Il metodo orale non è un metodo didattico
Mi rendo conto che sono noioso, ma insisto e mi “spendo” ancora sul metodo orale perché - comprendendo che non è un metodo didattico - ci impegneremo tutti per una didattica per i reali bisogni fondati sulla percezione visuocinetica.
Gli insegnanti sono fondamentali per il sordo. L’ho scritto in molti libri e saggi (cfr. Scuola di Silenzio, Lettera ad una Ministro (e dintorni), Armando, Roma 2005), annunciato nei tanti convegni nazionali e internazionali in cui sono relatore perché, senza una buona istruzione, il sordo resta «handicappato», svantaggiato. Se è istruito bene la disabilità sensoriale diviene risorsa stimolando la visione dell’ambiente, di persone e cose: costruzione positiva della persona.
Quando ho superato la ritrosia del rifiuto della lingua dei segni, frequentando un corso di LIS, ho capito intrinsecamente gli Idilli di Leopardi, mio concittaddino. Nel momento in cui traducevo a segni i versi tutto il mio corpo dialogava con la natura circostante, revocata dal poeta: il colle dell’Infinito diventava strumento per spiccare il volo verso i “monti azzurri”; il Passero solitario lo scorgevi “sulla vetta della torre antica”, più romito che mai; la donzelletta la vedevi sul serio venire dalla campagna “con il suo fascio d’erba in mano e un mazzolin di rose e di viole”; Silvia la percepivi nella realtà sinestesica come Giacomo Leopardi dal “paterno ostello” la ascoltava e vedeva (…). Sono esperienze fondamentali che un docente specializzato deve conoscere per saper insegnare.
Io non sono incavolato con i docenti specializzati, solo di nome, per lo più sono rimasti “docenti di sostegno”, “samaritani”, “polivalenti”, buoni per tutti gli alunni e studenti di diverse disabilità e problematiche d’apprendimento. Solo il nostro Paese a tutt’oggi (estate 2006) non riconosce ai docenti realmente specializzati una professionalità didattica sul/del settore specifico. Di solito si lavora o si pretende d’inserire il soggetto sordo nella classe comune per renderlo «come gli altri coetanei»; considerarlo normale non significa che non incontri difficoltà di relazione e d’apprendimento, vuol dire, al contrario, sviare i suoi bisogni specifici perché è proprio l’invenzione di una didattica, la costruzione di un appropriato ambiente formativo e apprenditivo a far sì che i disabili sensoriali d’udito (e non solo essi) imparino a crescere culturalmente. La questione perciò non è la diatriba sui metodi d’istruire i sordi: è la conoscenza dei processi mentali, l’essere diversamente abili nel pensiero creativo.
Ogni bambino sordo ha una storia a sé: di riabilitazione e d’apprendimento. Studiandole con attenzione, il bravo docente specializzato, saprà programmare un lavoro specifico per acculturare e istruire lo studente e/o l’alunno che ha in carica; se non ci riesce significa che egli stesso non ha studiato abbastanza, non è filosofo.