Realtà nel Silenzio: esperienze

Ho letto recentemente una bella testimonianza di Martina Gerosa, architetto. Nata sorda, i genitori non si sono persi d’animo stimolandola a divenire se stessa, a superare l’ostacolo (…). Dell’esperienza nel/del suo mondo di Silenzio mi hanno colpito alcune definizioni che porto alla vostra attenzione.  Maestre e genitori, nel corso della vita, le hanno permesso di percepire la sordità come una «realtà amica». Scrive l’architetto Gerosa: «… talmente connaturata al mio essere che oggi non potrei immaginarmi udente.» Ponendosi poi la domanda: «Che cosa significa sordità?» Dice che un amico sordo, con la S maiuscola, le aveva risposto: «Mi sento sordo tra gli udenti, ma udente tra i sordi (…)» (Cfr. «Crescere e imparare insieme con una grave ipoacusia. Racconto di un’esperienza», in Handicap & Scuola, n. 136, nov.-dic. 2007, pp. 11-17). Proprio così. Mi viene in mente la risposta di un giovane udente, l’unico di una famiglia di sordi, anzi di generazioni di sordi: nonni paterni e materni, cugini, zii, zie… Si lamentava della sua condizione di udente perché, qualche decennio fa, per telefonare o avere contatti lontani non c’era né il telefonino né il fax. E il nostro giovane udente doveva servire, col suo udito, tutto il parentado. «Paolo telefona a questo»,  «Paolo telefona a quello»,  «Paolo avvisami se piange il bambino», «Paolo che dice l’amministratore del condominio?», «Paolo che dice la vicina?», eccetera. Un  giorno Paolo sbottò: « Buon Dio perché non mi hai donato la sordità?!».  Per Paolo era un dramma ascoltare perché doveva sobbarcarsi un servizio per  i sordi che la comunità di maggioranza aveva dimenticato. Il dramma della sordità, ancora oggi, è la mancanza di persone qualificate per rispondere ai bisogni dei sordi. Qualcuno può dire, nel costatare il servizio di interpretariato per i sordi, che  è soggezione, condinzionamento dipendere da altri. Ci sono, è vero, abusi dall’una e l’altra parte. Talvolta qualche interprete non è professionale e, per professionalità, intendo riferirmi a chi traduce meccanicamente, senza conoscere i contesti, i significati dei lessemi; pensiamo al linguaggio degli psicologi, dei medici, dei sociologi, degli architetti e così via. Occorrono interpreti adeguati ai professionisti che tengono un seminario, una lezione universitaria, cioè personale segnante laureato nella disciplina. L’architetto Gerosa ci comunica molte verità, conosciute dagli stessi sordi. Per esempio ribadisce la difficoltà della labiolettura sulle labbra di talune persone; lo stimolo, spesso fondamentale per l’intelligibilità della parola, delle vibrazioni; la serenità dei genitori uniti di vivere la sordità della/del figlio/a; la presenza, senza oppressione e ansia, del tutor esperto; la presenza nel soggetto di un’altra modalità di comunicazione; l’amore per la lettura; la curiosità culturale; la sdrammatizzazione degli insegnanti, dei familiari e del parentado sulla diversabilità. Ho incontrato tante persone sorde in questi anni che, all’incirca, il loro successo era fondato sul curriculum indicato.

A metà degli anni Settanta  del secolo scorso i laureati sordi si contavano sulle dita di una mano. Del mio gruppo mi ricordo del Dr Sebastiano Montalto, medico analista all’ospedale civico di Palermo, del Prof. Luigi Rizzo, docente di Lettere al “Magarotto” di Padova, del Prof. Carlo Semplici di Siena, docente di arte e disegno nei licei e di pochi altri di cui mi sfuggono i nomi. Oggi i  sordi di nascita o divenutili in età evolutiva laureati in Italia sono circa 150-200. Ci sono fisiatri, pedagogisti, psicologi, sociologi, biologi, medici, architetti, qualche docente universitario, ingegneri, statistici, avvocati amministrativi e così via e numerosi “dottorini” (laurea triennale). Possiamo affermare che le Università stanno adottando un atto di giustizia per trasformare l’alta cultura accessibile anche ai sordi gravi o agli audiolesi con la presenza del «prendiappunti» o di strumentazioni decodificanti il verbale, o dell’inteprete dei segni per chi conosce la LIS. Con l’approvazione  recentemente del consiglio dei ministri del Decreto legislativo sulla fruizione della Lingua dei Segni molti sordi  sono diventati coscienti delle proprie esigenze e diritti di partecipazione. La vecchia domanda del professore «Hai capito?» che per lo più dava una risposta affermativa, ma bugiarda, oggi il sordo l’ha trasformata in una veritiera che lo conforta: «Non ho capito perché non sa spiegarmelo.» Oppure: «In quest’aula non ci sono strumenti e personale perché io possa partecipare al processo cognitivo.»

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