Bambini che non voleranno mai
I sordi appartengono ad una piccola comunità invisibile, a parte, della grande comunità di maggioranza udente. La quale agisce, soprattutto dall’inizio di questo terzo millennio in cui i sordi hanno avuto il coraggio di scendere in piazza per rivendicare il diritto di riconoscimento legislativo della lingua dei segni, come propria lingua (più) efficace per manifestare idee ed emozioni. Effettivamente in molti Paesi europei la lingua dei segni è riconosciuta da anni; infatti, sin dal 1988, la deputata europea, Lesmas, chiedeva - ai Paesi membri - di riconoscere la peculiarità comunicativa dei sordi espressa nella lingua dei segni del proprio Paese. In Italia gli attriti fra l’ENS e le famiglie locali federate alla FIADDA, la cui presidente è al vertice da quasi quarant’anni, sono stati sempre aspri. I sordi adulti non sono lasciati in pace nelle loro proposte al governo. La FIADDA, che ammette di tutelare bambini sordi e audiolesi, rivendica un ruolo esclusivo sui figli degli associati che, il 98% di loro, s’incammina lungo una strada che, adulti, avrà per meta l’infelicità. Non sono sufficienti gli incontri dell’associazione ENS, dei protagonisti più tenaci che manifestano scientificamente la loro esperienza, i riscontri negativi di proposte di un «recupero» che non risponde alle reali necessità del bambino sordo perché possa crescere felice. Ci troviamo di fronte a familiari oscurantisti che perseguono l’oralismo a tutti i costi, a politici opportunisti, a docenti di sostegno senza volontà di migliorare la professione, a personale di riabilitazione logopedico: e tutta questa gente esercita pressioni sui genitori perché l’educazione dei propri figli sia programmata esclusivamente per «l’integrazione con i normali». Pensano di donare a questi bambini le ali della natura, invece gli appiccicano ali di cera, che si scioglieranno alle prime difficoltà perché non gli hanno insegnato a gestire la menomazione sensoriale, ad essere se stessi. Considerato che la disabilità della sordità non è visibile, i familiari non si preoccupano più di tanto di ciò che succede al figlio in ambito scolastico, di riabilitazione logopedica e nei processi di sviluppo psicologico e d’apprendimento. Le madri possono sempre far obiezione al parentado, alle amiche, ai vicini di casa che il figlio non ha problemi né di comunicazione né di partecipazione alla didattica comune. Mi è capitato di conoscere una mamma di sordo che, fino a vent’anni, ha nascosto ai parenti, ai conoscenti le difficoltà gravi d’udito del suo ragazzo: e ogni volta adduceva cento scuse sull’incomprensione delle parole o sulla voce rauca. Altera, sicura di sé replicava sempre: «E’ normale! Frequenta i normali!». Il ragazzo la seguiva a puntino diventando maestro di finzione: recitava tanto bene la sua sordità da renderlo ineccepibile attore! Negli inviti alle festocce scolastiche affermava, quando era costretto a parlare o a seguire determinati comportamenti verbali, che era raffreddato, o che soffriva di laringite, o di mal di orecchi, o di un principio d’influenza (…). Povero ragazzo, non si avvedeva che era aggregato e non integrato nella cosiddetta comunità normale!