GLI ULTIMI SUONI

Gennaio 3rd, 2010


Forse hai  ragione, padre
quando dicesti così va  la vita;
sono sempre vissuti disonesti e furbi,
prostitute e sante,
idioti e geni,
mangiatori a ufo e generosi,
guerrafondai e costruttori di pace.
Non c’è dubbio che questa è vita d’uomo.
Siamo capitati nell’eros di un istante.
                                                                Nati.
Nei giorni di vagare il Silenzio
                                   ho  scritto versi.
La clessidra consuma polvere, cala;
non ha senso sperare ancora l’ascolto.
Le voci della valle sono disparse
né scienza mi sostiene l’illusione.
Mi addormento con gli ultimi suoni.
Scendendo la notte
mi ripeto uguale a chi mi ha preceduto.
Ho convissuto con amore e odio
nell’ostracismo degli orecchi.
Sempre ricaduto vano risalire.
Molte volte rinnovato il canto,
arduo capirsi, errabondo messaggio
male interpretato se non che il figlio
- sentinella di una parola elevata –
intuito il padre per l’ottusità del mondo
raccoglie il logos per testimoniare
(…)
  

GENTE SPECIALE CHE ANNUNCIO

Dicembre 24th, 2009

Io sono poeta, uno dei tanti che scrive

sollecitando l’altrui emozione

e solo così l’ingiustizia si cheta

del mio nararrare Silenzio.

Croce di gente dalla Costituzione scordata

politici futili, stolti, senza cuore

per noi “diversamente stupendi”;

a volte io pure mi sperdo

nella loro logorrea stordito

pronta solo a difendere il seggio.

 

(Oh volti assenti di giorni andati,

giovani di Silenzio con me decisi

in via Gregorio VII, all’Urbe.

Abbiamo tempo per salvarci?

Non credo alle promesse:

morte parole tramonto di speranza;

anche la donna fu così raggirata

rubandole spazio di comando.

Vinciamoli per risolvere i problemi

che ci stringono cappio in gola)

 

Hanno chiamato gente di penna

per solcare rotte d’un mare di carta

con messaggi inutili di atroci mutezze.

La pietà non è degna di vittoria.

La giustizia convince l’intelligenza

confessando la nullità del loro fare

chiusi in loculi d’egoismo governo.

Non cedere mia rinvigorita ragione.

Credici sospinta dalla voce del vento

che è giunto stamani, e spazza 

miasmi di burocratici respiri.

Vogliamo democrazia,

gente nota per amore e il fare.

Io la conosco nel mio mondo,

voi dite diversamente abili.

Eh sì, sono persone grandi

vincitrici di Dolore e Ostacoli

combinati da voi per frenarli.

Non piegatevi, fratelli

io canterò versi al sole

ritornato a splendere su ogni dove

- resurrezione! -

gente speciale annuncio.

ALLORA LA COLPA E’ DI ADP?

Dicembre 20th, 2009

(L’astuzia  del capo del Governo che la dà a bere agli uomini

dappoco)

Inutile consumare altre parole su ciò che è avvenuto nelle ultime settimane; tra le tante ne prevale solo una: Berlusconi. Si parla (tantissimo) e si sparla (poco) sul capo del Governo. Egli è al centro dell’Universo perché è stata ferita la sua maestà. La società mediatica, sulla quale il signor B ha   fondato il suo impero economico e di potere, inizi a riflettere dalla vicenda, dall’oggetto lanciatagli dal giovane Tartaglia. Seguendo la trasmissione “Annovero”, tramite le sottotitolazioni, ho notato che molti temi non sono messi a fuoco, non sono date convincenti risposte, perché l’interpretazione dell’interlocutore, chiamato a chiarire certe azioni, finisce per non chiarire niente! Forse solo lo psichiatra Galimberti c’è andato molto vicino: il signor B ha problemi psicologici (latenti), un superego che può essere ridimensionato con un altro altrettanto forte. B pretende di governare/comandare su tutto e tutti.  La Festa del tesseramento non era altro che il suono del flauto che era andato a snidare topolini, i quali accorrono dietro al pifferaio. In una traversa di Piazza Duomo il signor B si sgola, attacca chi non condivide il suo operato, l’opposizione è nemica. Alla fine il signor B, emulo dei grandi Statiti a cui si paragona, anzi si sente superiore, imitandoli nel “bagno di folla”, ma stavolta gli è fatale. Ecco che il giovane Tartaglia “psicolabile”, come lo definiscono i giornalisti, gli tira in faccia un oggetto simbolo della sua Milano, il duomo. Egli, pur sanguinante, non si piega, esce rabbioso dall’auto per puntare il poveretto che ha osato l’affronto, ormai sopraffatto dai bodyguard, dai CC e poliziotti. La rapida azione del capo del governo, nella vicenda, induce gli psicoanalisti ad analizzarne la psicologia.  B vuole assicurare i suoi fans e, nello stesso tempo, è pronto a sfidare i suoi nemici. Egli, sanguinante, chiama a testimoniare tutto il suo popolo. Per dirgli: vedete, mi immolo per voi:  loro sono “comunisti”, “giustizialisti”, “antidemocratici” e  “invidiosi”. Il solito copione della filosofia berlusconiana del rifiuto di giudizio  sulla sua persona, che non può essere criticata perché capo del governo, eletto dal popolo in un paese democratico (…). Affrontare B su questo terreno rendono  spuntate le arme dei suoi avversari politici. Non perché B sia un genio, certo ha  potenzialità di astuzia oltre la media, un’intuizione che arriva prima degli altri politici a capire il fatto politico, tuttavia la questione di fondo è che B attinge  energie intellettuali e strategie da centinaia di seguaci. Gli è possibile perché ha reso mercimonio cultura e informazione. Tutti i ‘pensatori’ d’Italia, furbi e disonesti, sono a sua disposizione. Sono sul mercato. Anche  quelli che, una volta  acquisiti, finiscono  in panchina,  mordendosi le mani di rabbia, a si consolano con  il gruzzolo che gli è elargito mensilmente.  B ha  ottenuto il suo scopo togliendoli alla concorrenza.  Quando qualcuno critica che guida l’Italia come un’azienda  (la sua), dici il vero. Un esempio. Va a Dubai in visita ufficiale, ma aggancia  un emiro e vende una  delle sue ville sarde, riuscendo a strappare una cifra astronomica.  Quale statista, in passato, avrebbe utilizzato tale carica per un proprio tornaconto? Nessuno. Solo B  perché non rispetta la democrazia, evidente nelle sue vicende giudiziarie. Riflettere-riflettere-riflettere, più che seguire  la nota invocazione di Borrelli del suo “resistere”!     

Oliver Sacks (V)

Dicembre 7th, 2009

In definitiva Oliver Sacks riconosce ai sordi un’identità linguistica, che permette loro di compiere il passaggio da una comunicazione non intenzionale e/o istintiva ad una intenzionale, strutturata su una grammatica, rivalutando    proprio per questo gli studi e le ricerche di William Stokoe (1960). Sacks ci permette, per la prima volta, un’ampia riflessione scientifica su quel che ammette Goldberg: « (…) il linguaggio dell’emifero destro permette le relazioni referenziali (…) di un codice linguistico, (…) ma non consente di manipolarlo» (O. Sacks, op. cit.,p. 158).L’emisfero destro organizza l’attività percetiva, ma non quella lessicale che si fonda proprio sull’esperienza dell’ascolto, del ‘calarsi’ nella parola verbale. L’emisfero sinistro ‘interpreta’ la parola ma non ‘agisce’: è un emisfero possiamo dire passivo… Il piccolo sordo, anche se sottoposto all’impianto cocleare - come è reazione comune oggi dei genitori udenti una volta identificata la sordità nel figlio - necessita di un lungo periodo di applicazione logopedia perché diventi «udente», e mentre  ciò si compie disperde la doviziosità visiva connessa all’esercizio percettivo sistematico. La lingua visuomanuale si sposa col possesso di  specifica identità culturale. Come avviene per esempio, scrive Sacks, per l’inglese, per il tedesco e così  per le altre lingue. La cultura è attiva in un continuum proceso di sviluppo, di arricchimento visuo-cognitivo, mettendo fuori gioco la caratteristica ripetitività  del “sentire” le parole, l’impostazione di frasi stereotipate, non aperte alle due percizioni principali dell’udire e dell’ascoltare. Sacks, a differenza dei tanti che parlano appunto per sentito dire, egli si è calato a studiare questa cultura con le potenzialità possedute nelle vaste discipline medico e psicologiche: e soprattutto ha avuto l’umiltà di ritornare a leggere, dopo una prima sbrigativa  annotazione, il libro di David Wright Deafness, l’autobiografia del poeta-romanziere sordo inglese. Costui annota: «Il fatto di essere diventato sordo a sette anni (…) fu per me una vera fortuna (…), avevo ormai afferrato i fondamenti del linguaggio (…)  - la pronuncia, la sintassi, le riflessioni, le pucialirità linguistiche, erano tutte entità che avevo sperimentato attravero l’orecchio. Tutto ciò mi sarebbe stato negato se fossi nato sordo o se avessi perso l’udito nei primi anni di vita». Ciò ha fornito attenzione su una valida risposta  esperienziale, (cfr per esempio R. Pigliacampo, in vari testi narrativi) per rivalutare la lingua dei segni una volta appresa come seconda lingua, al contrario di tanti sordi che, divenutili in età evolutiva, sono restati infischiati nella propria sordità, continuando  una precaria interrelaizone con gli altri (di solito udenti), fondata per lo più su un monologo piuttosto che di un reale scambio dicontenuti. Alla fine del  suo migliore studio sui sordi, Vedere voci, O. Sacks ci lascia con uno spiraglio di speranza per i genitori e per coloro che hanno contatti  con sordi e ipoacusici perché «No bisogna focalizzarsi sulla sordità del soggetto, sulla sua menomazione sensoriale, ma stimolare altri sensi allo scopo di recuperare le altre potenzialità intellettive».

Oliver Sacks (IV)

Novembre 1st, 2009

Sacks comprende, dopo attenta comparazione con   gli udenti, che i sordi rappresentano lo spazio comunicativo in in un modo complesso, cognitivo. L’esperienza di “parlare”  con con questo linguaggio modifica il modo di pensare, gli stessi processi cerebrali. Sacks porta la riflessione sul fatto che la fenomenologia di essere sordo non è altro che un processo culturale: «… un sordo, essere nato sordo, pone l’individuo in una situazione fuori dall’ordinario… » (cfr. O. Sacks, O. cit., p. 160). Il neuropsicologo intuisce poi che è presente nei sordi una caratteristica: essi sono  soggetti segnanti e vedenti in un processo di comunicazione particolare che, per i per i parlanti e gli ascoltanti, è un modus di  comunicazione inutile, anzi controproducente perché  non comprendoli non rispondono alle loro necessità di interloquio:  cadono in un circolo viziono, improduuttivo sul piano interrelazionale. Così li allontanano dalla comunità di maggioranza (verbale). C’è da dire che Sacks apprezza molto il metodo mimico-gestuale di Padre (de) L’Epée della scuola di Parigi, dove  era andato a ad apprendere il “metodo francese”  il Sac. Tommaso Silvestri, che voleva aprire una scuola a Roma. Infatti De l’Epée partiva dai segni per insegnare la lingua  scritta, che, secondo lui, essa faceva da traino anche  alla lingua vocale. Accanto a Padre l’Epée operava il famoso Itard, che può essere considerato il primo audiologo o logopedista sui  generis di allora. Itard, per salvare la professionalità e specializzazione medica, non dava molto credito al “linguaggio” dei “gesti” o della “mimica” del suo direttore     Testardmente non si  avvedeva, Itard, che i sordi potevano essere  liberati dal psittacismo,  proprio grazie allo sviluppo dei processi psicocognitivi visivi. L’individuo udente fa fatica a comprendere questo, per il semplice motivo  che l’attività articolatoria della parola è dominante, nel processo imitatorio. L’Epée notava , nell’interrelazione dei sordi fra loro, un continuum processo sociale. Il sordo deve confrontarsi/specchiarsi con gli altri per comunicare. La parola è una moneta messa in circolazione nel gruppo dei pari. Inizia nel ‘dialogo’ con i propri genitori. Tagliato il cordone ombelicale, è sato affermato, si instaura il cordone comunicativo. E’ un processo che vale per tutti e di più per il piccolo sordo o ipoacusico. I genitori sordi, è stato notato, sono molto più attivi dei genitori udenti (D. Bouvet, 1980, tr.it)  in questo processo di coscienzazione. «… Il passaggio da un mondo percettivo a un mondo concettuale è reso possibile da un dialogo iniziale con cui i genitori… » (O. Sacks, p. 92). I bambini udenti, come è noto, “parlano tra sé”: è un ottimo esercizio, il piacere di ascoltarsi. Così il piccolo sordo deve considerare la propria mano «lingua» - - - come entità fisiologica - per dar vita alle  forme (i segni) strutturati sulla grammatica  visuomanuale.

(Continua)

Oliver Sacks (III)

Ottobre 13th, 2009

Il neuropsicologo fa presente, ritenendolo importante, che i sordi prelinguistici, non solo fanno fatica a comunicare agli (altri), vale a dire  agli udenti interlocutori (NdA), nel momento in cui conversano con essi, ma trovano difficoltà ad afferrare il concetto stesso della domanda. La loro risposta è pertanto confusa e imprcisa. Troviamo, negli scolari, l’assenza della forma interrogativa: « (…) a otto anni, molti ragazzi sordi mostrano già ritardi nella comprensione delle domande, continuano a usare il linguaggio come un serbatoio di etichette, non sanno conferire alle risposte un sgnificato centrali. Hanno uno scarso senso di rapporti causali, raramente introducono idee riguardanti il futuro (…)» (cfr O. Sacks, op. cit., p. 104). Questa osservazione è fondamentale per studiare i processi psicocognitivi e linguistici del bambino sordo. Sacks annota che pensiero e linguaggio hanno diversa origine, ricollegandosi di fatto a L. S. Vygotskij.  « (…)  esiste un’ampia gamma di forme di pensiero (…) assai prima che il ll linguaggio emerga» (O. Sacks, op. cit., p. 73). La questione si estende per stimolarci a ricercare le radici di quel pensiero che sarà ‘vestito’ da questo linguaggio che, H. G. Furth, denominò diligentemente “pensiero senza linguaggio”, rapportandolo ovviamente al linguaggio simbolico acustico-verbale di magggioranza. E’ evidente che Sacks valuta il linguaggio nello sviluppo della lingua e nelle sue regole grammaticali. L’attenzione e la riflessione su questo, lo portano a William Stokoe che, nel 1960, chiamato ad insegnare linguistica ai sordi nell’University Gallaudet di Whasingthon, unica università al mondo frequentata esclusivamente da studenti sordi, si « (…) convinse che i segni non  erano mimica estemporanea, ma complessi simboli atratti dotati di una stuttura interna altrettanto complessa» (O. Sacks, p. 120).  E’ evidente che pecepire questa lingua - e memorizzarne i codici visivi - c’è bisogno di  un occhio speciale, che è la caratteristica proprio dell’occhio dei sordi: « (…) tutto ciò che nel parlato è lineare, sequenzale, temporale, nei segni diventa simultaneo, presente a più livelli, concomitante… » (O. Sacks, p. 113).

(continua)

Oliver Sacks e i sordi (II)

Settembre 28th, 2009

Oliver  Sacks incominciò a capire i sordi nel momento in cui ha iniziato a frequentarli e a comunicare con loro. Ciò che non è mai riuscito a Itard, medico che, quotidianamente, frequentava l’Istituto per sordi di Parigi il quale, sul letto di morte, disse che il loro modo di comunicare andava benissimo, vale a dire « (..) il meno può anche nascondere un più» (O. Sacks). La maggior parte dei docenti o delle logopediste chiedono agli scolari sordi di labioleggere. Chi vi si adatta, di solito è un’azione esercitata da colui che è divenuto sordo, che ha familiarità con le parole, tuttavia si trova di fronte come colui che deve comprendere da una  «traduzione istantanea e automatica» (O. Sacks). Invece la persona sorda grave succede che «egli vede la voce, non la ode» scrive sempre  il neuropsicologo, trovandosi quindi in una continua situazione di ansia che via via va aumentando tanto più quanto l’interlocutore insiste sulle parole che non riesce a comprendere globalmente o gli sono nuove. Ciò fa dire a Sacks che «un individuo minorato nel linguaggio (…) è una calamità più sfortunata, perché è solo per mezzo del linguaggio che entriamo in possesso della nostra umanità.» Ma quale linguaggio? Qui si spalanca una porta in cui gli psicologi e i pedagogisti, i neurologi e gli psicolinguisti e i nuovi studiosi delle aree cerebrali, hanno individuato nel sordo, un cervello speciale. Dagli studi di Chomsky a quelli del nostro Giacomo Rizzolatti abbiamo individuato un progetto efficace seguendo un percorso bilingue del bambino sordo, scrive O. Saks che è “allettante” questo compromesso tra segni e lingua vocale. Tuttavia aggiunge, nel suo sforzo ideativo per il bene del sordo, di pensare a un “progetto  di creare una lingua intermedia tra l’inglese e i Segni (ossia un inglese segnato)».

(continua)

Oliver Sacks e i sordi (I)

Settembre 10th, 2009

Nel testo di O. Sacks, Vedere voci (Adelphi, Milano 1990) si comprende le difficoltà incontrate dalle persone udenti nel valutare le capacità psicointellettive dellle persone sorde o ipoacusiche. Se ciò mette in difficoltà un neuropsicologo di vasta cultura dei processi mentali, figuriamoci cosa potrebbe accadere (infatti succede quasi sempre!) alle persone che non hanno svolto letture o studi approfonditi su questi specifici temi. Sacks ha compiuto un lavoro di esorcizzazione, liberandosi dal pattume di un’imitazione passiva, dal momento che scrive che la frequentazione dei sordi l’ha indotto a rivedere il linguaggio, la natura del parlare e dell’insegnare, il funzionamento del sistema nervoso, la formazione delle comunità, dei mondi, delle culture in “modo del tutto diverso (…)” (cfr op. cit. p. 14). Troppi si soffermano a consideare “linguaggio” quel che è solo una imitazione di un esercizio ginnico che dà origine alla sonorità, grazie alla espirazione-inspirazione dell’aria. B. F. Skinner dichiara esplicitamente che il linguaggio è un comportamento verbale acquisito allo stesso modo di altri comportamenti. Piaget ammette che il bambino ha la capacità di rappresentarsi mentalmente le azioni come fondamentale base per l’acquisizione del linguaggio. Vygotskij precisa: «Il pensiero non è semplicemente espresso in parole. Esso inizia ad esistere attraverso esse.» (cfr L.S. Vygotskij, Peniero e linguaggio, Giunti e Barbèra, Firenze 1984 u.e.) Per Schaffer linguaggio e pensiero sono costruiti nel rapporto interrelazionale col gruppo dei pari. Ma è Sacks a comprendere che «Il linguaggio e il pensiero sono sempre personali; per esempio ciò che diciamo, come pure il discorso interiore, è espressamente peculiare di ciascuno (…)». E’ risibile, come capita a qualche ingenua logopedista, la diceria che «il bambino sordo va alla scuola di linguaggio», o «il bambino sordo apprende il linguaggio». La definizione corretta dovrebe essere - se avrà la fortuna di avere un’ottima logopedista - : «Il bambino sordo o ipoacusico si ingegna con esercizi ginnici labiobuccali e guttuali per impostare gli apparati dell’articolazione fonica per produrre codici comunicativi espressi con la sonorità.» Lo psicologo statunitense H. G. Furth l’ha compreso bene, e nell’opera Pensiero senza linguaggio, edito da Armando, Roma 1993 u.e., ne viene a capo. Egli ci ricorda che siamo precipitati nell’obsoleto pregiudizio psicocognitivo di attribuire alta intelligenza a chi sa parlare bene o utilizzare, con maestria, le parole verbali. Questo ha spinto molti pedagogisti e psicologi a concludere che, essendo il sordo uno scarso parlante, un incapace all’utilizzo delle parole vocali, di fatto è da considerare kofos (vuoto), confermando la definizione aristotelica.          

 (continua)

Il (mio) Nuovo Dizionario

Settembre 5th, 2009

Esaurito nella prima edizione in poco tempo, ho recentemente pubblicato (nuovamente per Armando Editore) il Nuovo Dizionario della disabilità, dell’handicap e della riabilitazione.

Nella nuova edizione ho inserito centinaia di nuove “voci”, sempre guidato nella mia ricerca da tre temi principali: la scuola, le metodologie riabilitative, il Silenzio.

Chi è interressato può leggerne di più sul mio sito internet, nella sezione Ricerca e Università.

E’ segnalato ed è possibile ordinarlo sul sito dell’editore:
clicca qui per vederne la pagina sul sito di Armando ed. 

Innervositi della richiesta

Agosto 28th, 2009

Troppe persone, che si definiscono esperte di educazione ed istruzione dei sordi e ipoacusici, aprono la bocca per dire «i sordi non esistono, è un’invenzione dell’Ente Nazionale Sordi e di chi gli gira attorno. Basta impegnarsi per un’idonea riabilitazione logopedica, permettere al bambino - con deficit dell’udito - compiere tutto ciò che svolge gli altri bambini per averlo ‘normale’». Sono valutazioni per  esorcizzare l’incapacità, di questi cosiddetti esperti, di ripondere linguisticamente e cognitivamente alle necessità dei bambini con problemi di udito. Sono per lo più parole demagogiche. Io me li tolgo di torno così. Articolo bene le frasi accertandomi che le parole non generino sonorità, nel momento in cui chiedo di ingegnarsi di labioleggere. «Ripeta alla lettera ciò che ho detto.»

Di solito, quasi tutti gli interlocutori, si allontanano innervositi della richiesta.