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Il “pasto acquisitivo”

Mercoledì, Giugno 14th, 2006

Ho affermato che i docenti non sono all’altezza d’insegnare agli alunni e studenti sordi o audiolesi. Sono semplicemente «docenti di sostegno», non docenti specializzati. Di questa costatazione non devono offendersi né irritarsi. Devono prendersela con lo Stato, con i sindacati che non si adoperano con insistenza della loro formazione professionale. Facciamo una semplice comparazione con i medici. Ecco il medico generico, per esempio il medico di famiglia o di base: riconosce le malattie, ma non ne ha approfondita nessuna nella terapia o profilassi. Idem gl’insegnanti: insegnano al loro alunno seguendo metodologie obsolete o non adeguate alle necessità percettive dell’alunno con problemi d’udito. Essi presentano «il pasto acquisitivo» ( R. Pigliacampo, 1983) senza prendere in esame i processi psicocognitivi. Eppure l’insegnante si vanta d’essere capito dall’alunno senza accertarsi della concettualizzazione, confondendosi sulla semplice labiolettura. Ho scritto tante volte che labioleggere non vuol dire accedere al contenuto della lezione. Occorre l’esercizio delle domande e delle risposte tra docente specializzato e discente. Se non c’è questa interrelazione le parole labiolette non lasciano l’impronta nella corteccia cerebrale. Il sordo profondo (e anche colui che distingue qualche parola) non ha memoria uditiva. Anche se discriminasse una parte o completamente il segno verbale non riuscirà a stimolare il processo mnemonico fondamentale per richiamare e utilizzare il contesto. Il 99% dei docenti italiani che insegna nelle classi delle scuole territoriali utilizza la lingua verbale (l’italiano) per veicolare i contenuti culturali delle varie discipline insegnate. Utilizzano una lingua non compresa nella semantica e nella decodificazione morfologica e fonemica nell’istante in cui il docente procede nell’attività didattica. Ebbene ancora oggi nelle scuole territoriali di ogni ordine e grado  troviamo docenti che, candidamente, ammettono «io utilizzo, per il mio alunno, il metodo orale».

Non bisogna accanirsi sui docenti. Apprezziamo di alcuni la volontà che, in molte regioni e province d’Italia, si manifesta. Qualche tempo fa ho predisposto un Questionario per un monitoraggio sui bisogni di formazione dei docenti di sostegno (ahi!) nella provincia di Napoli. Sono stati contattati 898 docenti con altrettanti Questionari.

Le domande sono state:

1. Gradirei accedere alle conoscenze metodologiche e didattiche per l’insegnamento di alcune materie scientifiche:

1.1 per la scuola dell’infanzia         11,4% 

1.2 per la scuola primaria              41,8%

1.3 per la scuola secondaria di 1°  23,6%

1.4 per la scuola secondaria di 2°  20,8%

2. Gradirei accedere alle conoscenze metodologiche e didattiche per l’insegnamento di alcune materie linguistiche e letterarie

2.1 per la scuola dell’infanzia           9,9%

2.2 per la scuola primaria              40,1%

2.3 per la scuola secondaria di 1°  22,8%

2.4 per la scuola secondaria di 2°  18,3%

3. Gradirei accedere alle conoscenze

3.1 Psicolinguistica e neurolinguistica dei processi di apprendimento dei sordi    56,5%

3.2 Psicologia dello sviluppo del linguaggio dei sordi            47,2%

3.3 Sociologia e cultura del mondo dei sordi                       23,8%

4. Lingua dei segni

4.1 Comunicazione totale (dattilologia, labiolettura, ecc.)        82,5%

5. Storia dell’ENS e delle istituzioni italiane operanti nell’educazione e istruzione dei sordi                                                                                43,2%

Analizzando le risposte sortiscono due principali esigenze: la comunicazione, che non deve essere esclusivamente focalizzata sulla LIS. Non è facile per un docente apprendere una nuova lingua in età adulta e la didattica sia per le materie scientifiche che letterarie.

Approfondiremo queste tematiche nell’Itinerario estendendo l’ascolto ai docenti fuori della provincia di Napoli.

La professionalità dei docenti rimasta in uno sgabuzzino del Ministero della P.I.

Martedì, Giugno 6th, 2006

Spesso sono chiamato a tenere seminari e corsi di aggiornamento per i docenti di sostegno in ogni dove dell’Italia. Io non gradisco la definizione «insegnanti o docenti di sostegno». C’è allusione al pietismo, ci si scorge il samaritano che aiuta perché ha cuore, con la speranza che il Padre Eterno se ne ricorderà nell’aldilà (…). Nel nostro Paese abbiamo avuto e abbiamo tanti cirenei «specializzati pressappoco», «polivalenti tutti». Per la scuola secondaria di primo e secondo grado l’organizzazione dei corsi polivalente mi  manda in bestia. Il motivo è che tutti i corsisti sono assemblati di solito in un unico corso. Non è considerata la tipologia di laurea. Le Università hanno autonomia didattica e metodologica, quasi mai considerano la specificità della disabilità a cui sono destinati i docenti. Sulla carta gli insegnanti dovrebbero conoscere come insegnare agli scolari non udenti, privi della vista, autistici, down, soggetti borderline, con deficit di condotta, studenti con problemi fobici e psichiatrici, con disturbi di personalità paranoide e così via. Di questo casino a rimetterici maggiormente sono gli studenti sordi e ciechi. Costoro possono apprendere tutto «basta saperglielo insegnare». “Bella frase”, così vedo spesso dirmi dai corsisti. “E perché bella?!” replico a volte stizzito. La trovo ovvia. Infatti se lo studente non ha altre patologie di svantaggio, lo sordità non pregiudica l’apprendimento. I test mentali, appositamente preparati per chi non ode, dimostrano potenzialità intellettive nella norma e spesso maggiore dei coetanei udenti. Il profitto è però disastroso da quando i sordi sono stati inseriti nella classe comune della scuola pubblica. La “colpa” dobbiamo puntarla sulla ministra Moratti che, in cinque anni, hon ha risolto il problema della preparazione dei docenti qualificati. L’ho denunciato in un piccolo libro, firmato con lo pseudonimo Scuola di Silenzio, Lettera a una Ministro ( dintorni), Armando, Roma 2005). Tutto restato allo status quo. Però anche il «docente di sostegno»  è responsabile, contnua a sostenere  lo studente improvvisando, raramente conoscendo le modalità di comunicazione. Il docente di sostegno non ha compiuto il salto verso la professionalità per divenire «docente specializzato» secondo le necessità richieste  della specifica istruzione. Adotta la comunicazione verbale sempre col dubbio se accentuare la voce per il fatto che la madre  del ragazzo ha dichiarato che il figlio ha «residui uditivi» e «ci sente». I docenti si barcamenano alla ricerca di una metodologia e didattica restate sempre nelle intenzioni, verso le quali non compiranno l’ultimo passo perché, aggiornarsi bene, «costa troppo», o perché «i corsi sono organizzati a Roma, a Milano, a Padova… troppo lontano!». Taluno opta per un corso affrettato di LIS nella sezione dell’ENS del capoluogo di provincia. Per la didattica si va avanti come… se lo studente o l’alunno fosse udente.

Š

IO NON (MI) SO PIU’ DI CHE VIVO

Martedì, Giugno 6th, 2006

IO NON (MI) SO PIU’ DI CHE VIVO

Io non mi so più di che vivo.
Da  lungo tempo cerco una casa
sulla soglia di quel borgo amato,
dove mia madre contava gli anni
e ogni tanto soleva dirmi
a questo punto sei arrivato.
E lei nel viso tondo mostrava
stese
le dita della mano.
Poi al varco dell’adolescenza
ella non mostrò più gli anni.
Solo mi trovai per le strade
coi silenzi del mondo, per il muto
orecchio non più vidi amico alcuno.
Forse mi sciolsi nel pianto,
forse percorsi scoscesi sentieri
in cerca di lupanare di città.

Ora ripensando alla fatica
di quegli anni di lotta mi lascio
scorrere la mano dalla penna, le dico:
«Perché allora non mi fosti fedele?»
Continuo a parlarle come chi stanco alla morte.
Ma all’opposta congiura di sentimenti
scappo nel canto di silente poeta
e vago in cerca di speranza
unico legame – credo – di vita.

da Renato Pigliacampo, Canti del mio silenzio, Edizione E.N.S, Roma 1973.

INDIZIO FRATERNO

Domenica, Giugno 4th, 2006

Mi è accanto in silenzio
sulla spiaggia per Numana.
Scalcia l’acqua sospirando sogni.
Dice senza voce: «Hai sbagliato tutto.»
Leggo le labbra. Perplessi
guardandoci negli occhi proseguiamo.
Pensa che appartenga all’albo dei falliti:
io lo stesso di lui.
Così tanto ci rispettiamo!
«L’Adriatico è mutato» dico.
«Il mare di allora bambino.»
Ride, ironìa strana
segna il volto bellissimo.
«Hai sbagliato tutto» insiste.
«Potevi restare in città,
avresti fatto soldi, dicevi alla radio
con Zavattini, un’altra spinta e… »
Comprendo il discorrere labioleggendo.
Ha dato pugni pesanti sui rings d’Italia
ma le labbra son quelle di mamma.
Ridice dell’ingenuità del ritorno.
………………………………

Lontano fisso orizzonte di cielo
nel quale m’abbeverai fanciullo
nell’onda ancor cara al suono
sullo scoglio amico e gabbiani
schiamazzanti nel gironzare.
Con Ermanno vado a piedi nudi.
E’ stato un sogno rivisitato.
Guarda le sue mani potenti.
«A metà fu abbuiata la mia strada»
afferma. «Potevi tu l’ultimo sforzo.»
Non sapevo dei suoi sogni di gloria
e dolore. Sconosciuto fratello.
«Vedi, talvolta i luoghi t’invocano.»
Sorride bagnandosi il volto d’acqua di mare
gonfie gocce gli cadono sul viso abbronzato
guardandolo nella vitalità che prorompe
comprendo la materia che cinge sua vita.

Il silenzio regna anche verso Numana:
il Cònero protende gibboso sul mare.
«Finiremo tutti dentro» dice.
Ha capito che ho scelto l’ideale.
Mare azzurro di giuliva infanzia:
volteggiano ad ali spiegate gabbiani
nell’ultimo volo alla costa.
L’onda che giunge nasconde le lacrime.
«Difficile restare» aggiungo.

Da Renato Pigliacampo, Dal silenzio, Forum/Quinta Generazione, Forlì 1983.

EROS

Giovedì, Giugno 1st, 2006

EROS

Passione impetuosa che mi scavi
denudi mie voci a riprender via
o soffermata agli amori di ieri
in terre acque di questo paese di mare;
al pie’ del colle dei giovanili anni
tu giungi d’improvviso sublime parola
e
t’involi nell’aria in cerca d’udito,
così scuoti in me l’essere
nel tentativo di spiccare nello spazio il volo;

o quando cicala inebriata dal canto
scorda accumulare chicco per l’inverno;
o quando nonna veglia nipote
cinta al collo dell’innamorato;
quando ragazzo scende all’ìnguine
di donna forestiera
per saperne di più sull’arte d’amare;
quando atavica lucerna di pescatore
distenebra reti a tre miglia di mare

Questa passione d’urto e poesia
tragica immortale tenera rozza
che mi tiene legato alle radici (1)
all’ostile vagare di città paesi
l
ungo coste della mia Itaca
nel fiorire degli anni silenti
in cui provai disprezzo stupore
per ogni adolescente a me negata
p
oi accostarmi al suo fianco
ai bordi del Brenta all’isola Tiberina
all’Appia antica

(t’invoco nei versi discordanti
perdendo sfida paragone
coi poeti reali delle Marche
l
ussureggiante amata regione
p
ercorsa da ebefrenici torrenti
nei sospiri d’abbracci d’amanti.
Ogni giorno rincorro il sogno
cullato dall’onda
osservando il colle dell’Infinito
l
a cui ombra saluta Helvia Recina (2)
dove raro fui preso sul serio)


(1). Ai luoghi di nascita, conosciuti e frequentati.
(2). L’antica  Macerata, corrispondente, oggi, alla frazione Villa Potenza.

da: Renato Pigliacampo, Canto per Liopigama, CASISMA Edizioni, Porto Recanati, 1995.
 

All’età di 102 anni ritornerò ad ascoltare

Mercoledì, Maggio 31st, 2006

Verrà il giorno in cui la lingua dei segni non sarà più utilizzata (o appresa) dai sordi perché essi non esisteranno più. La scienza ippocratica sradicherà la sordità. Col trascorrere gli anni stanno diminuendo i sordi nella fascia d’età 0-20. Ebbene, se non ci sono «sordi gravi», ce ne sono parecchi con deficit d’ascolto. Molti scolari e bambini trovano difficoltà nello interpretare le parole verbali. Gli psicologi e gli audiologi sono coscienti di questo problema. E’ pure  saturazione allo stimolo sonoro, ottundimento percettivo che lascia spazio a svariate interpretrazioni. A questi bambini consigliare la protesi acustica? I genitori entrano in ansia quando gli si parla del «coso» da inserire nel meato auditivo del figlio. Sùbito affermano che a scuola «capisce tutto», sebbene non gli è stato chiesto.  Certo, comprende attraverso la labiolettura, ma a scapito di uno stress che, alla lunga, piegherà il bambino al rifiuto dell’apprendimento.

Ho tenuto seminari in tutt’Italia sul didadattamento scolastico del sordo. Succede che la relazione con l’ambiente è limitante: non riesce ad organizzare il proprio Io. Con l’aumento del disagio finisce  per non accettarsi in ciò che è, sordo, perché gli è presentato un «modello udente», che sperimenta un processio percettivo differente. Ecco che sorgono difficoltà scolastiche: agitazione, instabilità, ripiegamento su di sé, sino alla difficoltà di relazionare con i coetanei manifestata con improvvise aggressioni senza motivo o chiusura. Forse la sordità grave sarà eliminata dalla scienza medica entro il 2050. Avrò 102 anni. Per questo devo volermi bene, sopravvivere sino allora col mio Silenzio per ritornare a riascoltare la sinfonia, l’onda del mare che s’infrange sugli scogli, la voce di un bambino, il fruscìo del vento sugli alberi, i richiami degli animali nella contrada Bagnolo di Recanati (…). Nell’attesa continuo ad arricchire il pensiero attraverso la percezione visiva. Sono triste pensando a quella madre che non faccia altrettanto col figlio di Silenzio rinviando con le parole: «Impara a parlare a voce»; «I gesti li imparerai dopo!».

Riconoscere con legge la lingua italiana dei segni

Mercoledì, Maggio 24th, 2006

Da parecchio tempo mi sono accorto che parliamo di LIS (Lingua Italiana dei Segni), ma non riusciamo a convincere la comunità scientifica, almeno quella non addetta ai lavori, o i parlamentari italiani - perché la riconoscano con legge - che abbiamo una lingua e che la stessa sia appresa dai docenti specializzati che insegnano ai sordi.

Le interpreti di LIS (mi domando se è precisa la definizione)ho verificato registrando parecchie apparizioni in televisione, che le traduttrici  dei telegiornali di mediaset, che sono tutte milanesi o lombarde, utilizzano molti segni differenti rispetto le colleghe della RAI, che sono per lo più romane o del centro sud. Ecco che ci troviamo a dichiarare che in Italia esiste un «dialetto segnico» piuttosto che la «lingua italiana dei segni». La lingua visuomanuale utilizzata dai sordi deve essere ancora unificata. Oh, non deve sorprendere perché sappiamo che il dialetto fiorentino impiegò secoli per essere considerato lingua italiana (l’italiano), sebbene il veicolo di diffusione fosse la Divina Commedia di Dante Alighieri!

E’ accertato che i nostri interpreti di LIS sono generici. Siamo carenti di esperti per tradurre le discipline quali le scienze sociologiche, filosofiche, psicologiche, economiche, mediche eccetera. Di sicuro la colpa non può essere attribuita agli interpreti. Dobbiamo essere noi a iderare i segni appropriati secondo le teorie studiate, le definizioni corrispondenti al contenuto che si vuole “fare intendere”. Sono sempre le persone a creare la lingua che loro stesse utilizzeranno: «comunicare» è mettere insieme, nel nostro caso sono messi insieme codici. Sono convinto che spetta a noi protagonisti diventare lingua nel momento in cui la utilizziamo per/nei i bisogni. Gli studenti sordi frequentanti le nostre Università fruiscono del servizio di interpretariato (come stabilisce la legge), ma non per questo possiamo dire che le operatrici traducono la lingua italiana del docente che  sta utilzzando parole complesse in altrettanti segni visuomanuali complessi o codificati conosciuti dallo studente segnante. Qui entrano in gioco i processi mnemonici diversificati (…). Infine ricordiamo che il docente prepara la lezione utilizzando la lingua italiana, ripeto,  focalizzando il tutto su una spiegazione domanda-risposta, di cui ha esperienza diretta nell’apprendimento. Perché è udente e perché ha appreso seguendo la stessa modalità del discente. Vero che il compito del docente è semplificare i contenuti. La sua presenza didattica ha l’obiettivo: spiegare, semplificare, approfondire. E’ tutto così semplice per lo studente e il docente udenti! Per il sordo è un problema, anzi il vero problema dell’apprendimento, al quale - a mio giudizio - pochissimi lavorano per favorire  il sordo nello appropriarsi dell’alta cultura.

Sono convinto che nei prossimi anni, gruppi di psicologi, sociologi, antropologi, economisti e così via sordi potranno comunicare segni conformi alla loro disciplina, appropriati ai contenuti della loro professione. Sono segni che loro stessi dovranno fornire alle interpreti di LdS che sapranno tradurre le lezioni universitarie e i masters di aggiornamento con efficacia. Non scorderò mai le parole del filosofo udente che, dopo avere ascoltato la relazione di un collega sordo,  professore alla “Gallaudet University” negli Usa, unica Università al mondo dove i professori sono capaci di utilizzare la lingua dei segni  (benissimo tradotto a voce per gli udenti presenti da una capacissima interprete filosofa) sulla Metafisica di Aristotele, disse: «In tanti anni di studio e ricerca non sono riuscito a vedere in Aristotele ciò che ha considerato il collega sordo.»

Š

Cercare le labbra dell’altro

Martedì, Maggio 23rd, 2006

Spesso ho notato che il sordo osserva, innanzitutto, dell’altro/a la bocca. Chi ode  entra il relazione con l’interlocutore in tanti modi, che possono essere: una battuta nel momento opportuno dell’interrelazione, un fischio più o meno forte, un soffio più o meno diligentemente significativo, una frase o parola che si intromette nella domanda e/o risposta. Tutto ciò è fondato sull’ascolto, sempre che vogliamo ascoltare! Chiaro che l’udente  puo’ guardarsi le scarpe o avere le spalle girate nel momento in cui l’altro gli parla senza che per questo precipiti il mondo (…). Le onde sonore emesse dal parlante sono riprese dal padiglione delle orecchie per convogliarle nel meato uditivo. Tutto il processo del parlare è cosi’ semplice che solo quando analizziamo la genesi e la struttura della formazione della aprola ne comprendiamo la magnificenza sopratutto per la sua semplicità. Il Signore ha compiuto il miracolo massimo non nel creare l’uomo - sebbene in sé è un prodigio -  ma nel fatto d’avere reso semplice e accessibile a tutti la meraviglia della aprola, della vista, dell’amore sessuale, del cammino, dell’abbraccio, del sorriso (…). Eppure noi rendiamo complicato cio’ che è semplicissimo. La percezione visiva obbliga il sordo a superare la pigrizia, presente in quasi tutti gli udenti nel sentire. Il genio è come i sordi: riesce a vedere cose che alla maggior parte delle persone sfugge. Chi sperimenta il Silenzio cerca le labbra dell’interlocutore per labioleggere. E’ un’azione ativa, Jean Guitton la chiama «ammirazione attiva», consigliandola a ogni studioso. Il filosofo cattolico afferma: «Creare sempre in sé dei centri e dei focolai di interrogazione, porsi dei problemi, lanciare sul soggetto (…) dei presentimenti, delle attese», aggiungendo l’autore dell‘Arte nuova di pensare « (…) chi non sa che cosa cerca, non sa che cosa trova». Il Silenzio implica pertanto osservare , al contrario dell’udente che, della vista, si serve solo per guardare.

Di labbra io me ne intendo. Conosco tanti sordi capacissimi nel labioleggere. Molti udenti non si accorgono li’ per li’ del deficit udirivo di colui col quale parlano. Parecchi genitori “puntano” su questo per nascondere ai parenti, agli amici la sordita’. Dimenticano pero’ gli Esperti - e gli ansiosi genitori - che non tutte le labbra dell’interlocutore possono essere lette. La prima interrogazione che dovrebbe essere posta è: sono idonee e bene strutturate le labbra di chi parla al sordo? Vero che l’addestramento ai movimenti labiobuccali permette alla percezione visiva di evolvere dal semplice sguardo e/o stimolo alla conoscenza intelligibile e d’interpretazione dei movimenti labiobuccali che originano la parola. Ma se il parlante non è educato a comunicare col sordo non c’è verso che sia capito, ho capito male. Infine c’è da considerare il concetto semiotico che, al labiolettore, spesso rimane oscuro. In particolare per i bambini del Silenzio. Per chi ode il significato che la parola assume nella mente del bambino è lo stesso che ha nel linguaggio degli adulti. I bambini udenti si calano, diciamo cosi’, nel linguaggio sociale, familiare. Ogni madre lo sperimenta nel prim stadio piagetiano dello sviluppo senso-motorio, il linguaggio maternale.

(…) Allora l’udente parla e parla; il sordo non capisce e si innervosisce, ugualmente si irrita chi gli parla. Due tenzoni si trovano di fronte, si sono originate, proprio la’ dove, parlare, doveva essere una liberazione e scambio di pareri. Finiamo in un giro vizioso. Non ci si briga più a chi parliamo, domandarsi se si possiedono labbra idonee per essere lette o se articoliamo bene i fonemi, o alcuni degli stessi; se ci si “mangia le parole”; se le labbra sono visibili agli occhi del sordo; se l’espressività accompagna il contenuto. L’esperienza ci dice che l’8=% delle persone ha un apparato labiale e boccale che rende impossibile l’intelligibilita’ delle parole emesse: o perché, ripeto, sono labbra malformate, o perché - negli uomini - sono coperte dai baffi, o per altri motivi connessi alla caratteristica fisiognomica di colui che parla.

Incapacità di parlare al sordo

Venerdì, Maggio 19th, 2006

Sono pochissimi coloro che, rivolgendosi al sordo, hanno idea «come parlare», non mi riferisco alla modalità di comunicazione (articolazione della parola, attenzione ai vari accorgimenti: illuminazione delle labbra e del volto di chi parla, velocità del parlare, ecc.), ma faccio riferimento all’intelligibilità del parlare, il mondo del percepibile (del Silenzio). L’udente pensa verbalmente, si accomoda la parola nel momento che la pronuncia, sa giocare la carta del parlare allorché ascolta/ode l’interlocutore. Ho studiato i processi di apprendimento visivo-cinestetico. E’ arduo che la persona udente possa pensare visivamente, sebbene le relazioni di oggi sono sovrabbondanti di iconicità. Tra  i due processi, di percezione acustica e visiva, c’è una barriera di ignoranza. Il sordo è convinto che «l’udente», come lo indica, non lo capisca. Idea più accentuata nei sordi  bilingui segnanti, cioè che hanno  strutturato la lingua dei segni e utilizzano la lingua verbale come seconda lingua. Costoro affermano di possedere una propria identità linguistica e culturale. Ammettono: «Noi non siamo handicappati» (sic). Di fatto amano e vivono le interrelazioni secondo i processi psicocognitivi e linguistici visuo-cinestetici. Sono semplicemente persone disabili della/nella modalità percettiva acustica-verbale. Se in un’assemblea o convegno è presente una buona interprete di LIS (nel nostro caso italiano) possono essere attivi secondo le loro capacità culturali e professionali. I contenuti sono appresi su un canale differente. Confesso di concordare con questa filosofia. I sordi possono essere ritenuti di viivere nel Pianeta del Silenzio lungo una direttiva di cultura e di lingua differenti (per natura). Il discorso, lo comprendo, si sposta sull’antropologia. Anche questo da me  è stato approfondito. Non abbastanza come Amir Zuccalà, uno degli antropologi udenti italian che studiano i sordi (v. a cura di Amir Zuccalà, Cultura del gesto e cultura della parola. Viaggio antropologico nel mondo dei sordi,  Meltemi, Roma 1997). Qualcuno idenifica ciò in una «cultura sorda», che è - notate - tout court proprio un modo di vivere, di pensare e di inerrelazionare. Noi dunque siamo «società»; forse è meglio specificare «comunità», di fatto cultura e lingua. La verità è che non studiamo a sufficienza questa comunità invisibile. Sembra ne abbiamo timore, soggezione di scoprire qualcosa. Ora ho capito cosa temono gli udenti: la propria ignoranza; senza la ’stampella’ dell’udito, salvagente da utilizzare nel momento opportuno, per non  sprofondare.

L’articolazione delle parole

Lunedì, Maggio 15th, 2006

Bisogna conoscere bene l’apparato fonatorio per favorire una buona labiolettura. Chi ha avuto l’opportunità di apprendere l’articolazione delle parole prima di diventare sordo o audioleso, vale a dire il meccanismo motorio o cinestetico presente nell’area del Broca, si trova in vantaggio rispetto a chi apprende a parlare seguendo solo i movimenti labiali (…). La difficoltà di chi “parla”, senza l’ascolto della propria voce, è nel governo della favella, nella tonalità di emissione, i cui toni possono essere o troppo alti o monotoni. Ricordo che una volta era  difficile che un bambino nato sordo apprendesse ad articolare bene. Imparare a parlare era spesso stressante. C’erano famiglie che spendevano una fortuna perché il figlio parlasse la lingua verbale della maggioranza. Perché capiate le difficoltà dei meccanismi che conducono alla produzione corretta della parola, vi ricordo che alcuni scienziati hanno dimostrato che le differenze fra destra e sinistra nell’elaborazione auditiva del suono cominciano già nell’orecchio, mentre una vola si pesava che dipendesse da un’area specifica del cervello. L’orecchio è strutturato per distinguere fra diversi tipi di suoni e inviarli al lato ottimale del cervello perché siano elaborati. Sino a qualche anno fa nessuno aveva studiato il ruolo svolto dall’orecchio nell’elaborazione dei segnali uditivi. Ripeto che ci sono sordi capacissimi nell’uso delle parole, ma può restare una vittoria di Pirro. Se l’impostazione fonatoria è solo un esercizio di ripetizione i progressi non avverranno e il bambino resterà con una lingua subalterna, di ripiego. Quel che favorisce una buona comunicazione vocale sono: governarsi la voce, non mangiarsi le parole, pronunciare con tonalità adeguata ai contenuti, fare le pause, entrare nel discorso nel momento opportuno, rispondere alle altrui domande secondo il conntenuto esposto. Non è facile per chi è sordo stare dietro alla buona comunicazione verbale, ai segni di una lingua che non può essere controllata dal senso deell’udito.