L’oralismo di Mons. Tarra… non è cognitivo

Abbiamo visto che Mons. Tarra voleva tutti i sordi «parlanti»: buona articolazione della parola, lettori delle labbra, comprensione possibilmente anche dell’accento, e se molti ripetevamo come pappagalli parole e frasi, per lui era secondario. Nel Pianeta del Silenzio gira questa storiella.

   Il confessore chiede al ragazzo:

   «Quante volte ti tocchi?»

   «Molte volte, Padre… »

   «Una volta?»

   «Di più.»

   «Due volte?»

   «Di più.»

   «Tre volte?»

    «Di più! di più!

   «Cristo, come mai così tante volte figlolo?!»

   Il ragazzo scoppia a piangere: «Come faccio a lavarmi la faccia, a pettimarmi. a pulirmi il c.?»

   Più chiaro di così! I bravi sacerdoti - e gli Esperti - non si rendono conto che, spessissimo, il sordo ‘traduce’ la parola alla lettera. Il problema non è il segno manuale, che è sempre esplicito quando ha un referente, ma la metafora costruita sul castello delle parole, spesso i modi di dire gli sono astrusi per accedere al contenuto. Chi ha insegnato o insegna ai sordi è a conoscenza di questo. Molti di loro utilizzano i codici verbali senza adeguarli ai contenuti (concetti) che, loro stessi, hanno in  mente.

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