Archive for the 'Senza Categoria' Category

CUORE DI PORTO RECANATI

Mercoledì, Dicembre 21st, 2011

Ascolto il battito di Geo.
Sempre sei stata, o terra
affine al mio corpo dialogo
teso nei sogni di queste colline
da cui ogni giorno sono generato
nel volto dei mezzadri che ricordo.
 

(Oh! le mie Marche di vergari e tabaccoli,
gente robusta con mani callose
il cuore generoso; ancora mi parlano
nell’idioma del passato
nelle sere che calano sul mare)
 

Sono andato nell’ultimo volo
per imitare il gabbiano sfiorante l’onde.
sulla spalla ho la croce del debole.
 

Mi sono dato ai fratelli del Silenzio.
Volato oltre i Sibillini, oltre
il Cònero per fondermi nell’arcobaleno.
 

La mia storia la sussurro al vento
che soffia per le vie della mia Porto.
A me non è dato ascolto se non che
nelle labbra che muovono rapide parole.
 

Nemico talvolta a me stesso, sui libri
indago la verità per sperare consenso.

LO SCREENING PER I BAMBINI SORDI

Domenica, Dicembre 18th, 2011

Il diritto alla salute, che consiste anche nella possibilità di utilizzare tutti i sensi, è il principio che guida la democrazia sociosanitaria. Tuttavia questo traguardo non è ancora raggiunto (alla fine del 2011) in tutte le regioni italiane, per quanto riguarda lo screening. Sette sono le  regioni che, con una normativa, impegnano il settore sanitario a valutare le condizioni d’udito del neonato. Sono le Marche, la Toscana, l’Emilia-Romagna, la Sardegna, la Campania, la Liguria e la Lombardia. Ogni anno i bambini che nascono con sordità profonda sono circa 1.100. Lo screening audiologico è fondamentale per approfondire le cause di un’eventuale sordità, e quindi per un buon recupero della potenzialità uditiva; infine ci vogliono i centri audiologici con personale qualificato. C’è, nel nostro paese, un’incuria ingiustificata sull’accertamento della sanità di un senso fondamentale come l’udito che governa la relazione del piccolo sia con i familiari - la madre in primis - sia con l’ambiente. Ogni ritardo è una colpa che va evitato.�

MACHIAVELLI E… LA SITUAZIONE DEI SORDI (Dal «Diario» del 22 luglio 1972)

Venerdì, Dicembre 9th, 2011

I Gesuiti hanno accusato per anni e anni Machiavelli di empietà emarginando le sue opere tra quelle “proibite“. Il Principe fu “un’opera scaturita dagli inferi“ secondo gli eminenti teologi del secolo XVII. Perché? Semplicemente perché temevano che l’intelletto laico si destasse e togliesse loro gli innumerevoli benefici sociali e l’autorità sul popolino. Ripetere che la religione cattolica ha frenato la presa di coscienza della libertà intellettuale, è superfluo confermarlo. Ugualmente oggi  taluni sordi  dell’ENS si comportano verso i simili in modo machiavellico  nel momento in cui alcuni di loro stanno lottando per raggiungere l’indipendenza dagli udenti, infiltratisi nell’associazione ENS per lucrare  probabilmente ogni mese un puntuale stipendio. Sino a quando gli udenti sono nell’ENS - e continueranno a tessere sottobanco accordi con i poteri di governo, e le fazioni di partito, che è un male di tutti gli enti parastatali (l’ENS, quando  scrivevo questi appunti, era un ente parastatale, NdA) - i sordi resteranno esclusi, ineducati e senza rispetto di un codice etico. Se vogliamo il bene dei nostri fratelli silenziosi dobbiamo dar loro veri educatori e non pseudoinsegnanti. E’ nostro dovere di protagonisti, intellettualmente più pronti, venire in aiuto ai compagni di sventura perché prendano coscienza della loro condizione sociale. Cerchiamo di riflettere su queste parole più che sulle loro orecchie chiuse da sottoporre all’otochirurgia.

SORDITA’ E IGNORANZA

Mercoledì, Dicembre 7th, 2011

Recentemente un quotidiano riportava le riflessioni dell’ex-ministro della P.I., prof. Tullio De Mauro il quale, rispondendo ad un giornalista, affermava che il 70% della gente  non sa intraprendere un discorso verbale efficace, meno ancora per iscritto quando deve destreggiarsi con le regole grammaticali. Ci sono sordi e ipoacusici ignoranti considerato che, i processi di apprendimento, avvengono soprattutto utilizzando il canale acustico-verbale, che è chiuso nel sordo, oppure per iscritto, tramite la lettura e la scrittura. E’ notorio che la lingua italiana per il sordo è ostica, in particolare nell’utilizzazione di un sistema narrativo appropriato.

Si può affermare che essere ignorante, per il sordo, diviene una colpa quando, non potendo confrontarsi con i sordi colti o avvantaggiati dagli studi superiori o accademici, egli si fa sedurre dall’ambizione di voler governare i simili, con la superbia di gesticolargli «ho vinto io!». «i sordi mi hanno votato!», «io sono il capo!». Poi, nel momento in cui si trova davanti all’ostacolo, chiamato a decidere la scelta di un programma eccetera, delega agli udenti, a chi gli scodinzola attorno. E’ l’ignoranza imperante di taluni sordi a bloccare il progresso dei sordi! L’offesa di costoro è tanto più grande quanto più è dettata dalla superbia! Se la Scuola avesse meno indulgenza verso i sordi, e iniziasse a bocciarli per scarso profitto, ci sarebbe maggiore selezione tra i loro rappresentanti, giovando alla comunità dei sordi.   �

I DOCENTI VANNO RISPETTATI NELLA LORO PROFESSIONALITA’

Lunedì, Dicembre 5th, 2011

Credo che non ci sia un docente di sostegno (definizione poco efficace per indicare un lavoro professionale) che insegni ai sordi che non voglia il bene  del suo alunno o  studente. Questo “bene” è inteso come capacità di condurre l’alunno, che gli è stato affidato, a comunicare per iscritto in un buon italiano, vale a dire farsi comprendere da chi utilizza la lingua del paese.

Nella scuola secondaria di 1° e  2°  si affida il cosiddetto sostegno ad un docente che sostene (sic!) tutti gli alunni di  diverse tipicità di disabilità in tutte le materie. L’importante è essere il più alto in graduatoria, cioè avere l’incarico!  Ma vedendola  con attenzione critica dovremmo  dire che siamo di fronte ad un  docente  eccezionale però, che merita  onori e plauso perché, per tale incombenza, è un  geniale programmatore didattico e di  comunicazione, a meno che non si voglia prendere in giro il soggetto e  i suoi genitori.

Ma chi ha una minima esperienza di didattica con gli alunni sordi e ipoacusici – passi per la scuola dell’infanzia e primaria – sa  benissimo che  i docenti che  si occupano  di  studenti sordi necessitano di programmi appropriati che vanno ‘calati’ nei processi psicocognitivi dell’alunno sordo co cui operano.

Evidentemente il MIUR (cfr  Scuola di Silenzio, Lettera ad una Ministro (e dintorni), Armando, Roma 2006) non ha  “esperti” all’altezza di comprendere che la didattica insegnata - sfruttando il  canale visuomanuale - richiede docenti capaci di sviluppare un processo afferente per il quale implica il docente a  conoscere in modo approdondito la materia insegnata. Questa ha nome professionalità, che dovrebbe obbligare il MIUR a riconoscerla al docene. Se questo avvenisse farebbe di  lui un vero esperto, un competente nel settore specifico di quell’istruzione! Il Ministero si guarda di agire così, ripiegando sul sostegno generico e così imbroglia. E’ il pressappochismo italico la catastrofe dell’Italia della mananta d’istruzione dei sordi e degli ipoacusici! Il dramma inizia qui: è  l’invisibilità di incompetenti che lo stato non vuole formare “perché costa troppo”, o perché pochissime Università hanno il coraggio di incarichare insegnamenti  efficaci per i reali bisogni  dell’istruzione dei sordi.

GLI INSEGNANTI DI SOSTEGNO

Mercoledì, Ottobre 26th, 2011

Quel che stupisce  è il  fatto che, nel nostro Paese, non si vogliono formare  docenti  specializzati, ovvero ad hoc.  Si sono predisposti (e in parte sono ancora attivi) programmi per i corsi  di formazione nelle Facoltà di Scienze della Formazione sia per la scuola dell’Infanzia che Primaria; talune Università hanno organizzato anche corsi per la  Scuola secondaria di 1° e 2°, con ottimi risultati anche con docenti “protaonisti”, vale a dire in possesso di titoli accademici e loro stessi  disabili  di quella minorazione sensoriale (o sordità o  cecità). Ma il governo ha di nuovo mescolato le  carte probabilmente perché respinge i protagonisti. La formazione per la scuola secondaria è stata affidata, che io sappia, attualmente ad un Istituto Statale per sordi di Roma “A. Magarotto” (Convitto di Scuola per sordi). Così che vuole specializzarsi deve recarsi a Roma. Si potrà immaginare che tipologia di formazione, considerato che l’attestato è, anche in questa  scuola specializzata, generico. C’è qualcuno  che  è  contento, dice: almeno i docenti apprenderanno a segnare in LIS. Vi invito a ridere o a piangere, secondo le emozioni prevalenti. Io mi vergogno, non tanto per chi “insegnerà in questi corsi”, ma soprattutto per la professionalità che ne sortirà, ossia quasi nulla nella  programmazione  didattica, nello studio dei processi di apprendimento e  nella conoscenza metodologica e psicolinguistica (cfr Scuola di Silenzio, Lettera ad una Ministro (e dintorni), Armando, Roma 2005) Per la reale formazione occorrono docenti che possono o devono essere  forniti dalle Università in possesso di solidi studi  generali di quella diciplina che, grazie a  specifiche ricerche sulla disabilità specifica, ne sortiscono validdissimi docenti disciplinari, intendo affermare, con ciò,  nel  sapere insegnare le materie, in particolare per la scuola secondaria di 1° e 2°; invece tutto aggrumato nella definizione implicita di «docente di sostegno». Ma per  chi? per quale settore specifico? Non si chiarisce mai per quale settore il docente cosiddetto di sostegno, per la scuola secondaria ripeto (!), viene preparato/specializzato, perché se  fosse  esplicito, di fatto si confesserebbe la   «specializzazione»: e la specializzazione induce  il MIUR a tenerne conto  nel contratto dei docenti, pagandoli di più.  Il discorso alla fine resta nel cantuccio del generico  termine di «insegnante di sostegno» perché non si vuole pagare la professionalità. Questa è la vera vergogna della scuola statale nel nostro Paese in cui si invita al processo di inclusione, ma che invece…  «Scrivendo dl piccolo sordo, ignorato nelle sue esigenze nella scuola pubblica, mi sono reso conto delle manchevolezze della scuola nel mio Paese. (…). La scuola dovrebbe cambiare via via che cambia la società. Ma cambiare anche gli insegnanti! Ahimé, è proprio qui il fallimento del rinnovamento scolastico: i docenti che restano allo status quo nel momento in cui la scuola cambia.» (op. cit. 94-95) Sino a quando non avremo docenti effettivamente formati a seconda della specifcità della disabilità reteremo al mero sostegno e le risorse  gettate al vento.

MUTA ELOQUENZA

Venerdì, Settembre 23rd, 2011

Spesso capita a scuola che scolari o studenti si suggeriscono durante le interrogzioni - con gesti manualii e/o labiobuccali, per il fine di rispondere a domande del docente - nomi, città, date o quanto altro in quel momentoo non ricordano.  Indico questo agire come “ginnastica cognitiva delle dita”. E’ raro trovare uno studente che non abbia sperimentato l’esperienza. G. Bonifacio, ne L’arte dei cenni, Vicenza 1616, afferma che il parlare in silenzio è il più nobile modo di farsi intendere,  lamentando che non gli risultava che qualcuno avesse trattato l’argomento, «benché gli antichi avessero più maniere di manifestare occultamente, e furtivamente i loro pensieri… ». Platone afferma che Socrate amava dialogare con i discepoli che la vista e l’udito hanno qualche verità per gli uomini perché - come ammettono i poeti - raramente siamo in grado di vedere e di udire di preciso. Ora la “muta eloquentia” può riferirsi alla dattilologia, dal greco dactilos (dito) e logos (parola): e consiste nell’abilità di riprodurre, con le dita della mano, le lettere dell’alfabeto.  La dattilologia non è na lingua, bade bene, ma un supporto, possiamo affermare un “metodo”. E’ naturale che ciascuno di noi, come afferma Bernard Mottez, preferisca «comunicare con la lingua più congeniale piuttosto con quella degli altri. Ci si sente meno handicappati. Ciò è ancora più vero per i sordi. Sebbene siano diverse le lingue parlate hanno in comune fra di loro l’utilizzi di suoni. Esse sono  fatte per e ssere udite. le differenti lingue dei segni sono eclusivamente visive. Tutto ciò che è emesso è integralmente percepito.» (cfr Mottez B., Paris 1981).   Il sordo è ancora più svantaggiato non poter utilizzare una lingua non sua. Ce ne avvediamo nell’imposizione della lingua verbale, che è sempre uno sforzo, non compensato dalla gratificazione di udirsi la pronuuncia corretta. Comunicare con i segni vocali è come tentare di mettersi un vestito senza individuarne la taglia. Un analfabeta che si appropria di un idioma parlato da poche migliaia di persone potrà essere capito e/o interpretato da chi lo ascolta rispetto al sordo di nascita il quale, pur  parlando a voce, potrà risultare monotono e «senza anima nell’espressività verbale». Perchè i codici sono memorizzati per labiolettura (movimenti labiali) o la scrittura, il tutto per  via del canale visivo, vale a dire carenti dell’imprinting emozionale. Quando qualche udente afferma, nei confronti di qualche sordo, che “sta parlando come un libro stampato”, dimostra scarse conoscenze psicolinguistiche sui sordi, non considerando che è la scrittura la loro fonte principale di memorizzazione delle parole. La letttura è l’esercizio principale per accedere all’altra lingua perché favorirà l’apprendimento dei vocaboli con cui il sordo “nutre” il dialogo quando parla con gli udenti. Ma c’è poca solidarietà nei suoi confronti nello sforzo quotidiano di resistere linguisticamente  in un mondo che lo percepisce, nell’utilizzazione della lingua, come se fosse straniero. Non viene compreso nella difficoltà di modellarsi  sul codice verbale di maggioranza perché è, appunto, “sordo” nell’accento e nell’intelligibilità del codice verbale.

La ‘forza’ di una lingua è di solito mnifestata dal numero delle persone che la parlano, dai gruppi culturali e scienfiici che la adottano negli scambi. Per secoli - nel nostro caso - la comunità udente ha sopraffatto l’evoluzione della lingua dei segni.  Le ultime ricerche, condotte anche da sodi, hanno individuato che l’ostracismo alla lingua dei segni che, per oltre un secolo e mezzo lasciate fuori dalle aule scolastiche, è dipeso da due motivi: l’uno dalle difficoltà dei docenti udenti di modificare il pensiero radicale di percepire ed elaborare la cultura su presupposti verbali, non riuscendo di fatto a trovare un procedimento didattico e una metodologia fondato su un processo psicovisivo; l’altro è il timore che la diffusione dell’informazione e della cultura in lingua dei segni provocherebbe, come in tutte le comunità, la selezione di leaders tra gli stessi sordi, sospingendoli ad azioni critiche verso i dirigenti delle Istituzioni e degli stessi dirigenti udenti. Non favorirli nella loro lingua dei segni - studiata come lingua! - vuol dire bloccarli nell’evoluzione di una cultura propria, non considerandoli  «come comunità», imponendo loro il coattismo linguistico, ossia la lingua verbale della maggioranza! Questo è stato molto bene espresso da H. Lane (cfr H. Lane, La chiave è la lingua, in «Il Sordudente», n. 5/6, 1989, pp. 1-3.

Il rifiuto della lingua dei segni è sociale e sociologico e andrà avanti sino a quando i sordi dei Paesi più avanzati non prenderanno in mano il proprio destino  decidendo come voler essere.

Nel testo (cfr R. Pigliacampo, Parole nel movimento. Psicolinguistica del sordo, Armando, Roma 2009.) abbiamo studiato  e comparato lo sviluppo della lingua verbale e la lingua dei segni, rispettivamente nel bambino udente e nel bambino sordo. Ma quando si parla di lingua dei segni ai genitori udenti è come dir loro di confemare la sordità nel figlio. Parlare di una lingua che si evolve  per mezzo dei processi psicocognitivi visivi e cinestetici, è gettarli nel panico, letteralmente. A parte che non ne hanno esperienza nei processi di sviluppo, con difficoltà di frequentare corsi specializzati e confrontarsi con soggetti sordi di buona cultura linguistica sia verbale che segnica, vivono nel dubbio d’essere genitori capaci.

Oggi la scolarità degli ipoacusici e dei sordi avviene nella scuola di tutti «insieme ai coetanei». E’ un bene sul piano dei diritti sanciti dalla Costituzione. Ma la professionalità dei docenti, necessaria per l’istruzione di  questi scolari o/e studenti, dove è? Io credo sia restata nell’antesala del Ministro di turno (cfr Scuola di Silenzio, Lettera ad una Ministro (e dintorni), Armando, Roma 2006. C’è un vuoto di formazione e di professionalità, nel nostro Paese, che allarma perché di pretende il bambino, con problema d’udito, di ascoltare anche riicorrrendo all’ I.C. che, pur essendo utile talvolta,  raramente permetterà di ascoltare con la tonalità che è caratteristica di un udito sano.

Allora che facciamo del bambino sordo che ogni giorno cerca la sua lingua non sapendo quale essa sia? Il bambino che ode sa di appartenere alla comunità del «bagno sonoro» (J. Piaget), sperimentato nell’adattamento della forma mentis già prima di nascere nel liquido amniotico. E il piccolo sordo? Nei primi anni  di vita il piccolo è bombardato di seguire un programma di (ri)abilitazione, per lo più proposto da personale che  pretende la guarigione per un tornaconto anche economico: le professioni, gli ordini professionali hanno questo obiettivo. Per  questo motivo, sin dall’inizio, si evita che il bambino sordo apprenda la lingua dei segni. La madre  si solito e i genitori e familiri non conoscono questa lingua visuomanuale e, di fatto, la nega. Così negano una cultura, un processo psicocognitivo  di  nuovi orizzonti che nulla hanno di relativo, ma un’ampia chance di accedere  a quello status psicofisico fondamentale per esser contentento di sé e accettarsi(Cfr  R. Pigliacampo, 2009).

Ogni sordo cerca la sua lingua. Dov’è? Egli letteralmente la “vede” nelle mani dell’interlocutore. B. Mottez (1981) afferma che, i sordi, quando comunicano a segni fra di loro ad esere “handicapati” sono gli udenti.

La domanda che ci poniamo è: la dattilologia è utile al bambino per comunicare (a parte la LIS)?

La dattilologia  (da dattilo, dito e logia discorso, studio) su alcuni  vocabolari (per es. il Palazzi edizione 1939) è descritta «arte di conversare con le dita, mediante segni convenzionali corrispondenti alle lettere dell’alfabeto». L’estensore della ‘voce’ non era un esperto. Non è «arte di conversare con le dita», bensì un processo di apprendiento che implica costanza e maestria. Le dita della mano o delle mani originano la configurazione. Facciamo una comparazione esplicita: una consonante  e una vocale  orignano un fonema; due dita o più dta posizionate in un certo modo compongono un cisema o cinesema. Una lettera  del nostro albabero, come la C, può essere formata con una o più dita, o solamente con l’indice e il pollice. E’ evidente che le configurazioni composte con quantità di dita differenti,  cambiando  il luogo  originano differenti movimenti e, di fatto,  diversi significati.

E poi, mentre si ’segna’, è  bene coordinare il segno con l’espressività del volto. Un ottimo segnante è pure un ottimo attore. Un esempio: «vai», «vai?», «vai!». Qui si rileva  fondamentale l’espresività per  la domanda o l’ordine. Il docente specializzato favorirà la strutturazione dell’acquisizione della lingua utilizzando anche la dattilologia. (cfr R. Pigliacampo, op. cit.): Bisogna chiarire ai profani che la dattilologia non ha  una grammatica, è solo  il tentativo digitale di imitare le lettere dell’albafeto per rendere esplicito un nome o ciò che vogliamo che l’interlocutore conosca graficamente.

Evidente che la dattilologia conduce l’attenzione sulla mano. Leroi-Gourhan, (pp. 45-47, 1997) fa notare che la mano è molto efficiente, segue i comandi cerebrali disposti dall’emisfero destro, sede della motilità, mentre l’emisfero sinistro identifica il «segno» da scegliere sia verbale che motorio per esprimere il concetto o l’idea. Nel piccolo sordo e/o ipoacusico è male bloccare o frenare l’interazione cervello-mano perché inibirà i procesi dello sviluppo cognitivo. Il neuropsicologo  Oliver Sacks (1990) ha messo in evidenza l’errore di  insegnanti e logopedisti quando sconsigliano o impediscono al bambino l’apprendimento della lingua di segni o la frequentazione dei simili. O. Sacks (op. cit. 1990) ammette che la relazione mano—cervello induce ad analizzare la relazione comunicativa del bambino con l’adulto su  aspetti antropologici e non solo psicolinguistici, enza questo approfondimento ci sarà difficile capire che «c’è» nei segni, nella motilità rapida delle mani. Abbiamo  scritto che la mano è il primo strumento di relazione, il medium con l’anima, il ponte reale con l’interlocutore: e grazie allla sua specializzazione e alla capacità di compiere migliaia di movimenti diventa essa sessa privilegiata dal sistema nervoso centrale,  dunque dalla mente creatrice. (Cfr Parole nel movimento, cap. V).

L’ARISTOTELICO «KOFOS»

Lunedì, Agosto 1st, 2011

Non so se i sordi adulti della mia generazione (nato io alla fine degli anni Quaranta del secolo scorso) in possesso di una buona istruzione e/o che hanno svolto una professione gratificante, o loro stessi professionisti e iscritti agli albi professionali, si siano resi conto che cosa stia accadendo alla scuola statale italiana, là dove accoglie, nelle sue strutture, scolari o studenti affetti di sordità grave o lieve. Per il MIUR i sordi studenti, sia per la scuola dell’infanzia che primaria, maggiore per la scuola secondaria di primo e secondo grado, restano sempre un “peso”, un costo che lo Stato non vuole assumersi secondo i bisogni, considerando il bilancio attuale dei “tagli”. Come tenta di uscirne da un impasse che è offensivo alla scuola stessa e alla formazione della persona? In varie regioni sono stati eliminati i corsi di specializzazione per la scuola secondaria di primo e secondo grado. Non valutando i programmi didattici e l’alta capacità degli stessi docenti! E’ pur vero che, le Università, sono autonome nella didattica. Ma proprio perché indipendenti bisognava o/e bisogna che l’autorità centrale prenda atto sia della didattia che della qualità raggiunta dagli specializzandi. Non è così. Il MIUR - per la scuola di primo e secondo grado - ha decapitato corsi validissimi, accentrando la formazione degli  specializzandi a Roma, in un Istituto Speciale (Scuole ieri denominate “scuole speciali”). E’ una scelta dettata dal risparmio, ma anche per far riemergere obsoleti progetti di rinverdire strutture di ieri. Lo Stato non vuole formare i docenti specializzati nelle Università. Perché la specializzazione costa: e soprattutto perché obbliga i docenti a rivisitare  studi plurodisciplinari. E’ pur vero che,  nelle Facoltà di Scienze della Formazione, sono attivi Moduli per conseguire la… specializzazione. Così si ottengono specializzazioni per il sostegno, in quegli atenei, per la scuola dell’infanzia e per la primaria. I Moduli per i disabili  sensoriali (per la vista  e per l’udito) sono di appena venti ore, ristretti nel Laboratorio. Ci sono atenei che sbrigano la richiesta degli studenti con la piattaforme on-line. E’  arduo insegnare la disciplina della comunicazione dei/con i sordi a distanza. Prima di passare alla pratica «come si parla» al sordo o all’ipoacusico, o fornire il segno visuomanule, c’è bisogno di approfondite conoscenze cognitive e linguistiche. Purtroppo famiglie di sordi, insegnanti e operatori sociosanitari pensano che la vittoria sul masso di Sisifo della sordità sia fattibile quando il sordo “impari a parlare a voce”. Insegnare ai sordi, invece, è un processo di coscienzazione del docente che implica immedesimarsi nei processi psicolinguistici visivi. Ciò obbliga a rivisitare i testi di Piaget, Bower, Bruner, Chomsky, e ovviamente con l’aggiunta dei classici specifici proprio sui sordi quali Furth, Sacks, Borel-Maisonny, Bouvet, studiosi principali deilo sviluppo cognitivo e linguistico dei sordi. Si capisce sempre di più, col passare del tempo, che ci mancano guide di formazione per una didattica specializzata: i famosi metodi che gli specializzandi di oggi nemmeno intuiscono l’esistenza. Un vuoto che lascia perplessi, anche perché  i vecchi maestri sono ormai cancellati dal tempo!

Sulla spiaggia in cerca di Dio

Domenica, Luglio 31st, 2011

Siamo intimi in silenzio nelle parole segnate:
immote bandiere sull’acqua
né sussurro di vento impaccia
né colloquio con la natura
ci è caro; noi due delusi a segnare e basta;

e s’allontana quel che non abbiamo avuto:
il ramo fiorito di mia/tua  stirpe
nuova luce che cammina verso l’Ignoto.

 

Le barche vanno a pelo d’acqua
raccontando storie di ieri e oggi:
di moldave croate donne dell’est
che han svenduto anima e corpo.

Lontano qualcuna piange, o canta
per comunicare quel che resta, il vuoto.
Mi sono accostato alla spiaggia
per riprendere il colloquio col mare;
ancora una volta vince il Silenzio:
e mentre a testa china cammino
un vecchio pescatore accenna
che sono fesso a cavare coi gesti
seduzioni di donne forestiere.
«Prendile di dietro» afferma
«a colpo sicuro» ridacchia.
 
Ho rinunciato a rincorrere i sogni.

L’ombra scende sul mare
come se stanotte
dovesse sposare Qualcuno.

Mio Silenzio tormenta ferisce.

Lentamente pronunci «amore»:
le mie orecchie s’aprano sicure
mosse da fonemi intonati
rispondano alla lingua capaci. 

Ondivago è sulla spiaggia il mare.
Giacciono stille che raccolgo in mano.
Oh mio Dio perché non mi doni Pace?
Perché Tu con me non sei goccia?
 

dalla silloge inedita Penite amimus
 
    

 

 

Disabilità/Disabile (Definizione)

Domenica, Luglio 31st, 2011

Negli ultimi decenni il concetto di d. e, di fatto, “il disabile” ha subìto fondamentali cambiamenti, dopo un’approfondita critica su che cos’è la normalità considerando la rivisitazione culturale dell’ICF (Classificazione Internazionale del Funzionamento della Disabilità e della Salute), dove si è chiarita la classificazione delle «conseguenze della malattia» (versione del 1980): e  poi date indicazioni delle «componenti della salute», identificando meglio gli elementi che la costituiscono: le “conseguenze” dell’impatto delle malattie e le “condizioni” che ne scaturicono. La d. è un universo e, come tale, riguarda tutti. Perché ciascuno di noi, in vari periodi della vita, è disabile. Siamo pertanto chiamati a comprendere bene che cosa sono le funzioni corporee e le strutture corporee. Le prime (incluse le funzioni psicologiche) sono funzioni fisiologiche del corpo. Le seconde sono le parti anatomiche del corpo. Per esempio gli arti e le loro componenti. Le menomazioni sono problemi emergenti quando, funzioni e strutture, sono colpite da disfunzioni causate da aspetti genetici, infettivi, accidentali eccetera e non possono più compiere l’azione propria o limitano l’attività.

Una volta nota la d. la riflessione si sposta su due modelli:

a)  il modello medico.  Valuta la d. come “problema della persona” causato dalla malattia, trauma, ecc.: e per frenarne l’evoluzione  ha necessità di professionisti per la cura e la riabilitazione. La d. è gestita intervenendo (talvolta radicalmente) o curando gli aspetti che l’hanno causata. L’intervento medico è prioritario e, a livello politico, si tende a riformare e a cambiare le politiche di assistenza sanitaria;

b) il modello sociale.  Esamina gli aspetti sociali ammettendo che la d. è «un problema creato dalla società», dalla mancanza d’integrazione degli individui nella stessa. La d. non è la caratteristica di un individuo, ma un insieme di condizioni, molte delle quali causate dall’ambiente sociale. Gestire la problematica induce tutta la società a farsi carico della questione, assumendo responsabilità gli atteggiamenti, imponendo i cambiamenti e la programmazione politica: visione che diventa problema di difesa dei diritti umani.

Quando esprimiamo un giudizio sulla persona “disabile”, o definiamo la “disabilità” è utile conoscere il mondo relazionale  del soggetto e la comunità di appartenenza. Un esempio efficace lo propone lo scrittore e neurologo Oliver Sacks nel libro Vedere voci, Adelphi, 1999. Egli navigando nell’Oceano Atlantico capitò in un’isoletta dove, un’elevata percentuale di persone, comunicava in lingua dei segni. Sacks se ne stupì ponendosi la domanda del motivo. Venne a sapere che molti abitanti erano sordi. Avevano portato nell’isola la lingua dei  segni appresa nelle scuole specializzate (istituti per sordi). La comunità udente s’era adattata alla condizione e alle esigenze dei sordi, valutati in base alla professione, alla cultura, alle loro capacità. Non erano più indicati, come avveniva in  precedenza,  con la definizione “il sordo falegname”, “il sordo pittore”, “il sordo calzolaio” e così via, bensì  il bravo falegname, il valido pittore, il bravo calzolaio eccetera. Le capacità professionali e l’accettazione della condizione esistenziale della minorazione uditiva da parte della comunità udente faceva passare  secondarie la funzione uditiva e la modalità della comunicazione verbale!

Nella DSM-IV. Guida alla diagnosi dei Disturbi dell’infanzia e dell’adolescenza di Judith L. Rapport e Deborah R. Ismond, Masson, Milano 2000, sono individuati – per approfondire la tematica  del soggetto che ci interessa – i disturbi della comunicazione:

I.1.   Disturbi dell’espressione del linguaggio;

II.2. Disturbi della fonazione.

I.1  Il  DEL è  valutato per mezzo di test standardizzati somministrati individualmente. Quando il risaltato è inferiore rispetto alle capacità intellettive non verbali e allo svolgimento del linguaggio recettivo. E’ evidente che le caratteristiche variano secondo l’età e della gravità. Le manifestazioni comuni comprendono:

-         limitata gamma di vocaboli;

-         limitata acquisizione di parole;

-         limitate strutture grammaticali e tipi di frasi;

-         limitata semplificazione, ordine inusuale delle parole.

Il DEL può essere sia acquisito (trauma cranico, condizione neurologica… ) sia legato  deficit di sviluppo.


II.2 Il DF è spesso presente nei bambini più piccoli. Il disturbo è scoperto verso i 3 anni, oppure non è apparente sino a quando il linguaggio non è complesso. I sintomi comuni sono:
-         errori nella produzione, nell’organizzazione e nella rappresentazione del suono (per es. distorsione del suono, sostituzione  o emissioni),
-         possono esserci problemi a livello di produzione del suono (per es. l’articolazione), o limitata intelligibilità del suono. Le cause possono essere menomazione uditiva, problemi strutturali (per es. palatoschisi), deficit cognitivi (per es. ritardo mentale), condizioni neurologiche (per es. paralisi cerebrali) o cause psicosociale ( per es. deprivazione ambientale).
 

DEFINIZIONE DI CHI HA UN DEFICT SENSORIALE O DELLA PAROLA
 In Italia a mente dell’art. 1 della legge del 26 maggio 1970, n° 381: «Si considera sordomuto il minorato sensoriale dell’udito affetto da sordità congenita o acquisita durante l’età evolutiva che gli abbia impedito il normale apprendimento del linguaggio parlato, purché la sordità non sia di natura esclusivamente psichica o dipendente da causa di guerra, di lavoro o di servizio.»
 

Terminologia. Negli ultimi decenni del XX sec. vi è stato un vero e proprio intervento “estetico” sul linguaggio indicante patologie permanenti o no di un individuo, caratteristica particolarmente evidente nella proliferazione di termini indicanti  il soggetto con disabilità dell’udito, con riflessi dunque anche sull’eloquio.
Il termine sordomuto ha avuto importanza sino alla fine degli anni ‘50. Gli Istituti, all’ingresso, avevano esplicita l’indicazione “Istituto per sordomuti” (le cosiddette “scuole speciali” frequentate dai sordomuti). Per la legislazione italiana, fino a poco tempo fa, era consueto utilizzare il termine “sordomuto”; di fatto “indennità di comunicazione per sordomuti“, “posto di lavoro riservato al sordomuto“, ecc.; sordastro, periodo dal 1950 al 1965, indicante chi, pur essendo…sordo conserva ancora qualche residuo uditivo. Questo termine è caduto in uso quando è iniziata la protesizzazione in massa dei sordi; anacusico, periodo dal 1960 al 1970, proposto dallo studioso Padre Arturo Elmi, letteralmente significa «privo di  suono», con la “a” appunto privativa; sordo periodo dal 1970 al 1980, proposto da vari protagonisti sordi laureatisi in quegli anni. Molti di costoro, ancora oggi, per evitare equivoci d’interpretazione gradiscono essere  semplicemente chiamati  “sordi”; audioleso  dal 1980 ad oggi, proposto dalle associazioni delle famiglie dei sordi federate nella FIADDA. Il termine letteralmente significa “orecchio-leso, rovinato, incapace” (…). Comunque sia, se vogliamo proprio essere pignoli… è un termine che pretende di nascondere la disabilità: intenzione questa dei genitori proponendo la terminologia, là dove, invece, occorre far conoscere la realtà per quel che è per intervenire con strumentazioni, strutture e metodologie specifiche; non udente periodo dal 1982 ad oggi, proposto da Televideo-RAI, infatti la titolazione delle pagine di televideo specifica “Pagine per Non Udenti”;  male-udente periodo dal 1985 in poi, proposto da un gruppo di famiglie di Genova, riprendendo il francesismo di uguale corrispondenza significativa; ipoacusico, cofotico, presbiacusico sono termini esclusivamente medici; duro d’orecchio, debole dell’udito sono rivolti di solito a persone anziane o possono avere significati metaforici per indicare «chi non intende ascoltare i suggerimenti altrui», ecc.  Con la legge 20 febbraio 2006, n. 95, il secondo comma dell’art. 1 della legge 26 maggio 1970, n. 381, è stato sostituito col seguente: «Agli effetti della presente legge si considera sordo il minorato sensoriale dell’udito affetto da sordità congenita o acquisita durante l’età evolutiva che gli abbia compromesso il normale apprendimento del linguaggio parlato, purché la sordità non sia di natura esclusivamente psichica o dipendente da causa di guerra, di lavoro o di servizio».  Al primo comma dell’articolo 3 della legge 26 maggio 1970, n. 381, le parole: «L’accertamento del sordomutismo» sono sostituite dalle seguenti: «L’accertamento della condizione di sordo come definita dal secondo comma dell’articolo 1».
Bibliorafia
Organizzazione Mondiale della Sanità, ICF. Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della salute,  Edizioni Erickson, Trento 2002.
Renato Pigliacampo, Nuovo dizionario della disabilità, dell’handicap e della riabilitazione, Armando editore, Roma 2a edizione 2008.
Rapport Judith R., Ismond Deborah R., DSM-IV. Guida alla diagnosi dei Disturbi dell’Infanzia e dell’Adolescenza, Masson. Milano 2000.