Negli ultimi decenni il concetto di d. e, di fatto, “il disabile” ha subìto fondamentali cambiamenti, dopo un’approfondita critica su che cos’è la normalità considerando la rivisitazione culturale dell’ICF (Classificazione Internazionale del Funzionamento della Disabilità e della Salute), dove si è chiarita la classificazione delle «conseguenze della malattia» (versione del 1980): e poi date indicazioni delle «componenti della salute», identificando meglio gli elementi che la costituiscono: le “conseguenze” dell’impatto delle malattie e le “condizioni” che ne scaturicono. La d. è un universo e, come tale, riguarda tutti. Perché ciascuno di noi, in vari periodi della vita, è disabile. Siamo pertanto chiamati a comprendere bene che cosa sono le funzioni corporee e le strutture corporee. Le prime (incluse le funzioni psicologiche) sono funzioni fisiologiche del corpo. Le seconde sono le parti anatomiche del corpo. Per esempio gli arti e le loro componenti. Le menomazioni sono problemi emergenti quando, funzioni e strutture, sono colpite da disfunzioni causate da aspetti genetici, infettivi, accidentali eccetera e non possono più compiere l’azione propria o limitano l’attività.
Una volta nota la d. la riflessione si sposta su due modelli:
a) il modello medico. Valuta la d. come “problema della persona” causato dalla malattia, trauma, ecc.: e per frenarne l’evoluzione ha necessità di professionisti per la cura e la riabilitazione. La d. è gestita intervenendo (talvolta radicalmente) o curando gli aspetti che l’hanno causata. L’intervento medico è prioritario e, a livello politico, si tende a riformare e a cambiare le politiche di assistenza sanitaria;
b) il modello sociale. Esamina gli aspetti sociali ammettendo che la d. è «un problema creato dalla società», dalla mancanza d’integrazione degli individui nella stessa. La d. non è la caratteristica di un individuo, ma un insieme di condizioni, molte delle quali causate dall’ambiente sociale. Gestire la problematica induce tutta la società a farsi carico della questione, assumendo responsabilità gli atteggiamenti, imponendo i cambiamenti e la programmazione politica: visione che diventa problema di difesa dei diritti umani.
Quando esprimiamo un giudizio sulla persona “disabile”, o definiamo la “disabilità” è utile conoscere il mondo relazionale del soggetto e la comunità di appartenenza. Un esempio efficace lo propone lo scrittore e neurologo Oliver Sacks nel libro Vedere voci, Adelphi, 1999. Egli navigando nell’Oceano Atlantico capitò in un’isoletta dove, un’elevata percentuale di persone, comunicava in lingua dei segni. Sacks se ne stupì ponendosi la domanda del motivo. Venne a sapere che molti abitanti erano sordi. Avevano portato nell’isola la lingua dei segni appresa nelle scuole specializzate (istituti per sordi). La comunità udente s’era adattata alla condizione e alle esigenze dei sordi, valutati in base alla professione, alla cultura, alle loro capacità. Non erano più indicati, come avveniva in precedenza, con la definizione “il sordo falegname”, “il sordo pittore”, “il sordo calzolaio” e così via, bensì il bravo falegname, il valido pittore, il bravo calzolaio eccetera. Le capacità professionali e l’accettazione della condizione esistenziale della minorazione uditiva da parte della comunità udente faceva passare secondarie la funzione uditiva e la modalità della comunicazione verbale!
Nella DSM-IV. Guida alla diagnosi dei Disturbi dell’infanzia e dell’adolescenza di Judith L. Rapport e Deborah R. Ismond, Masson, Milano 2000, sono individuati – per approfondire la tematica del soggetto che ci interessa – i disturbi della comunicazione:
I.1. Disturbi dell’espressione del linguaggio;
II.2. Disturbi della fonazione.
I.1 Il DEL è valutato per mezzo di test standardizzati somministrati individualmente. Quando il risaltato è inferiore rispetto alle capacità intellettive non verbali e allo svolgimento del linguaggio recettivo. E’ evidente che le caratteristiche variano secondo l’età e della gravità. Le manifestazioni comuni comprendono:
- limitata gamma di vocaboli;
- limitata acquisizione di parole;
- limitate strutture grammaticali e tipi di frasi;
- limitata semplificazione, ordine inusuale delle parole.
Il DEL può essere sia acquisito (trauma cranico, condizione neurologica… ) sia legato deficit di sviluppo.
�
II.2 Il DF è spesso presente nei bambini più piccoli. Il disturbo è scoperto verso i 3 anni, oppure non è apparente sino a quando il linguaggio non è complesso. I sintomi comuni sono:
- errori nella produzione, nell’organizzazione e nella rappresentazione del suono (per es. distorsione del suono, sostituzione o emissioni),
- possono esserci problemi a livello di produzione del suono (per es. l’articolazione), o limitata intelligibilità del suono. Le cause possono essere menomazione uditiva, problemi strutturali (per es. palatoschisi), deficit cognitivi (per es. ritardo mentale), condizioni neurologiche (per es. paralisi cerebrali) o cause psicosociale ( per es. deprivazione ambientale).
DEFINIZIONE DI CHI HA UN DEFICT SENSORIALE O DELLA PAROLA
In Italia a mente dell’art. 1 della legge del 26 maggio 1970, n° 381: «Si considera sordomuto il minorato sensoriale dell’udito affetto da sordità congenita o acquisita durante l’età evolutiva che gli abbia impedito il normale apprendimento del linguaggio parlato, purché la sordità non sia di natura esclusivamente psichica o dipendente da causa di guerra, di lavoro o di servizio.»
Terminologia. Negli ultimi decenni del XX sec. vi è stato un vero e proprio intervento “estetico” sul linguaggio indicante patologie permanenti o no di un individuo, caratteristica particolarmente evidente nella proliferazione di termini indicanti il soggetto con disabilità dell’udito, con riflessi dunque anche sull’eloquio.
Il termine sordomuto ha avuto importanza sino alla fine degli anni ‘50. Gli Istituti, all’ingresso, avevano esplicita l’indicazione “Istituto per sordomuti” (le cosiddette “scuole speciali” frequentate dai sordomuti). Per la legislazione italiana, fino a poco tempo fa, era consueto utilizzare il termine “sordomuto”; di fatto “indennità di comunicazione per sordomuti“, “posto di lavoro riservato al sordomuto“, ecc.; sordastro, periodo dal 1950 al 1965, indicante chi, pur essendo…sordo conserva ancora qualche residuo uditivo. Questo termine è caduto in uso quando è iniziata la protesizzazione in massa dei sordi; anacusico, periodo dal 1960 al 1970, proposto dallo studioso Padre Arturo Elmi, letteralmente significa «privo di suono», con la “a” appunto privativa; sordo periodo dal 1970 al 1980, proposto da vari protagonisti sordi laureatisi in quegli anni. Molti di costoro, ancora oggi, per evitare equivoci d’interpretazione gradiscono essere semplicemente chiamati “sordi”; audioleso dal 1980 ad oggi, proposto dalle associazioni delle famiglie dei sordi federate nella FIADDA. Il termine letteralmente significa “orecchio-leso, rovinato, incapace” (…). Comunque sia, se vogliamo proprio essere pignoli… è un termine che pretende di nascondere la disabilità: intenzione questa dei genitori proponendo la terminologia, là dove, invece, occorre far conoscere la realtà per quel che è per intervenire con strumentazioni, strutture e metodologie specifiche; non udente periodo dal 1982 ad oggi, proposto da Televideo-RAI, infatti la titolazione delle pagine di televideo specifica “Pagine per Non Udenti”; male-udente periodo dal 1985 in poi, proposto da un gruppo di famiglie di Genova, riprendendo il francesismo di uguale corrispondenza significativa; ipoacusico, cofotico, presbiacusico sono termini esclusivamente medici; duro d’orecchio, debole dell’udito sono rivolti di solito a persone anziane o possono avere significati metaforici per indicare «chi non intende ascoltare i suggerimenti altrui», ecc. Con la legge 20 febbraio 2006, n. 95, il secondo comma dell’art. 1 della legge 26 maggio 1970, n. 381, è stato sostituito col seguente: «Agli effetti della presente legge si considera sordo il minorato sensoriale dell’udito affetto da sordità congenita o acquisita durante l’età evolutiva che gli abbia compromesso il normale apprendimento del linguaggio parlato, purché la sordità non sia di natura esclusivamente psichica o dipendente da causa di guerra, di lavoro o di servizio». Al primo comma dell’articolo 3 della legge 26 maggio 1970, n. 381, le parole: «L’accertamento del sordomutismo» sono sostituite dalle seguenti: «L’accertamento della condizione di sordo come definita dal secondo comma dell’articolo 1».
Bibliorafia
Organizzazione Mondiale della Sanità, ICF. Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della salute, Edizioni Erickson, Trento 2002.
Renato Pigliacampo, Nuovo dizionario della disabilità, dell’handicap e della riabilitazione, Armando editore, Roma 2a edizione 2008.
Rapport Judith R., Ismond Deborah R., DSM-IV. Guida alla diagnosi dei Disturbi dell’Infanzia e dell’Adolescenza, Masson. Milano 2000.