L’America che condanna gli handicapati a morte.
Martedì, Agosto 14th, 2012Il 54enne Marvin Wilson, afroamericano del Texas, nel 1992 uccise uno spacciatore di droga informatore della polizia. Le indagini successive hanno dimostrato che il suo Q.I. è di 61, pertanto oltre il limite di 70 che definisce il «titardo mentale». Secondo i giudici era in grado di capire quando commise il delitto. Dal 1976 la Costituzione americana ha permesso la ripesa degli omicidi legali. Alcune esecuzioni non sono accompagnate da un battage pubblicitario, alla chetichella si accompgna i condannati al patibolo. Si può discutere alla lunga sulla condanna a morte degli handicappati. Ma il test per conoscere il Q.I. di Wilson sembra viziato dalla somministrazione erronea di test. La verità è evidente: gli usa, grande Paese, che risolve il possibile e, talvolta, l’impossibile non riesce ad interpretare lo status mentale di un suo cittadino per stabilire se è sano di mente o no. Conta poco ricercare se l’azione di Marvin sia dovuta ad un impulso irrefrenabile, oppure da un incallito assassino seriale (…). A tutt’oggi 3.251 detenuti sono rinchiusi nel settore “braccio di morte” in attea d’essere giustiziata. In molti Stati americani è in vigore l’omicidio legale. Durante il nazismo, i deportati venivano selezionati, separati per status fisico e, talvolta, per informazione (omosessuali, zingari ecc.), gli scartati venivano inviati alla camera a gas. La grande America fa letteralmente pena: la Corte federale si lava le mani, come Ponzio Pilato, sulle sentenze emesse dai Giudici degli Stati. La legge degli Stati prevale sulla legge della nazione. Lavarsi le mani fa comodo a parecchi: e avviene quando ci costa fatica decidere perché, nella decisione intrapresa, perdiamo uno status che ci inchioda al conformismo: Che cos’è la deocrazia se non che una cnfessione di perdono verso chi ha sbagliato anche nel momento efferato di un delitto? La legge, che condanna a morte, l’approva l’uomo che, seduto in un consesso elettivo, sta esercitando un’azione che, quasi mai, ha sperimentato di persona nella miseria e nell’umiliazione di chi, ora, manda al patibolo decidendo «condanna a morte!». Così l’handicappato è condannato due volte: prima nella società dei cosiddetti normododati che non l’ha assistito con strutture e personale qualificato nella sua specifica condizione e, poi, è scaraventarlo nel cestino dei rifiuti. L’America, grande paese, si condanna da sola con certe azioni, per ritrovarsi al pie’ di altri paesi verso i quali pontifica la sua democrazia.