Cercare le labbra dell’altro
Spesso ho notato che il sordo osserva, innanzitutto, dell’altro/a la bocca. Chi ode entra il relazione con l’interlocutore in tanti modi, che possono essere: una battuta nel momento opportuno dell’interrelazione, un fischio più o meno forte, un soffio più o meno diligentemente significativo, una frase o parola che si intromette nella domanda e/o risposta. Tutto ciò è fondato sull’ascolto, sempre che vogliamo ascoltare! Chiaro che l’udente puo’ guardarsi le scarpe o avere le spalle girate nel momento in cui l’altro gli parla senza che per questo precipiti il mondo (…). Le onde sonore emesse dal parlante sono riprese dal padiglione delle orecchie per convogliarle nel meato uditivo. Tutto il processo del parlare è cosi’ semplice che solo quando analizziamo la genesi e la struttura della formazione della aprola ne comprendiamo la magnificenza sopratutto per la sua semplicità. Il Signore ha compiuto il miracolo massimo non nel creare l’uomo - sebbene in sé è un prodigio - ma nel fatto d’avere reso semplice e accessibile a tutti la meraviglia della aprola, della vista, dell’amore sessuale, del cammino, dell’abbraccio, del sorriso (…). Eppure noi rendiamo complicato cio’ che è semplicissimo. La percezione visiva obbliga il sordo a superare la pigrizia, presente in quasi tutti gli udenti nel sentire. Il genio è come i sordi: riesce a vedere cose che alla maggior parte delle persone sfugge. Chi sperimenta il Silenzio cerca le labbra dell’interlocutore per labioleggere. E’ un’azione ativa, Jean Guitton la chiama «ammirazione attiva», consigliandola a ogni studioso. Il filosofo cattolico afferma: «Creare sempre in sé dei centri e dei focolai di interrogazione, porsi dei problemi, lanciare sul soggetto (…) dei presentimenti, delle attese», aggiungendo l’autore dell‘Arte nuova di pensare « (…) chi non sa che cosa cerca, non sa che cosa trova». Il Silenzio implica pertanto osservare , al contrario dell’udente che, della vista, si serve solo per guardare.
Di labbra io me ne intendo. Conosco tanti sordi capacissimi nel labioleggere. Molti udenti non si accorgono li’ per li’ del deficit udirivo di colui col quale parlano. Parecchi genitori “puntano” su questo per nascondere ai parenti, agli amici la sordita’. Dimenticano pero’ gli Esperti - e gli ansiosi genitori - che non tutte le labbra dell’interlocutore possono essere lette. La prima interrogazione che dovrebbe essere posta è: sono idonee e bene strutturate le labbra di chi parla al sordo? Vero che l’addestramento ai movimenti labiobuccali permette alla percezione visiva di evolvere dal semplice sguardo e/o stimolo alla conoscenza intelligibile e d’interpretazione dei movimenti labiobuccali che originano la parola. Ma se il parlante non è educato a comunicare col sordo non c’è verso che sia capito, ho capito male. Infine c’è da considerare il concetto semiotico che, al labiolettore, spesso rimane oscuro. In particolare per i bambini del Silenzio. Per chi ode il significato che la parola assume nella mente del bambino è lo stesso che ha nel linguaggio degli adulti. I bambini udenti si calano, diciamo cosi’, nel linguaggio sociale, familiare. Ogni madre lo sperimenta nel prim stadio piagetiano dello sviluppo senso-motorio, il linguaggio maternale.
(…) Allora l’udente parla e parla; il sordo non capisce e si innervosisce, ugualmente si irrita chi gli parla. Due tenzoni si trovano di fronte, si sono originate, proprio la’ dove, parlare, doveva essere una liberazione e scambio di pareri. Finiamo in un giro vizioso. Non ci si briga più a chi parliamo, domandarsi se si possiedono labbra idonee per essere lette o se articoliamo bene i fonemi, o alcuni degli stessi; se ci si “mangia le parole”; se le labbra sono visibili agli occhi del sordo; se l’espressività accompagna il contenuto. L’esperienza ci dice che l’8=% delle persone ha un apparato labiale e boccale che rende impossibile l’intelligibilita’ delle parole emesse: o perché, ripeto, sono labbra malformate, o perché - negli uomini - sono coperte dai baffi, o per altri motivi connessi alla caratteristica fisiognomica di colui che parla.