Riflessioni sulla sordità
L’8 maggio 1980, 32 anni fa, Renato Pigliacampo scriveva nel suo Itinerario di Silenzio:
La sordità è un gravissimo handicap che annulla o discrimina il rapporto sociale con i membri della comunità udente, oppure la altera. Cosicché questa menomazione sensoriale, presente nell’individuo, devia o modifica i processi dello sviluppo psichico, in rapporto allo standard di vita della comunità sonora. Inoltre la persona sorda mette a soqquadro le istituzioni nelle loro tradizioni, schemi prefissati, nei rapporti gerarchici, eccetera.
Ancora nella realtà di quanto accade attorno al sordo, egli non sembra soggetto passivo, intendo dire che non subisce l’altrui influenza nelle scelte. Come spesso accade ad altri disabili. Il sordo è una persona che partecipa o pretende di partecipare: è individuo attivo nella comunità. Ma il suo aderire in essa è culturalmente diverso, originale. Per questo spesso non è capito. E’ generoso quando non è richiesto esserlo; astioso quando tutti scherzano e ridono; avaro quando gli altri donano. Tutto ciò “dice“ un fatto essenziale: il sordo non sperimenta il condizionamento dei media. Mai non ne è dominato. Nella propria sfortuna esistenziale di vivere la disabilità resta libero: persona che “cresce“ e “cala“ secondo le proprie capacità e virtù. Egli resta padrone del proprio mondo. Se questo lo privilegia da una parte, dall’altra si rivela una tortura perché la società - questa società degli anni ‘80 - è a misura di un individuo con sanità d’udito. Chi non sente o non parla bene è tagliato fuori senza rimedio e possibilità d’appello. Ecco allora che vanificano le ricchezze in una forma di tensione, direi nevrosi, verso una società vile ed egoista che, per lui, non fa niente. E quanto analizzato sopra ci convince che non amiamo il sordo (o non lo vogliamo comprendere) e, probabilmente, non lo capiremo mai. Perché non lo amiamo o perché, quando lo accostiamo, lo facciamo con la presunzione di imporgli il nostro punto di vista, il nostro modo d’essere udenti! Per esempio: la lingua verbale, l’ideologia, la religione, l’hobby, l’idioma locale e così via. Lo “vediamo“ e “sentiamo“ solo come persona da strumentalizzare, raramente da aiutare con idonee strutture e personale specializzato nella comunicazione per una condivisibile serena esistenza coi cosiddetti ‘normali’. Perciò succede che il sordo fugga da questa società acustico-sonora per vivere coi simili. Con essi si rilassa nella lingua dei segni. Sa che sperimentano il suo stesso modo di percepire il mondo; e questo lo fa contento, libero. Libertà tutta sua e, nello stesso tempo, degli altri uguali. Ecco che egli non deve integrarsi in una comunità che si dichiara normale, è quest’ultima che deve inserirsi nella comunità dei disabili d’udito e parola. In conclusione potranno essere riconsiderati significati come inserire, socializzare, scegliere, sapere, conoscere, lavorare, studiare, comunicare, per il fatto che saremo di fronte alla “scelta“ drastica d’amare uno che non può essere come tu sei, che hai sempre visto dall’alto in basso, o dall’altra parte del fosso, e gli getti un aiuto perché venga da te solo quando ti fa comodo per quietare i rimorsi o gli irrazionali impulsi di solidarietà. � �
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