Non farsi manipolare

(Il 30 settembre 1979 scrivevo quanto segue)

 

Noi sordi non dobbiamo farci manipolare o, peggio, svenderci a gente dappoco, o che stazioni nell’infima politica coi propri comprimari. Quella gente ci usa per raggiungere i vertici delle istituzioni, o per entrare nelle stanze ministeriali. Dobbiamo avere - lo dico ancora una volta  -  dignità e intelligenza di liberarci della gente che presenta la nostra disabilità come una «colpa» divina da scontare in terra, con radicati pregiudizi frenanti lo sviluppo dell’identità d’essere persona autentica in grado di saper fare. Mi sono sempre impegnato negli studi per raggiungere un giudizio indipendente, mai condizionato dall’altrui bla-bla, affinché maturassi la libertà di scelta. E’ stata sempre una «lotta» solitaria che, in troppi, hanno visto da una parte sbagliata. Ma noi sordi gravi quale via possiamo imboccare per emanciparci se non che con una atto rivoluzionario che ‘spezzi’ le catene dei secolari condizionamenti?

Da sempre, quasi tutti noi sordi, ci affidiamo alla legge «482/1968» per ottenere un “posto di lavoro”. Questo implorare ai piedi del “potente“ di turno ha debilitato la nostra intelligenza, spento il nostro coraggio sospingendoci a delegare le nostre istanze agli «assistenti». Costoro, alla lunga, si sono messi davanti a noi, strappandoci la bandiera di mano; invece di aiutarci, in modo diligente, per la nostra causa, hanno deviato per proporre, ai politici, la soluzione dei loro  problemi di “assistere i sordi” o attribuendosi “esperti  educativi”. Tante volte mi sono accorto che, la mia idea di protagonista, era ferita, foggiata in modo erroneo su suggerimenti di chi fomentava dall’esterno! E’ triste ammetterlo, ma è così. E mentre la rassegnazione sperdeva il primigenio entusiasmo, soffocando a poco a poco le energie di ribellione, non taccio l’avvilimento presente in tantissimi giovani disabili,  divenendo    in qualcuno cronico, trasferendosi nell’uso di droga, di violenza cieca per futili motivi, nel sesso mercimonico, nell’incoscienza di correre oltre ogni limite con moto o auto, come volesse esorcizzare la disabilità  con un comportamento di vita sregolato.

Renato Pigliacampo

da Pensieri e riflessioni sul Silenzio

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