Il consenso politico ai disabili
Mi sono chiesto nel leggere i risultati delle elezioni amministrative ed europee, se è vantaggiosa o meno – se esistente – la disabilità del candidato. La domanda mi è sorta quando un mio amico collega non-vedente (una volta si diceva cieco) è stato da me stimolato a candidarsi per l’Idv, qualche mese prima delle elezioni provinciali, in una cittadina media, dove sì ci si conosce, ma non abbastanza e vince l’etichetta che ti appioppa chi non pensa abbastanza “Si candida un cieco, quello non ruberà” e altre baggianate (…). Il mio amico cieco si è fatto conoscere attraverso la rapida comunicazione verbale. Il telefono è stato il suo mezzo vincente. Il contatto diretto ha sospinto quasi il 10% dei votanti a sceglierlo. Nel collegio l’Idv non aveva radici. L’esito dell’elezione, primo consigliere della mia provincia, mi ha indotto alla riflessione su ciò che scriveva la sordo-cieca Helen Keller: «La sordità isola dalle persone, la cecità dalle cose.» Alla domanda se le fosse stato possibile scegliere un senso, rispose: «Vorrei ascoltare la voce di un bambino.» In politica il cieco ha il diretto contatto con l’elettore. Costui gli parla, supera il primo disagio, se ne convince delle capacità e possibilità di fare politica attiva: e lo vota. Il candidato sordo è solo. Se il partito non gli fornisce una persona esperta per la comunicazione in lingua dei segni, o per un’idonea labiolettura, o non dispone di strumentazioni mediali, l’elettore finirà per dire «Sei bravo, sei coraggioso….», ma voterà un altro. Perché la sordità impegna la conoscenza culturale e di comunicazione del sordo che, oggi, il 99% degli elettori udenti non ha. Quando si parla di democrazia partecipativa alla politica si deve allargare il discorso programmatico per tutti gli elettori e non solo per l’elettore normodotato. Costui si affaccia alla politica per un interesse economico, di carriera e così via. Noi sordi lo facciamo per vera passione, per migliorare la nostra gente simile, o per i disabili in generale. Questo potrà capirlo ADP, ma non ha tempo per farsene un problema né di sensibilizzare i suoi capetti territoriali, o i parlamentari. Il mio amico cieco ha superato le “barriere” e per farlo è bastato chiamare una persona sensibile e dirle “Mi accompagni?”. Per il sordo no perché implicava il partito a modificare le strutture, a spogliare i candidati nella psicologia, un rapido esame sulla realtà della società. Per questo ho gioito che Mirco abbia battuto i furbastri e gli ultimi opportunisti del partito saliti sul carro, quelli del bla-bla. Mentre lo pensavo mi sono chiesto: “Sei stato campione, un coraggio noto solo a tuo figlio Marco e alle persone che, con te, hanno lottato all’inizio.” A testa alta mi sono allontanato dal gruppo festeggiante, sentendomi un signore.