«Il linguaggio fu inventato in modo che le persone potessero nascondersi reciprocamente i propri pensieri.» (Charles-Maurice de Talleyrand). Ma io, Renato Pigliacampo, non l’ho nascosti: li ho ‘vestiti’ con un altro linguaggio. Ho iniziato a volare, con le nuove ali: e oggi continuo a volare.
Spesso ho avuto la sfrontatezza di risolvere - non solo i miei problemi di comunicazione dovuti alla disabilità dell’udito - ma anche quelli dei simili. Infatti la prima regione italiana a legiferare sull’abbattimento delle «barriere di comunicazione» (terminologia proposta alla commissione affari sociali) è stata l’unica regione italiana al plurale, le mie Marche. Da quattro anni avevo lasciato l’insegnamento a Roma per dedicarmi, nel territorio di Recanati-Porto Recanati, alla professione di psicologo. La commissione affari sociali, presieduta da Malgarì Ferretti Amedei (PCI) chiese, a noi rappresentanti delle associazioni, «di suggerire i punti focali per migliorare la nostra qualità di vita», affiché fossero ripresi nella istituenda legge regionale. Dissi di getto «abbattere le barriere». Alcuni consiglieri pensarono che mi fossi confuso con la scontata frase «le barriere architettoniche». No. Dovetti fornire una rapida lezione su che cosa intendevo. La presidente - poteva intuirlo solo una donna! - capì subito che si trattava di una proposta nuova, che avrebbe caratterizzato la dirigenza della commissione. La legge fu approvata in poche settimane. Dico della L. R. 18/1982. Molte regioni italiane contattarono l’assessorato ai servizi sociali per averne idea. Di poi fu rivista, migliorata, nella L. R. 18/1996, art. 20, in cui si chiedeva addirittura un «programma televisivo settimanale alla sede regionale della RAI», o tramite un’emittente privata. Precedemmo la nota legge nazionale per l’integrazione delle persone disabili (l. 104/1992). La legge afferma, nell’articolo 9, che i comuni singoli e associati possono istituire «il servizio di aiuto personale»… e «comprende il servizio di interpretariato per i cittadini non udenti». Per i sordi era una vittoria, tuttavia… La legge riportava un cavillo, predisposto con la solita malizia degli italici lugulei istituzionali. Infatti vi è scritto che «il comune singolo o associato “può″», non vi è riportato, come avrebbe dovuto essere, “deve”. La verità era che, se restavano soldi dopo aver finanziato i progetti più importanti, il sensibile assessore o il sindaco avrebbero istituito il servizio… Nelle Marche, pressavamo, in particolare nel territorio provinciale di Macerata, gli assessorati (…) e, mugugni o no, disponevano per le nostre esigenze di comunicazione. Nelle assemblee sindacali, politiche, sportive non eravamo più spettatori, bensì persone partecianti, grazie alla professionalità nella comunicazione dell’interprete di lingua dei segni. Personalmente me ne giovai molto: in politica, nell’aggiornamento professionale, nei convegni, nell’ausilio per comunicare (allora non erano presenti i telefonini) con persone lontane. L’interrelazione, sebbene tramite l’interprete, con i rappresentanti del potere politico-amministrativo mi dettero l’opportunità di mettere in piazza le rivendicazioni dei sordi, di provocare forti emozioni col mio Silenzio nei dibattiti e convegni.
Il Silenzio aveva l’opportunità di uscire dal carcere.
Ne approfittai.
Iniziai a volare, puntando dritto ampi spazi.