L’ENS si sostituisce allo Stato. Se non ci fosse l’ENS i sordi resterebbero sempre in serie B
L’ENS porta attenzione all’istruzione dei sordi. L’Università italiana non è pronta, meglio non ha risorse umane per rispondere con ricerche e approfonditi studi scientifici per licenziare un corpo di docenti specializzati preparati. Questo vale anche per le Facoltà di Scienze della Formazione che dovrebbero preparare insegnanti per la scuola dell’infanzia e primaria. Dove si diplomano gli ex-maestri di un tempo, con l’opportunità - per lo più - di accedere anche al sostegno con discussi e affrettati “seminari” sulla disabilità in generale (…). Ci sarebbe bisogno dun programma più dettagliato per avere una minima preparazione di base specifica: sullo sviluppo del linguaggio nei/dei sordi, sulla comunicazione, sui processi psicocognitivi, sulla lingua dei segni, sulla conoscenza della labiolettura e sui vari supporti di interrelazione. Come tentiamo di impostare il programma - nel nostro piccolo - presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Macerata. Ciò indcuce gli stessi sordi, più preparati e diligenti, a divenire loro stessi protagonisti dell’insegnamento ai simili.
Qualche tempo fa, nella mia qualifica di consulente scientifico dell’ENS, ho suggerito al gruppo di lavoro: l’Aies, educatori e insegnanti dei sordi, la FIACES, delle istituzioni scolastiche specializzate, la FIADDA delle famiglie dei sordi italiani, di sostenere la priorità d’incarico - per i sordi in possesso di titoli universitari adeguati e di specializzazione - per l’inserimento nelle graduatorie per l’attività didattica in favore dei simili. Ci vorrebbe un decreto ministeriale. Deduco che la lungimiranza della presidente nazionale dell’ENS valuterà la proposta e provvederà a sostenerla nelle competenti sedi di governo. Con l’opportunità di incarichi ai docenti sordi si apriranno prospettive di lavoro qualificato: e gli stessi genitori potranno superare il trauma dell’accettazione del figlio nella disabilità sensoriale perché lo considereranno su una nuova prospettiva. Operando il sordo nella scuola nuove generazioni di docenti fioriranno e avranno conoscenza della propria disabilità uditiva, oggi oscurata con l’insistenza di frequentare o convivere con gli udenti. Perché, sinceramente, oggi non c’è confronto con gli uguali. Tutte le questioni sono commisurate sul metro del coetaneo udente. Ci si dimentica di entrare nel contesto dell’identità, non inquadrata nell’insieme culturale e linguistico propri del sordo, vale a dire non la si studia abbastanza nel merito del processo psicologico, sociologico e linguistico. Per tanti rimane solo mera «disabilità»: un giogo pesante in una società, come l’attuale, che focalizza l’attenzione sulla prestanza fisica, sull’estetica. Si chiede al diversamente abile di divenire «abile», cioè annullare le proprie potenzialità specifiche per rincorrere l’utopistica abilità di chi non ha difficoltà di sorta. Ed è, invece, proprio nelle piccole differenze che si presenta il riscatto del soggetto problematico quando potrà gestirselo senza traumi, con un metodo adeguato. Infine mi sono avveduto, in questi ultimi decenni, che la società tende ad esorcizzare le imperfezioni fisiche, sensoriali e psichiche intervenendo dapprima sulla terminologia, poi sull’educazione e l’istruzione modellando infine il tutto su un presunto contesto generale di «normalizzazione» che non chiarisce proprio nulla.
E di nuovo a capo per riprendere la filastrocca.