«IL LATTE DELLA VITA»
Il 12 dicembre 1938, su proposta del Ministro di Grazia e Giustizia, On. Arrigo Solmi, fu approvato, dal consiglio dei ministri, un decreto legge che metteva fine all’ostracismo dei «sordomuti analfabeti» i quali, nell’articolo 340 del vecchio “codice Rocco”, erano condannati a non fruire in toto dei diritti civili, cioè non poter ereditare i patrimoni dai genitori o da altri cespiti familiari o, per esempio, sposarsi e così via; insomma erano «interdetti»!
Sono trascorsi quasi 80 anni, ebbene una percentuale di sordi italiani (non più chiamati “sordomuti”, dopo l’approvazione della legge 20 febbraio 2006, n. 95, che vieta questa definizione) è mercé nelle mani di lobbisti. Ogni qualvolta che la legge sulla lingua dei segni italiana sta per essere riconosciuta, ecco sortire gruppi di (ri)abilitazione connessi con la sordità, intromettendosi e sollecitando persino piccole associazioni di sordi e dei loro familiari a prendere drasticamente posizione contro la maggioranza dei “segnanti”. E’ una storia che si ripete, in questi ultimi vent’anni, portandoci a domande radicali. Come mai questa resistenza è fortemente attiva nel nostro Paese? Perché questo guazzabuglio anti-LIS è presente quando l’ENS, in un modo o l’altro, appare debole o incapace con i propri rappresentanti elettivi?
Ci sono due fondamenti sui quali riflettere: il primo fa riferimento all’ignoranza di fondo su «che cos’è la lingua», considerandola in senso generale. Il secondo sulla praticabilità di accogliere (e insegnare!) questa lingua nella comunità di tutti, cioè nelle aule scolastiche della scuola dell’obbligo. Il fatto che, tale lingua, abbia avuto l’imprimatur di studiosi del calibro di Noam Chomsky, per non citare altri insigni linguisti o filosofi del linguaggio, significa che la società ne ha paura. Perché? Lo abbiamo scritto nei nostri testi (cfr. R. Pigliacampo, 2009) perché, approvando lo Stato la lingua dei segni, deve riconsiderare in toto le strutture della società e, principalmente, delle istituzioni dello Stato. Quando la precedente Presidente dell’ENS (massima associazione dei sordi d’Italia) era riuscita a fare approvare dalla I Commissione del Senato la proponenda legge sulla LIS, poi abortita dalla VII Commissione della Camera dei Deputati, aveva compiuto una grande rivoluzione socioculturale che, solo gli ignoranti e i pressappochisti, non avevano capito o, in malafede, restavano miopi o, come detto, legati alla coda dei lobbisti egoisti.
E’ in questo momento che una lingua si salva nel venire al mondo! E chi può farla vivere se non chi la utilizzi? Ecco allora l’imbroglio degli uomini sciocchi e degli psittacisti udenti, ma anche sordi, alla litania che non è lingua, che i sordi sono restati alla mimica, che la società non la conosce che che….
Siamo nel 2012 e che io sappia, solo l’Università statale «Ca’ Foscari» di Venezia, ha una cattedra per l’insegnamento della LIS con un programma di «lingua». In altre Facoltà d’Italia, di solito in quelle di Scienze della Formazione Primaria, sono attivati Laboratori linguistici estendendo l’azione didattica a meri Moduli di Lingua e linguaggio per non udenti, a uso dei futuri docenti di sotegno… dei sordi o ipoacusici!
C’è una mancanza di volontà e di coraggio del governo? Credo in parte sì. Ma davanti alla Commissione del Senato, Ida Collu, riuscì a scagliare altrove il masso di Sisifo che ostacolava la realtà dei sordi d’essere protagonisti nella lingua! In Italia ci sono sordi con titoli accademici e professionali che possono ribattere punto per punto ai denigratori della lingua dei segni. Sono capaci di programmare un processo d’insegnamento psicolinguistico idoneo ad aprire la mente verso la polisensorialità dei processi dello sviluppo psicocognitivo e linguistico. Non si dà loro fiducia: e soprattutto perché il potere è kofos. Incredibile tuttavia che il ministro dell’istruzione Profumo non lo abbia ancora intuito! E un mondo iperinformato come l’attuale «dove una teoria dei mutamenti culturali non è possibile senza la conoscenza dei mutamenti di rapporti tra i sensi provocati dalle tecnologie» scrive Marshall McLuhan, fa pensare che, senza l’apporto esperienzale dei sordi o degli ipoacusici, che sviluppano apprendimenti socioculturali su canali percettivi diversificati, non avverrà mai il processo gratificante auspicato per i docenti che insegnano ai sordi né i sordi stessi e i loro genitori comprenderanno che la sordità si sconfigge con un’ottima scolarizzazione. Resta sempre vivo e ammonitore il giudizio del sacerdote Luigi Vischi, precettore di Giacomo Carbonieri, psicologo antesignano del secolo XVIII: «la cultura è il latte della vita del sordo». E i primi a capirlo siano loro stessi! Ma io mi domando, al limite: sono in possesso, oggi, i sordi del ‘latte della vita’?