Solitudine tragica talvolta del sordo
Talvolta è importante accettarsi nella propria disabilità sensoriale. Ma come accettarsi? Non certo vuol dire rassegnarsi alla condizione di sordo. Se veramente ci si rassegna alla condizione di non poter ascoltare si finisce per rinchiudersi in un recinto, isolato. Solitudine tragica avvolge la persona priva dell’udito. La mia generazione di sordi, per lo più istruita nelle scuole specializzate, indicata con terminologia nuda e cruda: «i sordomuti». «gli handicappati», la maggior parte ha accolto la condizione d’essere sordi con serenità. Ci sono sordi figli di benestanti, di professionisti, sospinti a divenire secondo un modello parentale, di fratelli, di cugini, si sono trovati davanti ad ostacoli inenarrabili. Non riuscendo essi a soddisfare le aspettative dei familiari, precipitavano nella depressione o nella nevrosi. Altri sordi, provenienti da famiglie modeste e/o semplici, abituati ad una condizione difficile di difficoltà economiche per seguire i figli, li hanno lasciati liberi di fare esperienze, di confrontarsi con i pari o nella comunità dei simili prendendone a modello alcuni (…). Costoro di poi hanno raggiunto un equilibrio psicologico e sociale gratificante. Altri sordi si sono accettati impegnandosi con tenacia in un settore professionale o artistico: penso ai mei amici dell’Istituto di studi medi e superiori “A. Magarotto” di Padova, che hanno creato laboratori di odontotecnica notissimi nelle proprie città; penso a pittori e scultori famosi di valore; penso ai tanti docenti di lingua dei segni che si adoperano ad insegnare la LIS in ogni dove; penso ai dirigenti di associazioni che trascorrono intere giornate nelle sedi. Ci sono sordi che si ‘battono’ a livello nazionale, regionale, provinciale come leoni per favorire e suggerire strutture, personale specializzato, formazione di docenti, interpreti di LIS e labiali, per la diffusione di informazioni tramite media visivi adattati. Certo, se la società è pensata anche per chi non ode l’accettazione della privazione sensoriale dell’udito è meno dura. Eppure tutti gli anni assestiamo, nei mesi novembre-dicembre, al valzer della Finanziaria, ai ‘tagli’ sul sociale; vigilare - attraverso i dirigenti regionali e regionali delle associazioni - diventa sempre più stressante e drammatico nei rapporti col potere politico. La classe politica considera i disabili nulla-facenti, mangiatori di pane a ufo. Vuole eliminarli. Ma non ce la fa. Sono parecchi. Allora esorcizza l’handicap. Il giochetto avviene - mi ripeto - modificando le parole di riferimento alla disabilità o al deficit. Chi era sordo diviene “possibile udente” con l’impianto cocleare, o audioleso.
Accettarsi non significa rinunciare a uscire dalla condizione di disabile, a curare sensi e apparati del proprio corpo; vuol dire prendere coscienza di quel che si è, dominando e soggiogando la disabilità per riciclarla secondo le proprie esigenze, farne bandiera di lotta per migliorare - non solo la fazione dei disabili dell’udito e della parola - tutti.