IL SILENZIO E I SUOI RUMORI
Premessa dal 29 al 31 ottobre 1991, a Comano Terme (TN), si svolse un importante convegno internazionale, al quale parteciparono diverse personalità culturali e scientiche. Ne citiamo alcuni: Padre Ernesto Balducci (Teologo); Giorgio Celli (Entomologo, Università di Bologna);Birgil Kills Straight (Learder tradizionale Lakota Treaty Council); Reinhold Messner (Scalatore); Veniero Rizzardi (Musicologo, Università di Padova); Sergio Zavoli (Giornalista radio-televisivo). E altri relatori. Il Dr Renato Pigliacampo venne invitato al Convegno e trattò, nella Sessione Filosofica, una Relazione che fece impressione ai cinquecento presenti in sala. Gli Atti sono stati editi da Giorgio Mondadori, Il silenzio e i suoi rumori (a cura della Provincia Autonoma di Trento), Editoriale Giorgio Mondadori, Milano 1992.
Il Dr Renato Pigliacampo utilizza la propria voce. Per alcuni sordi e ipoacusici presenti, in sala, c’è un interprete della Lingua dei segni italiana, che traduce.
Prima d’iniziare devo dirvi che, parlando, non ho opportunità d’ascoltarmi la voce; pertanto vi chiedo scusa, sin d’ora, se qualche parola verrà pronunciata male o vi sfuggirà. L’importante è comprenderci per intuizione che, ciascuno di voi, possiede nella mente e nel cuore! Grazie.
Platone, nel dialogo Ione di una sua opera esalta un poeta di cui abbiamo scarse notizie: Tinnico di Calcide che tuttavia dobbiamo dire non scrive versi eccelsi. Fu noto per una poesia in onore di Apollo mettendosi in testa che, i poeti, sono ispirati dalle Muse, vale a dire dal dio della poesia. Talvolta dunque i veri poeti non sono coscienti del proprio canto. Sono semplici «strumenti» di comunicazione verso la condizione degli uomini.
Ho accennato alla natura dei poeti come entità privilegiata e, in questo contesto, cercherò pertanto di dividere il mio intervento in due parti: nella prima considererò gli Aspetti del silenzio in poesia; nella seconda parte parlerò de L’ideazione poetica nel mio silenzio.
Aspetti del silenzio in poesia
Ogni poeta reagisce alle offese fisiche o sensoriali, alle arroganze e alle umiliazioni dell’esistenza, secondo la propria indole. Il silenzio, il non rispondere all’interlocutore o stare zitti, fa parte di uno specifico comportamento umano. Pensiamo al silenzio difensivo dello scrittore Italo Calvino, che generava imbarazzo; a quelli sdegnosi di Dante; a quelli profondi e disperati di Giacomo Leopardi; e quelli “naturali” ed ecologici di Francesco Petrarca; a quelli trascendentali e contemplativi di Giovanni Paolo II; a quelli di reazione o antitetici di Gesù sinanzi ai Giudei: è il silenzio di chi non ha più niente da dire aspettando che sia il “suo popolo” ad interpretare la realtà, cioè la situazione, che non può essere spiegata. Poi, nella Passione, ci sono le “scene” di derisione e oltraggio a Gesù, che sta sempre in silenzio; c’è il silenzio di fronte a Pilato, che finisce per temerlo proprio al suo silenzio restandone turbato. Quando Pilato ironizza sulla discendenza divina di Gesù e il popolino sghignazza, Egli rimane sempre in silenzio, non compie un minimo gesto. Qui parla il silenzio più elevato. La parola verbale non avrebbe altrettante efficacia perché è collegata alla carnalità. Infatti, la stessa origine di parlare è collegata ai movimenti dell’apparato fonatorio: è qui che la parola vocale ha genesi, si sviluppa, diciamo così, verso uno sviluppo fisico. Ma ricordiamoci che è sempre il silenzio che dà significato alle cose: per esempio il silenzio intellettuale, il silenzio della natura, il silenzio religioso, il silenzio politico, il silenzio degli animali, il silenzio dell’innamorato e, infine, potrei continuare per arrivare al silenzio dei poeti. Ma chi sono, ieri e oggi, i poeti del silenzio? Io sono nato e vivo Recanati, pertanto è quasi d’obbligo far riferimento al mio grande concittadino, al concetto Infinito/Silenzio di Leopardi, “prigioniero” dell’udire/non udire. Pensiamo ai giovinastri bifolchi recanatesi che prendevano il giro il poeta gridandogli le strofe: «Gobbus esto;/ Fammi un canestro: Fammelo cupo/ Gobbo fottuto.» Canzone che di solito veniva accompagnata dal lancio di pietre. Di poi, senza irritarsi, andava all’ingresso di casa prendendo una manciata di confetti e li lanciava ai bardasciacci (ragazzacci) del luogo gridandogli: “Prendetevi questi!”. Poi, sempre zitto, si avviava verso il Monte Tabor evitando quegli sciocchi pregiudiziosio per ascoltare i “sovrumani silenzi” e la “profondissima quiete”. Leopardi spesso fa riferimento sia alla forza dei silenzi sia a quella delle parole che, come scrive Locke, sono «contrassegni sensibili delle idee». Alcuni critici hanno visto, in Leopardi, una connessione buio-silenzio e spazio-tempo, tipico dei soggetti sinestesici. Ma in Leopardi queste esperienze dapprima furono inconsce e non polisensoriali. Borges, per esempio, ci stupisce con i suoi labirinti e visioni oniriche. Così come Beethoven con la sua musica verso la conclusione della vita. C’è una definizione di Jung che mi piace ricordare nel dualismo Buio e Silenzio, comparati alla Madre/Notte. «Se un uomo è un eroe – scrive Jung – è perché alla fin fine non si è lasciato divorare da mostro ma l’ha soggiogato, non una volta, ma mille volte.»
Leopardi era un turbinio di immagini; partendo da un modesto rumore, da un suono, svolazzavo verso un’irrefrenabile ideazione fantasmagorica. Ne L’Infinito scrive: « (…) quello/ infinito silenzio a questa voce/ vo comparando: e mi sovvien l’eterno,/». Qualche studioso ha intravisto nel silenzio Leopardiano come la dimensione più elevata della sua poesia (Valentini). Leopardi utilizza il Silenzio come un’entità di primaria ideazione poetica., e il Vento, che appare relativamente umano, finisce per favorire la comunicazione di tutta un’architettura di poesia perché «l’eterno può emergere solo come memoria interiore» (Valentini). Il silenzio leopardiano è pertanto cosmico, profetico, forse post-apocalittico. E qui ci fermiamo! Perché questo silenzio preannuncio quello assoluto.
Io, ammiratore della poesia leopardiana, non sono in grado di abbracciare tutto questo Silenzio significante col mio «silenzio sensoriale di vita quotidiana». Ma scorgo, in Leopardi, una coscienza prigioniera di un Silenzio che nulla ha a che fare con gli orecchi. Il poeta tentava di capirne la provenienza. Naturale la ricerca di certezze. Ho fermato l’attenzione sul silenzio della poesia leopardiana per introdurre l’argomento del mio lavoro poetico.
L’ideazione poetica nel mio silenzio
Credo sia opportuno che confessi, al fine che i presenti abbiano idea della genesi della mia poesia, di aver vissuto prima un’infanzia e la fanciullezza poi, immerso nella vita agreste delle contrade recanatesi fra valli e colline che degradano dolcemente verso il mare, dove voci idiomatiche di contadini e leggende, narrate da vergari e vergare nelle sere di veglia d’inverno attorno al focolare e, d’estate, scorribande lungo il litorale di Numana-Porto Recanati-Porto Potenza Picena (Potentia) hanno forgiato di indimenticabili immagini la mia vita. La mia stessa cognomizzazione, Pigliacampo, ha etimologia attinente al paesaggio lussureggiante delle mie Marche.
Ho vissuto e sperimento emozioni forti con i luoghi nativi: il territorio di Recanati (e le sue contrade) per me hanno un significato ideativo, poetico, esse mi suscitano voci nel ricordo di quando, bambino, solevo ascoltare la valle satura di caratteristici “richiami” agresti. E pure mi ricordo di zolle, appena arate, che espandevano nell’area odore di terreni, e la fienagione, e le trebbiature (…). Sì, potrei parlarvi a lungo del tempo del mio “bagno sonoro” secondo la definizione di Jean Piaget.
Permettetemi di esprimere i miei pensieri con alcuni versi:
Mio tempo bambino, di sogni e di sole
si rinnovano di allora speranze di voli;
tempo passato col pathos in cuore
ritorni con voce di madre
di buoi quieti a tirar l’aratro;
poi andasti oltre il colle L’Infinito
lungi dai miei verdi prati, e in fiore
che l’autunno sfrondava alberi
scendendo lì a poco nebbie dai monti
rivedevi vestire la contrada, ancor oggi
verrai a visitare questi silenzi di pace?
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Ma come hanno genesi questi versi senza esperienza onomatopeica? Io, per superare la “barriera di comunicazione” con i non udenti, ho appreso la lingua dei segni. Conosco questa lingua (la lingua dei segni italiana) e potrei svolgere questa relazione a segni. Questa ‘nuova lingua’ ha favorito l’ostracismo delle inutile parole, quel bla-bla che confonde chi ci ascolta o legge. La mia ideazione poetica ha sempre origine da una sensazione o emozione visiva-cinestetica. Io vivo la mia poesia nella gestualità della lingua dei segni senza che le poesie sperdano l’intrinseca musicabilità.
Come avviene? E’ un’esperienza interiore, ma anche memoria e, come afferma Merleau-Ponty, la memoria del corpo non è la parola parlata, ma la parola parlante che si manifesta nell’intenzione significativa allo stato nascente. L’immagine iconica diviene comunicazione/poesia nella fusione del segno/parola del verso.
Ci sono alcuni critici letterari che hanno intuito questo. Ma perché penetrino meglio la genesi questa parola/Silenzio mancano della conoscenza della lingua dei segni e, soprattutto, dell’esperienza percettiva visiva. Tuttavia, anche se avessero ciò, occorre ammettere concordando con Bergson che «la percezione non è mai un semplice contatto della mente con l’oggetto presente. E’ interamente impregnata di immagini-ricordi che la completano (…)».
Negli Stati Uniti ho conosciuto “poeti del Silenzio” che utilizzano la lingua dei segni del loro Paese per recitare le proprie poesie. Vediamo, insieme, una poesia in segni di Dorothy Miles. Ogni segno ha un profondo significato. Se noi proviamo ad eseguire questi segni, per esempio, “inverno”, “contrasti”, “nero”, “bianco” eccetera. Abbiamo (quasi) la sensazione fisica sul corpo dell’evento. Quando noi parliamo o recitiamo fermiamo l’attenzione quasi totalmente sull’apparato fonatorio che, nella produzione dei codici verbali, ci permette d’ascoltare. Non mi piace citarmi anche per il fatto d’essere cosciente che, leggendo, rovino i miei versi. Il mio primo volumetto si silloge aveva un titolo allusivo Dal silenzio. Autobiografico. L’adolescenza è caratterizzata dal continuo partire/ritornare dai luoghi nativi. In una poesia L’arrivo, che è rivolta al genitore scrivo: “Dirgli vorrei l’angoscia che vaga di giorno/ nella storia di una vita dispersa”. Con i fratelli, con i genitori non è presente un rapporto di tensione causato dall’handicap: sono sufficienti gli sguardi, il silenzio e le posture per comprenderci (…). Tuttavia il mio Io è ferito nel ricordo di ieri udente. Così nella poesia Soggetto dalle colline scrivo: “Dalla chitarra vinta dal Silenzio/ l’ultima nota si propaga infelice;/ va’, messaggera, per un poeta che t’intoni.” Rileggendo le mie poesie per questo incontro, mi sorprende costatare la ripetizione di parole quali “i miei fratelli del silenzio”, vale a dire “i non udenti”, o “il silente”.
Un altro libro Radice dei giorni è zeppo di parole quali “silenzio” e “mare”. Nel continuo silenzioso colloquio col mare scrivo: “Un giorno ti chiamerò nella casa del silenzio/ in cui venne la mia vita/ al patrio borgo della prima età…”. C’è qualche verso riferito proprio all’handicap. Scrivo: “Ho già pagato con gli eterni silenzi/ voci di suoni in musiche/ nella tonalità di boschi rurali/ nelle magnifiche contrade/ che amo come se vi avessi sempre vissuto/ parlato scritto sperato.”. C’è anche l’amore. Scrivo: “Non so nulla del tuo silenzio/ che scava nei miei silenzi/ oltre i segni degli arcobaleni di luce/ in questo mare sereno disteso / rincorrendo il volo del gabbiano/ negli immensi cieli”. Nell’ultimo libro Adobe, termine spagnolo indicante il mattone composto di terra autoctona, lasciato poi essiccare al sole, il Silenzio è diventa strumento per abbattere le “barriere”. Nella concezione poetica sta ad indicare la lenta costruzione della propria esistenza, anche partendo dalla povertà o dall’handicap, è un messaggio di speranza (…). C’è pure il ritiro, quasi scontroso, ne “l’isola di Silenzio”, e un verso fa pensare alla resa, alzo la voce per una società più giusta per i disabili ad un popolo ‘sordo’ con: “Parole del mio silenzio il vento disperde”. Ma il paesaggio marchigiano lenisce la sensorialità negata. Scrivo: “Rivedo spiagge silenziose/ un mare che non richiama/ né ridona racconti di avi”. In Adobe troviamo anche una sezione di “Figli di un dio minore” dall’omonimo libro del drammaturgo Medoff, con una lunga poesia Storia del Silenzio e del suo mare. Ci sono, infine, poesie che insistono sull’esperienza personale e dei simili nella sordità. E’ dunque un testo di rabbia perché confesso la delusione per le Istituzioni, la politica, i pregiudizi imperanti annunciando un ipotetico “suicidio poetico”. Nella postfazione annuncio che non scriverò più in poesia perché il mio Silenzio è stato considerato su presupposti negativi (…) Qualche critico ha visto in questa confessione l’orgoglio dell’innamorato deluso che grida che non amerà più ma che, alla fine, se non amerà più in un certo modo finirà per riessere cercato dall’amore. Infatti ho deciso che ritornerò solo per me stesso. Questo scrivere, questo dire dal mio Silenzio non dovrà essere considerata azione presuntuosa, egotica, bensì “dono di riflessione” per chi ha la fortuna di udire.
In questo incontro volevo dirvi un po’ del mio Silenzio, del mio lavoro poetico. Non so se avete compreso e, del resto, è chiedere troppo: un poeta non lo si capisce mai! Il mio sforzo è stato farvi intuire, con la mia testimonianza di vita, che troppe persone, oggi, rincorrono rumori e confusi suoni temendo di restare soli davanti al Silenzio per ascoltare il proprio intimo. E’ errore annullare i desiderati momenti si silenzio: è il coraggio di ascoltare il silenzio che ci permetterà di interpretare, nella reale doviziosità, le parole, in modo che suoni e voci diventino compagni del nostro cammino. Forse ascoltando il Silenzio scopriremo che siamo gli unici essere viventi che, con esso, possiamo raggiungere il sublime. Il Silenzio diventa pertanto il nostro principale mezzo di comunicazione a cui tutti possiamo accedere. E in mondo frenetico di arroganti parole e assordanti rumori, il Silenzio finisce d’essere una bandiera di distinzione, di sensibilità e di cultura. Chi ama il silenzio, chi ricerca il silenzio brama il massimo dell’esperienza percettiva e tutto se stesso tende a Conoscere. E’ un augurio che ci facciamo a vicenda nei versi che seguono.
SETE DI CONOSCENZA
Raggi di sole hanno acceso il suolo
solcando cuore della terra.
E io cammino sull’orlo dei solchi
col cuore crocifisso di dolori.
Tu porti stesso amaro fardello?
Sei nel solco o voli spazi siderei?
Il tempo segno di rughe il volto
divenendo simile a prati in fienagione
dove erba s’è data alle falci
per ridonare verdi steli a primavera.
Vieni con me
Di sera riscrivo ogni verso
Riprendo profumo di valli
Scogliere figli gabbiani
Il mondo è nostro
Quando siamo baciati di gioia.
Ma la mia felicità non arriva:
dimmi se verrà dopo morte?
Nemmeno tu sai.
Resto con la sete di sapere.
Renato Pigliacampo
Il Moderatore della sezione, Piero Amighetti, tra le altre parole di circostanza, dice: « (…) questo lunghissimo applauso, confessa che abbiamo colto nel profondo di questo Messaggio: e la speranza che Renato Pigliacampo ci ha dato. Mi auguro che continui la sua attività di poeta, non solo per se stesso, ma anche per noi. Perché le sue parole ci toccano da vicino e, soprattutto, ci fanno meditare in questo mondo pieno di bla-bla. (…) Un ringraziamento e un plauso agli organizzatori del Convegno per aver scelto Renato Pigliacampo per questa forte testimonianza.»