La LIS che non viene insegnata nelle Scuole…
(09.05.2012) Non c’è dubbio che la LIS (Lingua dei Segni Italiana) è una lingua vera e propria (cfr Noam Chomsky, Tullio De Mauro ecc.). Ma perché sia conosciuta ed utilizzata, bisogna insegnarla come lingua ai bambini sordi e ai bambini udenti che vogliono apprenderla. E’ una chance che permette di aprire una finestra sul mondo: letteralmente, si può dire, ‘apre gli occhi ai ciechi’ vedenti. Le interpreti (cfr Dennis Cokel, Il processo di interpretazione. Un modello sociolinguistico, Edizioni Kappa, Roma 2002; Valeria Buonomo, Pietro Celo, L’interprete di lingua dei segni italiana, Hoepli, Milano 2010) dovrebbero tradurre, come alcune effettivamente fanno, direttamente dal visuomanuale al verbale; accade, invece, vedersi chiedere - dall’interprete visuomanuale di un Convegno - la «visione del segno, in modo che ella possa ‘tradurlo’ come è conosciuto in loco perché, in Italia, la “traduzione” varia molto dal Nord al Sud. Questa diversità di apprendimento della LIS, sfociando spesso in idiomi segnici locali o addirittura parentali, di fatto genera incertezza per l’interprete che si avvicini a questa professione. Le critiche non sono nuove: è consuetudine notare, nei Convegni, le lagnanze di chi vede la LIS come fumo negli occhi, proprio criticando questa mancanza di “lingua nazionale”. Le diatribe sortiscono dalla carente o nulla formazione né, questa lingua visiva cinestetica, è proposta nella Scuola. Un anno fa, dei giovani sordi, hanno protestato per giorni davanti alla sede della Camera dei Deputati, con cartelli su cui spiccava «LIS subito!». Trascorsero settimane e, furbo il governo, la protesta è rientrata anche perché - nell’associazione più numerosa dei sordi d’Italia - sono cambiati il presidente nazionale e il consiglio direttivo, alcuni di loro competenti. Cosicché, sebbene la ^ Commissione dl Senato avesse approvato la proposta di legge, alla fine tutto è naufragato.
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