Voglio ritornare sulla questione del “metodo orale”. Far comprendere il danno causato in prospettiva nella conoscenza e nell’approfondimento dei processi d ‘apprendimento nel/del sordo: e (forse) solo allora riusciremo a valutare la storia dei sordi nel nostro Paese. La popolazione scolastica sorda ha sempre subìto, o soggiogata a maestri e “professori” che, a dirla tutta, erano solo capaci di parlare, mai d’insegnare.
Nel periodo fascista un gruppo di sordi preparati e istruiti milanesi s’era organizzato, come tanti altri gruppi di mutuo soccorso nella penisola, aveva un leader eccezionale per intelligenza e cultura, Giuseppe Enrico Prestini. Costui infatti intuì immediatamente che, per contare, tutte le piccole associazioni dovevano federarsi, ecco allora nascere la FIAS (Federazione Italiana delle Associazioni dei Sordi). Prestini fu eletto Presidente di questa Associazione. (Chi voglia approfondirne la Figura vada su www.storiadeisordi.it di F. Zatini, a cui sono debitore delle ricerche iconiche e altre info).
Il 14 dicembre 1931 (X) Prestini predispose un pro-Memoria per l’On. Balbino GIULIANO, ministro della P.I., in sei sintetici ‘punti’ ammise che la scolarità dei sordi(muti) era disastrosa in Italia, invitando a chiudere la diatriba sui metodi perché «il metodo orale non esiste», e che i docenti dovevano approfondire la didattica, la comunicazione. Chiaro che i sordi adulti istruiti bene non si crucciavano della favella, valutavano le capacità di comunicazione scritta, l’unica opportunità , allora, di evasione dalla sordità , di comunicazione con la società degli udenti.
Ebbene allora, come ogggi, i genitori di sordi si preoccupavano solo della favella. I maestri delle scuole specializzate si adoperavano, basta riflettere sulle suorine che pensavano che l’accesso al verbum era fondamento salvifico (come del resto la pensavano così quasi tutti gli insegnanti ‘consacrati’); ore e ore venivano utilizzate «per imparare a parlare», raro per apprendere la grammatica italiana. Così avevamo sordi che, come pappagalli, infilzavano frasi mnemoniche con voci chiare per sostenere la prova d’esame davanti alla commissione di esimi pedagogisti, facendoli entusmare perché, maestri e suore, gli avevano permesso «l’acquisizione della loquela umana».
Non era un «metodo» didattico, ma si trattava di esercizi logopedici, riabilitazione fonica. Impegno che, oggi, è della logopedista. Il metodo orale (didattico) non è mai esistito. Infatti molti sordi, come me per acquisizione, quando si trovarono (da sordi) a seguire lezioni di fronte a insegnanti di varie discipline costatarono che agivano come se gli alunni fossero udenti: parlavano a voce, con qualche accorgimento per la labiolettura.
Anch’io sono caduto nella trppola del metodo orale perché mi attendevo un metodo orale didattico che mi favorisse l’apprendimento con una strategia di propositi o, appunto, metodi per memorizzare, comprendere, spiegare. Quanto gli insegnanti erano lontani dal comprendere i miei bisogni apprenditivi che si bavano su un processo psicocognitivo fondato sulla percezione visiva! Oggi ciò mi è chiarissimo per aver studiato le aree cerebrali specializzate, e le ultime ricerche sui neuroni specchio confermano le ipotesi di ieri.
La fisima della parola verbale. L’unica cosa che i sordi adulti possono fare, per la popolazione scolastica sorda, è conseguire i titoli accademici e di specializzazione per divenire insegnanti specializzati e insegnare ai simili. Abbiamo già operato, nelle sedi opportune, su questa prospettiva.