo!) di crescita nella conoscenza e coscienza dei prevalenti «valori» che mossero gli inizi.