Il coattismo verbale
Per alcuni secoli il coattismo verbale imposto ai sordi regnava sovrano negli istituti e nelle scuole; bloccando di fatto la ricerca sulla lingua dei segni, sulla conoscenza etimologica del segno. Perché conoscerne lo sviluppo è importante per la persona udente, satura com’è di ripetitività delle parole ascoltate. L’attenzione sulla percezione visiva delle cose e la riflessione sulle parole sono importantissime per stabilire un contatto con l’ambiente: entrare dentro la parola. Si è sparlato, di proprosito in negativo, sui «gesti». Generazioni di sordi «mimici» nei loro centri sociali, gesticolavano (o gesticolano) in modo frenetico sia gli adulti negli incontri del tempo libero sia nell’attività ludica dei bambini esposti ai segni. Raramente c’è stato incoraggiamento delle loro perfomances dagli operatori sociosanitari o dagli insegnanti, ancora meno dalle famiglie. Spesso, invece, si sono avuti attori udenti, soprattutto di teatro, che utilizzavano i sordi per conoscere i segni, per trarme una «macchietta» originale per le apparizioni i televisione. Ancora oggi, sebbene i sordi più colti e i dirigenti della più importante associazione nazionale (ENS), propongono un’apertura alla conoscenza della lingua dei segni sia ai sordi che agli udenti, la maggior parte dei giovani sordi e i meno giovani non la conosce a sufficienza a livello teorico e grammaticale nei processi di sviluppo per saperla proporre a scuola, dibatterla scientificamente. Tuttavia un numero ristretto, ma agguerito, sta proponendo alla comunità lo studio di questa lingua. Stupisce, nel dibattito acceso dei convegni, notare come rispondono gli specialisti, in particolare otochirurghi e le prime logopediste chiamate ad operare negli enti locali o nelle AASSLL, indottrinate teoricamente e praticamente, presisposte «a far parlare i sordi». Costoro rispondono sempre allo stesso modo: i sordi non esistono, sono retaggio del passato quando non era possibile fruire di strumentazioni, di interventi logopedici su misura, specificandone gli invasivi attuali più costosi come l’impianto cocleare. Non hanno idea - questi cosiddetti esperti - del linguaggio se non che come entità oggettiva, medicalizzante. Mai soggetiva. Se lo fosse analizzerebbero la lingua dei segni linguaggio proprio del sordo, non «i gesti dei sordi» (sic), ma processo psicocognitivo e linguistico per appropriarsi di una comunicazione prorpia di accesso all’altro.
Succede che gli operatori della sanità in genere (logopediste, otochirurghi ecc.) portano i bambini e i ragazzi impiantati per confermare le loro teorie (sono stati condotti anche davanti al ministro della solidarietà, On. Ferrero, “colpevole” di portare avanti l’approvazione della lingua dei segni), o recitano disposizioni a tavolino, imposte da familiari e operatori che l’hanno cresciuti «oralisti». Potrei fare decine di esempi. Ne ho accennato in Lettera ad una MInistro (e dintorni), di un ragazzo sordo di «buona famiglia», sempre giustificato dalla madre quando, capitato in società o nel gruppo dei pari, esprimendosi con tonalità tipica di straniero, ella interveniva celere affermando soffriva di faringite o di altre infenzioni. Il ragazzo stesso era divenuto imbattibile nel mentire sulle cause della comprensione artefatta o confusa. Capitava spesso che dicesse, quando gli era impossibile decodificare le parole o le frasi per labiolettura, d’avere un fastidioso ronzio negli orecchi, di un’otite e così via. Il giovane diveniva uomo recitando la commedia per escludere la sordità. Nessuno nel parentado o esperto gli insegnava come affrontare la realtà d’essere sordo in una società di udenti idonea per la loro condizione. Mai abituato a contattare i simili o mettersi con loro in prima fila per accedere al diritto di partecipare attivamente alla costruzione di una società in cui fosse stata accettata la condizione di sordo, tanto più opporsi ad un insegnante di scuola incapace, non solo a svolgere attività didattica secondo i bisogni ma nemmeno comunicargli semplici nozioni.
Prigionieri della loro menomazione sensoriale, sordi, dunque vinti.