Il Congresso internazionale di Milano del 1880

La questione del «metodo orale». a livello didattico, è un’invenzione degli educatori e dei docenti udenti che non sanno comunicare, con altre modalità, con gli scolari sordi. La storia dell’educazione dei sordi è infellice. Il coattismo verbale inizia col Congresso internazionale di Milano del 1880. Il presidente dell’assise è Mons. Giulio Tarra. Uomo di vasta cultura classica, pedagogica e teologica. Gioca in casa: e sfrutta l’occasione in tutti i modi, prostrandosi alle richieste dell’Autorità politica che richiedeva considerazione per i rappresentanti francesi, allora l’Italia era in dissiduo con la Francia. Tarra ha forte carisma sui direttori delle «scuole speciali», non sono altro che gli Istituti per Sordomuti, come è scritto sulle targhe dei portoni. Al Congresso di Milano partecipano più di 100 invitati da tutta Europa e anche dall’estero. Spicca la presenza dell’americano Th. Gallaudet, figlio e marito di sorde. L’unico capace di servirsi contemporaneamente sia della lingua dei segni (chiamata dall’ignoranza dei presenti meramente «mimica») sia della parola verbale.    L’insistenza sull’utilizzazione, nell’istruzione dei sordi, del metodo orale è nel fatto che si credeva che «il gesto», come veniva definito, rovinasse la scioltezza della parola vocale. Ecco la stesura dell’atto finale. «Il Congresso, considerando la non dubbia superiorità della parola sui gesti per restituire il sordomuto alla società e dargli una più perfetta conoscenza della lingua dichiara: Che il metodo orale deve essere preferito a quello della mimica per l’educazione ed istruzione dei sordomuti.» Tutti i congressisti plaudirono l’impostazione del metodo, meno i due americani Gallaudet e Peet. Non era finita. Il Monsignore, esaltato dall’approvazione degli italiani e  di tutti i rappresentanti d’Europa, insiste: «Colleghi non illudiamoci, come io pure per alcuni anni m’illusi! Non illudiamoci: perché la parola s’insegni con vero effetto, bisogna aver coraggio, e con un colpo risolutivo tagliare di netto fra la parola e il gesto e ogni altro mezzo che con la pretesadi cooperare alla parola, venga a incepparla e a paralizzarlne il valore.» Chiaro che nel tempo del Congresso di Milano non c’era la logopedista. L’insegnante dei sordi doveva occuparsi anche della riabilitazione fonica, «mettere il sordo nella capacità di parlare a voce». Il lavoro del docente veniva giudicato nella constatazione della buona articolazione fonica degli alunni. Non veniva considerato lo psittacismo, il nozionismo fraseologico senza che il sordo comprendesse i significati delle parole, i contenuti. Poi c’era il pregiudizio che il segno non fosse all’altezza di esprimere l’astratto. Come confessare poi i peccati al sacerdote, ministro del Signore in terra? Se il prete non rusciva a decodificare la voce del sordo(muto) non poteva assolverlo e quindi non poteva essere ammesso alla comunione. Ecco perché, le brave suorine, si affannavano “a far parlare i sordomuti”. Le Risoluzioni furono otto. Fino alla metà degli ann Sessanta, del secolo scorso, influenzeranno l’educazione e l’istruzione dei sordi italiani. Io stesso ne ho fatto le spese nell’Istituto nazionale per sordomuti di Firenze qando, frequentando la scuola «media unica», dopo la riforma del 1960, sostenevano  gli Esperti dell’istituto che dovevo fare due anni per classe «perché i sordi impiegano il doppio di tempo per apprendere rispetto i coetanei». Solo anni dopo capii che speculavano, molti istituti, sulle rette di mantenimento sborsate dalle province di appartenenza degli alunni.

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