Giustizia e disabilità (prima parte)
Martha C. Nussbaum ha portato l’attenzione sulla teoria delle capacità, allo scopo che ciascuno di noi raggiunga la felicità che sarà esprssa secondo le proprie potenzialità. L’autrice ammette che è un errore del nostro tempo (cfr Le nuove frontiere della giustizia. Disabilità e appartenenza di specie) che la democrazia e la politica siano gestite solamente da chi è giudicato normale. Di fatto portando l’attenzione su tre problemi irrisolti: 1) le questioni della giustizia nei confronti delle persone con handicap; 2) il problema dell’estensione della giustizia a tutti i cittadini; 3) il nostro modo di trattare gli animali non umani. L’autrice fa presente che è sbagliato considerare cittadini – come succede in particolare oggi – solo baldi giovanotti, escludendo le donne, i bambini, gli anziani e i disabili. Siamo nell’errore iniziale di fornire i principi politici, fondamentali, solo a chi è giovane, invece dobbiamo estenderli a tutti i cittadini. Per Nussbaum la teoria della giustizia di Rawls è la migliore perché non esclude nessuno dalla partecipazione democratica, se non chi vuole tirarsi fuori dalla società stessa. Se i disabili sono considerati membri della società, come in fondo essi sono, è evidente che la società è chiamata a risolvere i loro problemi di partecipazione (superamento della disabilità delle strutture e formazione del personale specializzato), affinché le loro potenzialità siano attive nella stessa società. Una volta, per esempio, si torturava chi era mancino. Predominava il pregiudizio. Era considerato addirittura handicappato, simile alla donna che, a detta degli uomini, era incapace di esercitare delle professioni, in quanto soggetta al ciclo mensile, e di fatto disadattata a decidere con serenità in quei periodi.
La democrazia allora non esiste per disabili? E chi la garantisce poi? Sono sempre “quelli lì” a comandare con le stesse strutture dotate per i normali. Questo, di fatto, mina la democrazia alla base perché qualcuno è assente. E ciò che dice Sylvain Maréchal nel Manifesto degli Eguali, in cui sono ammessi gli affilati egualitarismi di Babeuf e dei suoi congiunti. Maréchal invoca una società nella quale «non ci sono più fra gli uomini altra differenza che quella dell’età e del sesso». Buttare fuori con disinvoltura donne, bambini e handicappati - dalla nave della politica - quando succede nel loro primo affacciarvisi c’è il sospetto che siano migliori, soprattutto nei confronti dei bambini che si sono accostati per alfabetizzarsi sulla Giustizia, anche con la presenza di Figure carismatiche e da imitare, e se li escludiamo (a parte la farsa dei consigli comunali dei bambini) ci comportiamo nello stesso modo di quando schiavi, donne, handicappati e stessi gli bambini non avevano nessun diritto. Non dobbiamo più continuare a giocare sull’ambiguità del termine «diritti dell’uomo», occorre, invece, valutare che cosa può dare quest’uomo quando è messo nella condizione di partecipare nelle sue potenzialità per facilitare la crescita della democrazia nella società.