L’ARISTOTELICO «KOFOS»

Agosto 1st, 2011

Non so se i sordi adulti della mia generazione (nato io alla fine degli anni Quaranta del secolo scorso) in possesso di una buona istruzione e/o che hanno svolto una professione gratificante, o loro stessi professionisti e iscritti agli albi professionali, si siano resi conto che cosa stia accadendo alla scuola statale italiana, là dove accoglie, nelle sue strutture, scolari o studenti affetti di sordità grave o lieve. Per il MIUR i sordi studenti, sia per la scuola dell’infanzia che primaria, maggiore per la scuola secondaria di primo e secondo grado, restano sempre un “peso”, un costo che lo Stato non vuole assumersi secondo i bisogni, considerando il bilancio attuale dei “tagli”. Come tenta di uscirne da un impasse che è offensivo alla scuola stessa e alla formazione della persona? In varie regioni sono stati eliminati i corsi di specializzazione per la scuola secondaria di primo e secondo grado. Non valutando i programmi didattici e l’alta capacità degli stessi docenti! E’ pur vero che, le Università, sono autonome nella didattica. Ma proprio perché indipendenti bisognava o/e bisogna che l’autorità centrale prenda atto sia della didattia che della qualità raggiunta dagli specializzandi. Non è così. Il MIUR - per la scuola di primo e secondo grado - ha decapitato corsi validissimi, accentrando la formazione degli  specializzandi a Roma, in un Istituto Speciale (Scuole ieri denominate “scuole speciali”). E’ una scelta dettata dal risparmio, ma anche per far riemergere obsoleti progetti di rinverdire strutture di ieri. Lo Stato non vuole formare i docenti specializzati nelle Università. Perché la specializzazione costa: e soprattutto perché obbliga i docenti a rivisitare  studi plurodisciplinari. E’ pur vero che,  nelle Facoltà di Scienze della Formazione, sono attivi Moduli per conseguire la… specializzazione. Così si ottengono specializzazioni per il sostegno, in quegli atenei, per la scuola dell’infanzia e per la primaria. I Moduli per i disabili  sensoriali (per la vista  e per l’udito) sono di appena venti ore, ristretti nel Laboratorio. Ci sono atenei che sbrigano la richiesta degli studenti con la piattaforme on-line. E’  arduo insegnare la disciplina della comunicazione dei/con i sordi a distanza. Prima di passare alla pratica «come si parla» al sordo o all’ipoacusico, o fornire il segno visuomanule, c’è bisogno di approfondite conoscenze cognitive e linguistiche. Purtroppo famiglie di sordi, insegnanti e operatori sociosanitari pensano che la vittoria sul masso di Sisifo della sordità sia fattibile quando il sordo “impari a parlare a voce”. Insegnare ai sordi, invece, è un processo di coscienzazione del docente che implica immedesimarsi nei processi psicolinguistici visivi. Ciò obbliga a rivisitare i testi di Piaget, Bower, Bruner, Chomsky, e ovviamente con l’aggiunta dei classici specifici proprio sui sordi quali Furth, Sacks, Borel-Maisonny, Bouvet, studiosi principali deilo sviluppo cognitivo e linguistico dei sordi. Si capisce sempre di più, col passare del tempo, che ci mancano guide di formazione per una didattica specializzata: i famosi metodi che gli specializzandi di oggi nemmeno intuiscono l’esistenza. Un vuoto che lascia perplessi, anche perché  i vecchi maestri sono ormai cancellati dal tempo!

Sulla spiaggia in cerca di Dio

Luglio 31st, 2011

Siamo intimi in silenzio nelle parole segnate:
immote bandiere sull’acqua
né sussurro di vento impaccia
né colloquio con la natura
ci è caro; noi due delusi a segnare e basta;

e s’allontana quel che non abbiamo avuto:
il ramo fiorito di mia/tua  stirpe
nuova luce che cammina verso l’Ignoto.

 

Le barche vanno a pelo d’acqua
raccontando storie di ieri e oggi:
di moldave croate donne dell’est
che han svenduto anima e corpo.

Lontano qualcuna piange, o canta
per comunicare quel che resta, il vuoto.
Mi sono accostato alla spiaggia
per riprendere il colloquio col mare;
ancora una volta vince il Silenzio:
e mentre a testa china cammino
un vecchio pescatore accenna
che sono fesso a cavare coi gesti
seduzioni di donne forestiere.
«Prendile di dietro» afferma
«a colpo sicuro» ridacchia.
 
Ho rinunciato a rincorrere i sogni.

L’ombra scende sul mare
come se stanotte
dovesse sposare Qualcuno.

Mio Silenzio tormenta ferisce.

Lentamente pronunci «amore»:
le mie orecchie s’aprano sicure
mosse da fonemi intonati
rispondano alla lingua capaci. 

Ondivago è sulla spiaggia il mare.
Giacciono stille che raccolgo in mano.
Oh mio Dio perché non mi doni Pace?
Perché Tu con me non sei goccia?
 

dalla silloge inedita Penite amimus
 
    

 

 

Disabilità/Disabile (Definizione)

Luglio 31st, 2011

Negli ultimi decenni il concetto di d. e, di fatto, “il disabile” ha subìto fondamentali cambiamenti, dopo un’approfondita critica su che cos’è la normalità considerando la rivisitazione culturale dell’ICF (Classificazione Internazionale del Funzionamento della Disabilità e della Salute), dove si è chiarita la classificazione delle «conseguenze della malattia» (versione del 1980): e  poi date indicazioni delle «componenti della salute», identificando meglio gli elementi che la costituiscono: le “conseguenze” dell’impatto delle malattie e le “condizioni” che ne scaturicono. La d. è un universo e, come tale, riguarda tutti. Perché ciascuno di noi, in vari periodi della vita, è disabile. Siamo pertanto chiamati a comprendere bene che cosa sono le funzioni corporee e le strutture corporee. Le prime (incluse le funzioni psicologiche) sono funzioni fisiologiche del corpo. Le seconde sono le parti anatomiche del corpo. Per esempio gli arti e le loro componenti. Le menomazioni sono problemi emergenti quando, funzioni e strutture, sono colpite da disfunzioni causate da aspetti genetici, infettivi, accidentali eccetera e non possono più compiere l’azione propria o limitano l’attività.

Una volta nota la d. la riflessione si sposta su due modelli:

a)  il modello medico.  Valuta la d. come “problema della persona” causato dalla malattia, trauma, ecc.: e per frenarne l’evoluzione  ha necessità di professionisti per la cura e la riabilitazione. La d. è gestita intervenendo (talvolta radicalmente) o curando gli aspetti che l’hanno causata. L’intervento medico è prioritario e, a livello politico, si tende a riformare e a cambiare le politiche di assistenza sanitaria;

b) il modello sociale.  Esamina gli aspetti sociali ammettendo che la d. è «un problema creato dalla società», dalla mancanza d’integrazione degli individui nella stessa. La d. non è la caratteristica di un individuo, ma un insieme di condizioni, molte delle quali causate dall’ambiente sociale. Gestire la problematica induce tutta la società a farsi carico della questione, assumendo responsabilità gli atteggiamenti, imponendo i cambiamenti e la programmazione politica: visione che diventa problema di difesa dei diritti umani.

Quando esprimiamo un giudizio sulla persona “disabile”, o definiamo la “disabilità” è utile conoscere il mondo relazionale  del soggetto e la comunità di appartenenza. Un esempio efficace lo propone lo scrittore e neurologo Oliver Sacks nel libro Vedere voci, Adelphi, 1999. Egli navigando nell’Oceano Atlantico capitò in un’isoletta dove, un’elevata percentuale di persone, comunicava in lingua dei segni. Sacks se ne stupì ponendosi la domanda del motivo. Venne a sapere che molti abitanti erano sordi. Avevano portato nell’isola la lingua dei  segni appresa nelle scuole specializzate (istituti per sordi). La comunità udente s’era adattata alla condizione e alle esigenze dei sordi, valutati in base alla professione, alla cultura, alle loro capacità. Non erano più indicati, come avveniva in  precedenza,  con la definizione “il sordo falegname”, “il sordo pittore”, “il sordo calzolaio” e così via, bensì  il bravo falegname, il valido pittore, il bravo calzolaio eccetera. Le capacità professionali e l’accettazione della condizione esistenziale della minorazione uditiva da parte della comunità udente faceva passare  secondarie la funzione uditiva e la modalità della comunicazione verbale!

Nella DSM-IV. Guida alla diagnosi dei Disturbi dell’infanzia e dell’adolescenza di Judith L. Rapport e Deborah R. Ismond, Masson, Milano 2000, sono individuati – per approfondire la tematica  del soggetto che ci interessa – i disturbi della comunicazione:

I.1.   Disturbi dell’espressione del linguaggio;

II.2. Disturbi della fonazione.

I.1  Il  DEL è  valutato per mezzo di test standardizzati somministrati individualmente. Quando il risaltato è inferiore rispetto alle capacità intellettive non verbali e allo svolgimento del linguaggio recettivo. E’ evidente che le caratteristiche variano secondo l’età e della gravità. Le manifestazioni comuni comprendono:

-         limitata gamma di vocaboli;

-         limitata acquisizione di parole;

-         limitate strutture grammaticali e tipi di frasi;

-         limitata semplificazione, ordine inusuale delle parole.

Il DEL può essere sia acquisito (trauma cranico, condizione neurologica… ) sia legato  deficit di sviluppo.


II.2 Il DF è spesso presente nei bambini più piccoli. Il disturbo è scoperto verso i 3 anni, oppure non è apparente sino a quando il linguaggio non è complesso. I sintomi comuni sono:
-         errori nella produzione, nell’organizzazione e nella rappresentazione del suono (per es. distorsione del suono, sostituzione  o emissioni),
-         possono esserci problemi a livello di produzione del suono (per es. l’articolazione), o limitata intelligibilità del suono. Le cause possono essere menomazione uditiva, problemi strutturali (per es. palatoschisi), deficit cognitivi (per es. ritardo mentale), condizioni neurologiche (per es. paralisi cerebrali) o cause psicosociale ( per es. deprivazione ambientale).
 

DEFINIZIONE DI CHI HA UN DEFICT SENSORIALE O DELLA PAROLA
 In Italia a mente dell’art. 1 della legge del 26 maggio 1970, n° 381: «Si considera sordomuto il minorato sensoriale dell’udito affetto da sordità congenita o acquisita durante l’età evolutiva che gli abbia impedito il normale apprendimento del linguaggio parlato, purché la sordità non sia di natura esclusivamente psichica o dipendente da causa di guerra, di lavoro o di servizio.»
 

Terminologia. Negli ultimi decenni del XX sec. vi è stato un vero e proprio intervento “estetico” sul linguaggio indicante patologie permanenti o no di un individuo, caratteristica particolarmente evidente nella proliferazione di termini indicanti  il soggetto con disabilità dell’udito, con riflessi dunque anche sull’eloquio.
Il termine sordomuto ha avuto importanza sino alla fine degli anni ‘50. Gli Istituti, all’ingresso, avevano esplicita l’indicazione “Istituto per sordomuti” (le cosiddette “scuole speciali” frequentate dai sordomuti). Per la legislazione italiana, fino a poco tempo fa, era consueto utilizzare il termine “sordomuto”; di fatto “indennità di comunicazione per sordomuti“, “posto di lavoro riservato al sordomuto“, ecc.; sordastro, periodo dal 1950 al 1965, indicante chi, pur essendo…sordo conserva ancora qualche residuo uditivo. Questo termine è caduto in uso quando è iniziata la protesizzazione in massa dei sordi; anacusico, periodo dal 1960 al 1970, proposto dallo studioso Padre Arturo Elmi, letteralmente significa «privo di  suono», con la “a” appunto privativa; sordo periodo dal 1970 al 1980, proposto da vari protagonisti sordi laureatisi in quegli anni. Molti di costoro, ancora oggi, per evitare equivoci d’interpretazione gradiscono essere  semplicemente chiamati  “sordi”; audioleso  dal 1980 ad oggi, proposto dalle associazioni delle famiglie dei sordi federate nella FIADDA. Il termine letteralmente significa “orecchio-leso, rovinato, incapace” (…). Comunque sia, se vogliamo proprio essere pignoli… è un termine che pretende di nascondere la disabilità: intenzione questa dei genitori proponendo la terminologia, là dove, invece, occorre far conoscere la realtà per quel che è per intervenire con strumentazioni, strutture e metodologie specifiche; non udente periodo dal 1982 ad oggi, proposto da Televideo-RAI, infatti la titolazione delle pagine di televideo specifica “Pagine per Non Udenti”;  male-udente periodo dal 1985 in poi, proposto da un gruppo di famiglie di Genova, riprendendo il francesismo di uguale corrispondenza significativa; ipoacusico, cofotico, presbiacusico sono termini esclusivamente medici; duro d’orecchio, debole dell’udito sono rivolti di solito a persone anziane o possono avere significati metaforici per indicare «chi non intende ascoltare i suggerimenti altrui», ecc.  Con la legge 20 febbraio 2006, n. 95, il secondo comma dell’art. 1 della legge 26 maggio 1970, n. 381, è stato sostituito col seguente: «Agli effetti della presente legge si considera sordo il minorato sensoriale dell’udito affetto da sordità congenita o acquisita durante l’età evolutiva che gli abbia compromesso il normale apprendimento del linguaggio parlato, purché la sordità non sia di natura esclusivamente psichica o dipendente da causa di guerra, di lavoro o di servizio».  Al primo comma dell’articolo 3 della legge 26 maggio 1970, n. 381, le parole: «L’accertamento del sordomutismo» sono sostituite dalle seguenti: «L’accertamento della condizione di sordo come definita dal secondo comma dell’articolo 1».
Bibliorafia
Organizzazione Mondiale della Sanità, ICF. Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della salute,  Edizioni Erickson, Trento 2002.
Renato Pigliacampo, Nuovo dizionario della disabilità, dell’handicap e della riabilitazione, Armando editore, Roma 2a edizione 2008.
Rapport Judith R., Ismond Deborah R., DSM-IV. Guida alla diagnosi dei Disturbi dell’Infanzia e dell’Adolescenza, Masson. Milano 2000.
 

Un messaggio di amore

Luglio 2nd, 2011

Lascio anche qui il link ad un video-messaggio che è disponibile su YouTube, ripreso ad un convengo organizzato dall’ENS di Treviso lo scorso ottobre:

http://www.youtube.com/watch?v=VVAAmj2lt3s&feature=related

I tagli alla scuola rendono l’Italia handicappata. (…) Un paese forte e coraggioso vede i bambini a 360 gradi.. Non dice “non possono.. non possono..”. No. Possiamo!

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Hans G. Furth (Parte I)

Giugno 11th, 2011

 Pensiero senza linguaggio. Implicazioni psicologiche della sordità è stato pubblicato in Italia all’inizio degli anni Settanta.  Non aveva presentazione,  riportava una brev breve nota redazionale anonima. Accolto con scietticismo, non solo dalla gran parte delle poche cattedre di psicologia specializzata (dovrà ancora apparire), ma anche dai docenti docenti  dei sordi, che si lamentavano della chiusura delle “scuole speciali”, sotto la spinta della riforma della ” sanitàd e della “scuola”. Era l’inizio degli anni Settanta del secolo scorso. Le  «scuole speciali» avevano addosso le contumelie delle forze politiche cosiddette di Sinistra, volendone la chiusura, i “diversi” dovevano essere persone più oggetti. Lo psichiatra Franco Basaglia aveva, a Trieste, liberato i «matti» dai manicomi.  Queste iniziative, esterne all’ambiente della sordità e/o dei sordi, avevano indotto a riflettere  sui sordi: malati o  persone che dovevano essere considerate  una  doviziosità purché, come affermava qualche pedagogista isolato,  fossero forniti educatori specializzati, specializzazione che  induceva il Ministero dell’Istruzione ad organizzare  corsi di formazione idonei per tutti gli ordini di scuola…. Furth, tra i primi psicologi, annotava che i sordi erano esclusi dalla società perché - la stessa - li obbligava a condividere uno status non conforme alla condizione propria,  vale a dire dei processi percettivi. Sino alla fine degli anni Sessanta, in Italia, dominava ancora il  «metodo orale», proposto da  Mons. Giulio Tarra, nel famoso congresso mondiale di Milano del 1880. Tarra  e i suoi seguaci avevano disposto: «insegnare ai sordi(muti) la parola con la parola». Si tentava di rendere il bambino sordo come il bambino udente:  parlante,  sfociare la lingua verbale. Così, una volta cresciuto,  i ministri del culto cattolico (i  sacerdoti)  ascoltando i loro peccati potevano assolverli  (…). Tuttavia il piccolo udente non poteva percorrere  il processo di sviluppo linguistico che caratterizzail coetaneo udente nel full immersion. Era  come buttare in acqua il bambino e dirle: nuota senza che sperimentasse tutti gli sviluppi della lingua a livello naturale. Vero che il metodo orale aveva l’obiettivo di  favorire una migliore articolazione della parola, spesso nozionistica  nei sordi, senza considerare i processi cognitivi, il focus dell’apprendimento. Furth è il primo psicologo moderno che dà signità scientifica ai processi psicocognitivi   generati dalla percezione visuomanuale.  William Stokoe è il linguista della semiotica segnica alla stregua degli studi di (de) Saussure che distingue la differenziazione fra “langue” e “parole”. Gli studi di Furth sono molto importanti nella comprensione del pensiero del sordo: e lo comprendiamo, oggi, nella ricerca di Giacomo Rizzolatti dei neuroni specchio: il legame  tra osservazione-occhio-imitazione, realtà ben evidente nell’area cerebrale cinestetica. Prima degli studi di Furth c’era un’idea confusa sul cervello del sordo anche perché lo si obbligava ad intraprendere il processo di sviluppo linguistico  sul verbum; con lo psicologo  statunitense il concetto scaturice dall’interazione sul/col corpo e, come dice James, sono entità soggettive separate perché motivate dal ‘bisogno’ di comunicare, un andare/venire fra l’ego e l’esterno (…). Il sordo non è più frenato dall’incapacità o incerta pronuncia del codice  verbale, ma si concepisce come soggetto che genera lui stesso la «parola», quel “senza linguaggio” che è più che linguaggio. (cfr. Renato Pigliacampo, 1983, 2005, 2008). Furth pertanto sposta lo studio sulla percezione  e annuncia il paradosso: «Una persona pervepisce una percezione» (tr. it., 1971, p. 39), che Furth indica così: «Una persona pensa un concetto.» Questa riflessione apre la visione di un orizzonte sterminato sulla ricerca del pensiero e del linguaggio del sordo o, se vogliamo spostarci sugli studi neurologici d’oggi, su tutte le aree del cervallo deputate alla percezioni. Perciò il “là fuori”, vale a dire l’apporto dell’ascolto, diviene  un’attenzione di “qua dentro”: è la neuropsicologia evoluzionistica, sospingendoci a cmprendere che la cognizione del sordo è più originale rispetto all’udente. Cosicché  il termine «concetto», nel sordo, diventa un modus operanti mentale intrensico di sviluppare il pensiero visivo. Come giunge Furth a valutare questa differenziazione di pensiero? Si rifa agli studi di J. Piaget che dice «noi siamo parola rappresentazione in due sensi diveri», identificando  che «rappresentazione è identica a pensiero», vale a dire su un sistema di concetti o schede mentali; e di  fatto il ricordo-immagine ci muove per l’evocazione simbolica di ciò che ora è assente, ma presente nella nostra forma ments. Ciò è fondamentale per capire il pensiero del bambino sordo, privato dalla percezione sonoroverbale. Il piccolo sordo si rappresenta le categorie linguitiche in na modalità speciale, possiamo  affermar propria. Come? Furth fa esempi: Tom ha un cappotto; Tom ha una malattia; Tom ha un pensiero. La voce verbale «ha» rappresenta, in tutti e tre i casi, categorie della vita reale simili. Le azioni nel linguaggio dei segni sono differenti per esprimere/espletare un processo di comunicazione. Ecco che Furth afferma con sicurezza che «un simbolo è oggettivamente distinto  dal pensiero», pertanto è “un evento” che, il sordo, è in grado di rendere più esplicito perchè ne pensa l’azione  nel momento in cui lo comunica nella motilità, che  ritiene nell’immagine mentale cinestetica. Come il disegnatore che  si giova  della mnemesi visiva: illustra, disegna, persegue linee e prospettive ‘vedendole’ nell propria mente. Furth porta l’attenzione sui contenuti linguistici nel momento in cui sono utilizzati (contemporaneità linguistica). Perché il piccolo sordo o ipoacusico utilizzi  cognitivamente il  codice verbale appreso deve collegarsi, non solo in termini biologici, funzionali della riproduzione del codice, nel nostro caso  sonoroverbale, ma deve avere quella connotazione cognitiva di saperlo utilizzare nel contesto relazionale. I sordi non vengono adeguati al “sapere”. Un esempio, ammette Furth, se dico: «La pianta sa dove cercare l’acqua» è evidente che l’uso della parola «sa» è metaforico. Allora la questione è esplicita: allenare il piccolo alla ripetitività acognitiva o presisporlo nei suoi reali processi psicolinguistici secondo l’esperienza visuomanuale?

Il fascio di fieno

Giugno 9th, 2011

Se ritornassi a vivere in quegli archi di cielo

incontrerei mia madre

che prepara il ceppo per l’inverno

o curva sulle piantine di girasoli.

Vedrei il suo sguardo furtivo oltre la valle

attese ricordi dei suoi felici giorni;

 

allora le direi la storia di questi anni

(mia madre che mi osserva pensa

non replicando al figlio del silenzio)

di suo figlio che partì bambino senza voce

pianure padane inghiottirono speranze

cercava spesso una mano amica

la vita gli dette dolore.

 

Oggi, sul litorale di un mare,

quella donna è tornata col fascio d’erba

divenuto fieno;

si china sulla sabbia come quando, bambina

portata da sua madre scriveva di sogni

sulla sabbia.

 

Col fascio di fieno si piega a terra;

si piega col cuore stanco

e i dispiaceri di tutta la stirpe.

Il mio handicap le ha dato il colpo.

Mi sento assassino di mia madre.

Ormai sonnambulo vago col suo nome

per i giorni che restano da vivere.

da Adobe, Nuova Compagnia Editrice, Forlì 1990.

…QUEL MESSAGGIO CHE IMPONE RIFLESSIONE

Maggio 20th, 2011

Nella campagna elettorale per le elezione amministrative della mia provincia, mi sono reso conto quanta distanza ci sia fra il Palazzo e l’elettore «medio». L’uomo “comune” si attende la soluzione dei problemi. Sono trascorsi mesi e mesi a far cagnara sulle avventure erotiche del signor B. Tutta l’Italia è diventata «guardona», a fregarsi le mani  seguendo “Annozero” e/o “Ballarò”. La donna divenuta oggetto, valutata per il lato B (i glutei), l’intelligenza resta inconsiderata. Così che un’ottima capacità amatoria, con esperienze kamasutriane - per il piacere del  leader politico di turno - affossa la professionalità e le doti politiche. Siamo pertanto ridotti a valutare zero il Cogito e dieci l’Eros. Mi è capitato d’incontrare qualche anziano elettore che, a fatica, mi diceva: in questa campagna elettorale non si è parlato per niente delle persone deboli, di chi maggiormente si trova in difficoltà. Il vecchino grintoso: «Eh! come  pensi di cavartela, tu, con i volponi della politica?»: e mentre lo labioleggevo, continuò: «Quelli parlano tanto, esperti di parole e promesse,  trombano poi l’elettore… Sono sia a destra che a  sinistra.» «Esatto» dico io, «per questo tentiamo di risolvere i nostri problemi. Il signor B. pensa a Ruby, come se la questione fosse unica… A noi ‘diversi’ il Palazzo ci impone uno status… » «Ci vuole coraggio.» «Mi vanto di averlo!» e allungo all’anziano il mio ‘santino’. In fondo allo stesso c’è un’opinione di Indro Montanelli che, il 10 febbraio 1998, sulla  famosa rubrica «La Stanza» tenuta nel Corriere della sera scriveva: «Renato Pigliacampo la ammiro. E baratterei il mio udito con la sua fiducia nella vita.» Il vecchio inforca gli occhiali, legge. «Mi piaci» dice l’anziano elettore, «ti voto.»   Più volte mi è successo simili incontri. La gente non ha bisogno di rumors ma di testimonianze del fare. Essere protagonisti nella disabilità significa aiutare a crescere tutta la comunità, senza piangersi addosso. Si dice sempre che la collettività compie sacrifici finanziari per le categorie più deboli, perciò il potere istituzionale li controlla per verificare se sono veri o falsi invalidi. Non si pensa a sufficienza quel che può insegnarci il disabile sensoriale o qualsiasi altro  disabile per  predisporre una comunità di/per  tutti. E’ il solito problema sociale del nostro paese. Una volta il “matto” veniva spedito in manicomio; il cieco nell’istituto dei ciechi; il sordo(muto)  nell’istituto dei sordomuti. L’Ente locale (la provincia) inseriva in bilancio il budget di mantenimento in quelle istituzioni (…).  Oggi auspichiamo l’integrazione e la riabilitazione, ma costano perché, giustamente, i soggetti pretendono assistenza specialistica e altrettanto personale qualificato .  Il Welfare non riesce ancora a dividere la spesa  per l’aspetto medico-riabilitativo dalla creazione degli operatori specializzati. Il risultato è il malcontento e la confusione massima!. Noi saremo in prima fila per chiedere il rispetto della Risoluzione dell’ONU; lo faremo spiegando, adoperandoci negli studi per dare risposte di partecipazione. L’Idv dovrebbe prenderne atto.

MIO FIORE

Maggio 2nd, 2011

Mio fiore di silenzio

che brilli in ogni stagione -

mio fiore che in sequenze spaziali

predisponi il parlare

nei ghirigori di segni manuali,

 

ti cerco nelle assemblee di parolai

nei consessi dei saggi

o quando i figli espongono crucci problemi.

 

Tu cortese parola involi mia idea

nella risposta del mio  sapere.

Senza di te il nulla nel silenzio,

sarei misantropo munumento

in cerca di plauso di crescita

senza sapere veramente di che

da  Canto per Liopigama,  Casisma edizioni, Porto Recanati 1995

In Provincia per promuovere i Valori

Aprile 16th, 2011

Sono candidato alle elezioni provinciali dei prossimi 15-16 maggio, nel collegio di Potenza Picena, nelle Marche.

Intendo così continuare, anche proponendomi direttamente in politica, la mia battaglia in favore di una nuova primavera del sociale, in cui sia evidente e concreto il sostegno all’integrazione sociale dei deboli e dei diversi, a partire dai disabili sensoriali.

Puoi darmi suggerimenti e aiutarmi nella lotta.

Clicca qui per vedere il mio spot: http://www.renatopigliacampo.it/politica/pigliacampo.exe

QUANDO IL SILENZIO SI APRE UN VARCO DENTRO LA PAROLA

Aprile 16th, 2011

di Giammario Maulo

All’origine della poesia di Renato Pigliacampo c’è il dramma della comunicazione: un mistero vissuto intensamente cerca un varco nella parola inadeguata a dirlo; un masso di marmo si libera dall’interno per diventare statua; si tratta di una variante del problema dell’arte che oscilla tra intuizione ed espressione, tra contenuto e forma.

E’ l’affresco di un autore che vive nell’arte della parola la sua condizione di silenzio: vi troviamo l’ esuberanza di un universo interiore che vuole materializzarsi nel segno grafico e fonico, l’esperienza di una persona che riassume in sé, fra nostalgia e rifiuto, il cambiamento sociologico del suo popolo e la trasmutazione dei suoi valori, la ricerca di un ‘oltre’ intuito ma continuamente sfuggente, il senso del tempo inesorabile che sembra rendere vani gli sforzi della liberazione e della conquista di un diritto, il dolore di una soggettiva ansia di amore non riconciliata, la sofferenza di una condizione di oggettiva limitazione carica di emarginazione e di ribellione e la differenza esistenziale fra determinazione a comunicare e difficoltà di decifrare.

Lungo questo percorso si snoda la gamma di motivi di cui è tessuto l’ultimo lavoro poetico dello scrittore, così versatile e così fecondo: la memoria dell’infanzia e il ritorno alle origini, il nomadismo geografico e spirituale, la costante di un paesaggio marchigiano di mare e collina sentito come metafora, gli affreschi di una vita corale della campagna, l’attenzione alla solidarietà e la critica al “controllo sociale”, la distanza dal ‘palazzo’ disattento ai problemi della diversità, la ribellione all’esilio, il furore comunicativo, la coscienza e la sofferenza del limite, la fatica di una parola-segno liberata dalla sua aspra materialità eppure così corporea e sensoriale, la pena del vivere oltre un muro che si fa voce, l’amarezza dell’incomprensione per il linguaggio visomanuale, il costante colloquio interiore che emerge dall’ isola del silenzio, il ripiegamento sulla sua problematica esperienza affettiva, gli improvvisi slanci gnomici.

A differenza dei testi precedenti, qui la ribellione per il limite e la passione civile cedono significativamente allo sguardo riflesso su un’esperienza amorosa intensa e lacerante; si stemperano, poi, in lirica, in metafisica a volte; sfumano, infine, in ricerca tutta intera alla solitudine, spesso interrotta dalla memoria di una tenerezza tutta corpo e suggestione, spesso attraversata dalla rabbia e dalla delusione, dal pentimento e da un ritorno atteso con tenerezza. Nella prima parte, in particolare, il poeta cerca di trattenere una gioventù che sfugge (‘eppure splendo di sole /d’una gioventù integra’), vive in sintonia con le onde del mare che mimano gli abbracci dell’amata, ritrova in un amore intriso di carnalità la capacità di sognare e di cantare (‘Ora ci sei tu, /artefice del ritrovato canto’); ma l’amore si rivelerà presto ambiguo e senza futuro (‘ora tutto m’è vago perduto e /sto solo a guardare il mare‘, ‘aggrappato al mio Silenzio / come àncora al fondo del mare’). La fugacità e il tradimento, infatti, riducono l’autore al nomadismo interiore (‘adesso fuggirò dal mondo’), inducono in lui un senso di ribellione e poi di abbattimento (‘ora tutto è spento, muto. / Mai più ascolterò il mare’, ‘tutto è nel ricordo, tutto’), una delusione pari all’innamoramento sincero che ne aveva segnato una breve stagione in modo così forte (‘quando tendo nel mio Silenzio / gli occhi sulle tue labbra / per decodificare la parola amore / già so d’aver visto il paradiso / perché mi rinnovo nel cammino / di speranza e nuova vita’).

La seconda parte segna gradualmente una svolta tutta agostiniana: ‘entrai nell’intimo del mio cuore sotto la tua guida’ (Confessioni). Ogni testo costituisce un passo del ritorno: la presa di coscienza, il rimpianto, la confessione, il pentimento, la richiesta di perdono, il senso del limite umano, l’invocazione, la parola fatta preghiera di tutto l’essere, la ricerca di un ‘cantuccio di cielo’, il dialogo col Dio biblico, la domanda aperta sull’esistenza di un oltre-cosmo, il tentativo di comprensione razionale dell’assoluto, la percezione di uno iato fra ragione e mistero, il senso ambiguo e tragico della morte come fine di tutto, la sospensione fra resurrezione e illusione, il timore/desiderio di perdersi nel cosmo, l’abbandono fìduciale a un Dio atteso, pur nella sensazione di una condizione in bilico fra tutto e nulla. La terza parte, più leopardiana, alterna nostalgia dell’amore perduto (’sei passata nel respiro del vento / volo desolato sul mio mare… / Tutto è andato’), slanci per una lotta inconclusa a favore degli audiolesi, reminiscenza del duro mondo dell’infanzia, amarezze della solitudine nell’isola del Silenzio (‘granello di deserto, ‘oggi parlo col mare’ ‘tu, mare, / restami fratello nel canto’), senso di esilio e di inutilità perfino della parola scritta, frustrazione e proiezione di sé oltre il tempo, perdita/immedesimazione nella natura, ricerca di una parola inferiore che apra al Verbum, tenera attesa di un amore che perdoni (‘aspetto sulla spiaggia / tu m’appaia accanto con l’ombra /avvolgente senza chiedere’ ’solo ora, piegato a guardare le onde / scopro che la vita discende al fine‘).

Anche lo stile, in questa silloge, si fa gradualmente più incline alle aggettivazioni mediane che agli squarci e alle impennate, alle parole più  familiari  che  alle  asprezze della lotta, all’interrogativo/appello che alla denuncia. Restano, tuttavia, ma meno che nei testi precedenti, tipiche forme di linguaggio franto, qua e là duro, ardito anche, privato a volte di connettivi, lontano dalla musicalità, segnato spesso da passaggi di timbro rapidi, anzi inattesi, che cedono alla spinta istintiva della mano e del cuore. Normalmente, invece, nei testi più brevi, la parola si fa interiore, il verso più limpido e lineare, il linguaggio meno crudo, e la varietà delle tematiche dell’anima si dipana in un vocabolario più ricco e articolato.

L’uomo-poeta trova nel dolore un percorso ed un discorso che attinge alla sorgente dove la parola e il silenzio coincidono: ‘Tu che vivi nel magma del mistero/ sai dirmi se la goccia (lacrima) è un morfema / del linguaggio dell’universo?’

Gian Mario Maulo

Macerata, 14 luglio 2004.

Prefazione alla silloge L’Albero di rami senza vento, Iuculano ediore, Pavia 2006.