I sordi sono usciti dal sonno
A volte traciamano su di me come ebefrenici torrenti in primavera delle mie Marche e-mail di lettori del mio sito, dei miei libri, delle mie poesie sul Silenzio e così via. Sono madri di bambini con orecchi gessati, fidanzate udenti di sordi, e anziani genitori sordi smarriti sulle nuove tecnologie e sulla comunicazione digitale (…). Il fax di casa, d’ufficio e l’indirizzo di posta elettronica sono ingorgati. I mittenti chiedono risposte.
Mi interrogo sul perché siamo usciti dal sonno solo adesso? Perché i sordi italiani hanno tanta frenesia, oggi? Che mèta d’improvviso puntano? Questo popolo dimenticato dal potere politico, nascosto dalle «persone per bene», avvilito per decenni avvezzato alla mutezza ora ha scoperto di poter accedere all’informazione, alla lingua scritta e parlata, alla lingua dei segni. A proposito tutti i sordi raggruppati nella principale associazione nazionale, l’ENS, parlano di Lingua Italiana dei Segni. Guai criticarla! Perché, giustamente, la lingua non va criticata: la si impara dal gruppo di appartenenza, dai coetanei o da chi è più grande di te. E se ne resti «vuoto» la colpa è solo tua. I sordi sono divenuti gelosi della loro lingua. Vogliono individuarvi la propria identità: e precedendo come microcomunità strutturata e caratterizzante da una disabilità specifica modificano la comunità di maggioranza.
Ho riflettuto su questo, e nella comunità sorda italiana sta avvenendo, ovviamente in miniatura, quel che accade in parecchie zone etniche del mondo: il riconoscimento dell’identificazione socioculturale, linguistica e politica. Il popolo silente si è accorto, in quest’ultimo decennio, che è stato soggiogato da quello udente. Ha subìto disposizioni: «devi frequentare quella scuola», «devi imparare questa nostra ingua», «devi frequentare questi amici» e così via. Il sordo non ha mai maturato la libertà di scelta, gli è stato imposto di scegliere quel che altri - attribuitisi il concetto di normalità - gli hanno imposto di scegliere. Così ha sempre iniziato il suo percorso di vita in handicap, a rincorrere angosciosamente il cosiddetto normale. Gli è stata fatta intravedere una realtà presunta, mentre gli veniva soffocata (in altri nascosta) quel che sarebbe divenuto. La potenzialità dello sviluppo intellettivo, psicologico ed emotivo è stata sacrificata al virtuale, alla demagogia degli esperti - e guarda caso - erano costoro prototipi e sacerdoti della normalità.
Avevo intuito le possibilità del sordo se istruito bene. La creatività compariva nella sua lingua di movimento. Io, giovane studente che scavava nel Sapere, proponevo il “nuovo” quando taluni difendevano il “vecchio”: e lo rivangavano per il fatto di non essere capaci di accendere la scintilla dell’idea, che sortiva - ciechi! - proprio da quella lingua generata dalla visività e motilità.
I sordi non istruiti con attenzione, non esposti coerentemente alla lingua dei segni, alienata con definizioni neglette - «gesticolano come scimmie», «la mimica non accede all’astrazione», «i gesti non li conosce nessuno» - da maestri stolidi adagiatisi nella mediocrità e ignoranza! (…). Eccoli ugualmente i sordi dare un colpo sporadico d’ala nel lavoro manuale, nella pittura di afreschi e tele seppure analfabeti (!), dando ragione all’intuizione di Leonardo da Vinci che, i sordi, parlano «con i movimenti delle mani, e degli occhi, e ciglia, e di tutta la persona, nel voler esprimere il concetto dell’animo loro».
Ho notato negli anni menti via via spegnersi perché non alimentate dalla cultura, dalle conoscenze fornitegli dai precettori. Ma è una storia educativa e d’istruzioe ancora presente. Gesù pronunciò la famosa frase: «Scagli la prima pietra chi è senza peccato!». Ebbene io mi alzo in piedi, dico a chi si ritiene insegnante di sordo senza macchia: «Pronuncia forte al collega il metodo appropriato per insegnare all’alunno con gli orecchi spenti». Non credo che assisterò a tanti presuntuosi docenti che si proclameranno efficaci nell’insegnamento dei sordi. Questo confessa una verità sacrosanta: la società non ha mai compiuto lo sforzo per venire incontro alle necessità della popolazione scolastica sorda. Si è solo esercitata a parlare ai sordi secondo i propri comodi. Quando ne era stufa forniva la risposta scontata: «dopo, dopo ti spiegherò», oppure «migliora la tua labiolettura».
I sordi devono imparare a pensare e ad agire con la propria testa, cioè divenire protagonisti. Non farsi adulare per il fatto di aver ottenuto il successo o compiuto quel che ha eseguito l’udente. La verità è che non sei scemo. La sordità, se sei istruito, è la ruota di scorta che ti farà continuare nella corsa quando l’altro ha bucato e non sa come risolvere il problema o come rimettersi a ricorrere.
Non pensare sempre che, perché sordo, gli altri devono sopportarti e giustificare le tue manchevolezze. Se chiedi il loro adattamento alle tue esigenze di comunicazione è bene che tu compia lo sforzo di adattarti alle loro. So bene che verrà detto «Facile dire, ma… ». I sordi intelligenti devono liberarsi del «ma». Perché è la prima prigione, l’incatenamento alle cose ovvie. Sono chiamati a rinnovare le azioni, la cultura del bla-bla. Hai capito che la LIS serve proprio a questo? A rimettersi in gioco in modo differente perché la struttura cerebrale sta lavorando proprio sui processi innovativi afferenti alla diversità percettiva. In queti anni le ricerche neurologiche azzittiscono i denigratori della lingua dei segni. Il cervello dei sordi lavora differentemente. Il neurologo Giacomo Rizzolatti (So quel che fai, R. Cortina, Milano 2006) indagando sul cervello delle scimmie ha fornito risposte convincenti per comprendere meglio l’attività cerebrale dei soggetti che adoperano per caratteristica naturale - come i sordi - prettamente il canale visivo per stimolare i processi psicocognitivi. Ma pochi sordi sono all’avanguardia per indagare… se stessi, la propria sordità. Non basta dire o accennare il possesso di una madre lingua valutata nella lingua dei segni, la propria identità culturale per sentirsi appagati e potersi confrontare senza rischio (…).
Bisogna studiare, apprendere, capire. Troppi sordi si adeguano su percorsi che sono letteralmente scorciatoie… del sapere. Il volume di certi tomi su cui devono preparare gli esami universitari li spaventano: e avviene di chiedere ai profesori un testo abbreviato, un sunto perché, ammettono senza imbarazzo, hanno difficoltà di comprensione della lingua italiana. Eh, qui cade tutto! La sordità è una scusa, un imbroglio per non faticare. Non c’è giusificazione a questo. Diventiamo e/o siamo come tutti precipitando nella massa: e là dove c’era ricchezza, ideazione per progetti nuovi troviamo accortezza, furbizia. I sordi, per scoprire le loro capacità, si allontanino dagli udenti: imitandoli è tutto a loro svantaggio.