Archive for the 'Senza Categoria' Category

La voce,il suono, il canto

Domenica, Novembre 19th, 2006

O sera che scendi
scendi
e cali
e avvicini la mia collina
(collina or desolata
dei miei mezzadri ferrigni
donne e uomini recitanti Pater e Ave)
rivedo, a te rivengo
insieme ai figli adulti;
d’improvviso mi stacco solo e pensoso.
Qui ho recitato l’alba di vita:
e i contadini di valle
sanno di me di allora
e di poi.

Non tutto è perduto!
C’è un soffio di brezza di mare
che dal porto ascende
le colline sin qui;
c’è la quercia sempre uguale;
c’è il lago che specchia negli occhi
tutte le albe di Bagnolo;
c’è un via vai di tabaccoli (1) e vergari (2)
che s’incamminano col bestiame
per la fiera di Recanati;
c’è al bivio la scuola rurale
dove il piccolo poeta
iniziò il viaggio con le aste e le macchie
d’inchiostro sullo zinale;
c’è sulla strada il sogno
e la speranza oltre l’Appennino
e la mia voce nel suono e canto.

1. Nella mezzadria l’addetto al governo del bestiame.
2. Il capo della mezzadria dal quale ognuno della casata prende ordini.

da Renato Pigliacampo, L’albero di rami senza vento, Iuculano editore, Pavia, 2006.

Scherzare con i disabili

Giovedì, Novembre 16th, 2006

Lo scrittore Claudio Magris è intervenuto con uno scritto sul Corriere sulle violenze perpetrate da alcuni ragazzi sul compagno down. Facile fare il sermone agli insegnanti, genitori, agli stessi disgraziati adolescenti. I “diversamente abili” (!) sono stati accolti nelle comuni classi della scuola quasi trent’anni fa. Nei susseguenti anni abbiamo masticato gli aspetti socio-psico-pedagogici dell’integrazione. Abbiamo mangiato pane e integrazione sia a scuola sia a casa. Io giravo l’Italia per convegni e seminari per spiegare la diversità. Ci sono voluti anni, ma ora mi è chiaro: l’integrazione è un’invenzione dei normali. Non esiste. Semplicemente perché non esiste la normalità.

Quel che è successo e succede in questi tempi contro le ragazzine e i disabili non sono azioni di normali, come prontamente vi definite. Ogni giorno mi trovo a scontrarmi contro l’assurdo; sì assurdità perché, se non lo fosse, queste problematiche sarebbero state risolte da tempo. E ora avremmo parlato di giovani con gravi indizi psichiatrici, trattandoli in certo qual modo. Siccome ad agire sono “i normali” che prevaricano sui “diversi”, non approderemo a niente…

Ci resta pertanto la riflessione amara che la scuola non serve a nulla. Lo riconoscerà chi mi ha seguito con le denunce alla ministra Moratti, del precedente governo, con Scuola di Silenzio, Lettera ad una Ministro (e dintorni), Armando editore, Roma. Sono stato profetico. La verità è che a questi ragazzi pasciuti e consumisti, vuoti di ideali e letture, saturi di immagini e verbosità non gli è stato insegnato nulla, nemmeno ciò che è evidente in classe con la presenza di ragazzi “diversamente abili”.

Ines Talignani, ex magistrato che ha scelto di divenire suora di clausura: “Ho visto l’abisso tra ciò che sono e ciò che chiedo di diventare.” Insegnanti, genitori, dirigenti scolastici non vedranno mai l’abisso perché egoisti, presuntuosi. La scuola, per scorgere la ricchezza portata dai ragazzi speciali, deve spogliarsi d’essere ambiente di normali per diventare “ambiente di persone”, allora sì sarà capace di notare chi ha vicino.

Sete di conoscenza

Martedì, Novembre 7th, 2006

Raggi di sole hanno accesso il suolo
solcando il cuore della terra:
e io cammino sull’orlo dei solchi
col cuore crocifisso di dolori.
Tu porti stesso amaro fardello?
Sei nel solco o voli spazi siderei?
Il tempo segna di rughe il volto
divenuto simili a prati in fienagione
dove erba s’è data alle falci
per ridonare verdi steli a primavera.

Vieni con me:
di sera riscrivo ogni verso
riprendo profumo di valli
scogliere figli vocianti gabbiani.
Il mondo è nostro
quando siamo baciati di gioia.
Ma la mia felicità non arriva:
dimmi se verrà dopo morte?
Nemmeno tu sai.
Resto con la sete di sapere.

Da Renato Pigliacampo, Canto per Liopigama, CASISMA ed., Porto Recanati 1995.

Il corpo ferito non mostra la sordità

Mercoledì, Novembre 1st, 2006

La disabilità sensoriale dell’udito in una giovane donna non è visibile. Anche l’accidente della loquela può essere celato nella frequenza del gruppo degli udenti, purché la giovane taccia; per  il resto ha bèi seni o no, natiche formose o no, insomma conta il body (corpo) in questi casi: seducente o meno. La stessa opinione sul corpo vale per la ragazza udente.

La madre  della ragazza  sorda pensa che il giovane che esce con la figlia ne diverrà il «ragazzo fisso» e chissà che… Sì, avviene spesso che una storia inizia proprio così e vada avanti per alcuni mesi, anche per qualche anno. Lui nel frattempo la “prende”, intendo riferirmi ci fa sesso; è uno sfogo, una passione inevitabile, ovviamente mi riferisco a colei che è carina e sensuale (…). Non è che abbia rèmore sulla relazione tra una ragazza sorda e un ragazzo udente! La verità è che la premura della madre per «il normale» non ha avuto di frequente la riflessione che i maschi sono “rapaci”. Il possesso della lingua verbale, il destreggiarsi con la parola è una forma di difesa all’assalto della passione. La ragazza udente può fermare, con l’intervento lesto della loquela, il ragazzo che la desideri quando si faccia troppo audace e non è disposta; infatti, mentre è abbracciata a lui, ha la bocca libera per proibire le avances. Questa difesa non è possibile quando è nella stessa posizione la ragazza sorda: e lui insiste con carezze ardite e altro (…). Lei non può segnare perché, per farlo, ha bisogno della libertà delle mani ed essere ad una certa distanza. Le mamme, alla fine, intuiscono ma lasciano correre; si accorgono tardi delle conseguenze. Non mi riferisco ad eventuale gravidanza indesiderata, sempre possibile (sappiamo di una percentuale non trascurabile di giovani sorde messe incinta da ragazzotti irresponsabili) ma al fatto che, donandosi, crede d’essere stata scelta e contraccambiata nell’affetto. Era solo sesso! Se il ragazzo intende scegliere-amare una giovane del Silenzio deve prima conoscerla nella capacità di divenire madre e compagna, valutarne il mondo percettivo, culturale e lingua differente. La giovane che è stata posseduta, la giovane che si è donata ingenuamente - forse è la definizione più precisa - capisce tardi che la famiglia l’ha posta sul mercato (sic). Come il contadino fa con una bella manza. Sacrificata sull’altare di una presunta normalità altrui. Adesso, colpita dalla depressione, disprezza il mondo degli udenti; scemata la passione, «il ragazzo normale» - sognato dalla madre e dal parentado - scompare dalla vista.

Verità e valori

Sabato, Ottobre 28th, 2006

Giorni fa, leggendo resoconti di stampa, mi sono “scosso” come i cavalli del palio di Siena, vedendo imbrogliare o camuffare “verità” e “valore”. Ovviamente il giochetto può riuscire solo alla loquela del Cavaliere. Ecco così che a Report, il programma di RAI 3, sottotitolato, mi è stato possibile confrontare opinioni e spropositi, menzogne dalle comuni furbizie. Di Pietro dice, per giustificare l’annullamento della costruzione del ponte di Messina, “… a che serve costruire il ponte sullo Stretto se non ci sono strade dall’una e dall’altra parte? Ci metto una pecora e una capra?”. La verità è che le mille opere programmate del passato governo era fumo negli occhi degli… allocchi. Chi sa dire le opere concluse dal governo Berlusconi? Eppure, con la complicità delle sue televisioni, abbiamo visto inaugurazioni, discorsi in pompa magna e bottiglie di spumante stappare. Ahi, scatole cinesi! Una sfilza di consigli d’amministrazione controllati e controllori. Nessuna opera iniziava, trovavano soltanto i fondi per pagare stipendi ad una moltitudine di impiegati e progettisti di faraoniche opere di carta. Eppure la “verità” del capo del governo giungeva alle orecchie dei pigri, di coloro incapaci di svolgere un’azione propositiva di critica, bravi solo a “credere” e a “criticare” secondo il padrone che li foraggia o no. I sessanta deputati del passato governo del centro destra eletti in Sicilia dimostrano come si stava ideando un ponte di carta, una raccolta di finanziamenti che sarebbero finiti tra Scilla e Cariddi, per decenni il ponte non sarebbe iniziato, ma le risorse economiche sarebbero giunte puntuali, magari con appoggi bipartisan nell’approvazione della Finanziaria.

Purtroppo ciò che rovina l’Italia non è solo l’ineducazione ai doveri – soprattutto pagare le tasse – ma l’infima astuzia che, fregando lo Stato, si pensa d’acquisire l’onore d’essere furbo e intelligente. Invece occorre che qualcuno la canti che è un reato, che va contro la costituzione. Berlusconi ha insegnato a mentire e a “rubare” allo Stato. Ha sollecitato decine di volte di non pagate le tasse. Noi dell’Italia dei Valori i “valori” ce li abbiamo radicati nel partito. Qualcuno è restato confuso, perplesso sul fatto che il capo del governo invitasse a sfuggire alla tenaglia del Fisco. Eccoci dunque spogli di “valori”, annullati, presi per il di dietro perché, se la maggioranza della gente che ci è attorno non distingue il “valore” insito in un partito come IDV, non ci sarà mai democrazia, solo demagogia. Che è stata per lo più la pietanza scodellata per cinque anni agli italiani. I risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Ti confesso che sono incavolato, non per l’aumento delle tasse anche a me, che pagherò secondo le nuove aliquote di Visco, ma per il fatto che l’opposizione allora non sapeva leggere il bilancio dello Stato. Chiudere la stalla quando i buoi sono scappati è azione degli sciocchi! Mi trovo a plaudire Travaglio e Moretti (sic!). Prodi, che è un ciclista, dovrebbe sapere che arrivare secondo è il primo di tutti gli sconfitti, talvolta il più fesso: e nessuno lo ricorda.

Bisogna rigenerare la verità per rinvigorire il valore. Difficile. Con i trabocchetti delle televisioni di Sua Emittenza, e gli yesman a disposizione in ogni dove, a noi rimane la parola, l’antico passaparola dei saggi che, alla lunga, finiva in tutte le orecchie. Sai dirmi un politico attuale con capacità e destrezza di superare l’Ostacolo (Berlusconi)? Io non ne vedo alcuno. Provo tristezza nello scoprirmi con gli occhi spalancati su una moltitudine di “sordi”.

Accettare o no la sordità

Martedì, Ottobre 17th, 2006
Per comprendere meglio il mondo del Silenzio presento, ai miei lettori, due realtà: l’una di persona che si accetta nella sordità, l’altra la sfugge e combatte.
   Credo che abbiate udito o letto la parola eutonologia. Studia la scienza di «star bene nella propria pelle». Proposta dal filosofo e biologo Henri Laborit, nonno di Danielle, sorda, attrice e autrice del libro autobiografico Il grido del gabbiano. Molti sordi dalla nascita o divenutili durante lo sviluppo chiedono alla società di maggioranza d’essere compiutamente nella propria pelle. Molti incontrano difficoltà in questo, anzi gli divienta impossibile. Ci sono genitori che, già nei primi mesi di vita del piccolo, decidono per l’impianto cocleare. Ho un amico otochirurgo a cui ho chiesto quante possibilità ci sono (anno 2003) per percepire, non solo “sentire”, la parola nella completezza… Ha risposto: «Poche.»  Ciò indica che, l’imperfetto ascolto, limita la memorizzazione e, di poi, il richiamo mnemonico e la strutturazione del linguaggio sonoro-verbale. Agli impiantati (pare) venga limitata l’attività sportiva competitiva, talvolta anche ludica, attraverso la quale, molti di loro, entrano in relazione con i coetanei udenti riportandone gratificazione. Sono bambini impediti a divenire se stessi.
  La sordità grave o meno grave conduce alla complessività psicologica, ad una rielabotazione dell’Io. Ne ho parlato nelle mie ricerche sull’inconscio. Per ora mi ripeto affermando che la sordità è una filosofia esistenziale. Capisci gli altri da come tu sei accettato e trattato nella tua caratteristica di sordo. Il miracolo dell’Effeta (apriti) non può avvenire. Non puoi strapparti gli orecchi. Sei «sordo» negli orecchi. Ma se l’indicazione finisse qui non è un ludibrio: lo diventa quando ignoranza e pregiudizio della gente colpiscono mente e psiche del sordo!
   C’è la persona sorda che non si accetta, non perché soffre la disabilità sensoriale, ma perché si ritrova inconsiderata nella società o gruppo professionale o amicale. Ecco che il tutto si sposta nell’accettarsi ed essere accettato.
   Ho visto nel corso della mia atttività professioanle di  psicologo decine e decine di drammi: genitori in lite per accelerare l’educazione del figlio «a parlare bene». Come se l’obiettivo parlare fosse l’unica etichetta visibile per accedere alla cosiddetta normalità, da far «udire» al parentado, ai vicini di casa. Ho visto ragazzine sorde allontanate dai coetanei o giovani non udenti dalle rispettive madri e sospinte, letteralmente, nelle braccia dei compagni di classe udenti «perché - essendo udenti - impareranno a parlare bene».

La partecipazione dei disabili alla politica

Venerdì, Settembre 15th, 2006

E’ mia volontà partecipare alla gestione del partito, essere propositivo nel confronto con gli altri iscritti e simpatizzanti. Esaudire questo desiderio è difficile perché, senza che nasconda la verità, taluni non hanno compreso niente sull’apertura dei partiti ai disabili, in particolare sensoriali. Ci vogliono strutture adeguate, personale idoneo per superare le “barriere”. Invece si continua con i luoghi comuni offendenti la mia cultura, il coraggio dell’intelligenza quali “tu sei una risorsa”, “sei il nostro valore aggiunto”, “apri la via agli altri… “. Parole.

La verità è che non sono nulla sino a quando il partito non si libererà dai pregiudizi e dall’ignoranza. Per rendere attivi i disabili in politica ci vuole coraggio tra i dirigenti, lungimiranza e saper rischiare, vale a dire l’onestà di svolgere un monitoraggio se il proprio partito è pronto all’accoglienza. Perché diviene un boomerang – per il partito - lamentarsi o denunciare all’opinione pubblica le leggi non applicate quando, nel proprio, sono escluse le migliori potenzialità dei diversamente abili. Rinnovare è anche (o soprattutto?) valutare le nuove forze che attendono sulla soglia. Io e tanti altri ci siamo stancati di delegare i nostri problemi – si badi bene! – agli incompetenti “normali”. Se oggi sono ricercate meritocrazia e competenza non possiamo far finta di niente dimenticando le energie di persone che, al limite, auspicano la soluzione dei propri problemi.

Nelle Lamentazioni, 4-4 leggiamo: “I bambini chiedevano il pane e non c’era chi lo spezzasse per loro”. I disabili chiedono di superare le “barriere”, non solo quelle “architettoniche”, come credono i soliti che si fermano alla prima valutazione, ce ne sono molte altre, e più gravi: quelle della comunicazione con gli audiolesi e non udenti gravi. Helen Keller, la nota sordocieca, ebbe a dire che “Quando diamo il meglio di noi stessi non ci rendiamo conto di quale miracolo si compie nella vita nostra e degli altri”. Proprio a quest’osservazione volevo approdare: umanizzare la politica, prerogativa in casa di quei partiti che hanno leader che sanno procurare, per ogni iscritto, lo spazio di accoglienza e di espressione che diventano allora vera risorsa, non vuoto slogan come troppo spesso càpita.

L’ENS si sostituisce allo Stato. Se non ci fosse l’ENS i sordi resterebbero sempre in serie B

Domenica, Settembre 10th, 2006

L’ENS porta attenzione all’istruzione dei sordi. L’Università italiana non è pronta, meglio non ha risorse umane per rispondere con ricerche e approfonditi studi scientifici per licenziare un corpo di docenti specializzati preparati. Questo vale anche per le Facoltà di Scienze della Formazione che dovrebbero preparare insegnanti per la scuola dell’infanzia e primaria. Dove si diplomano gli ex-maestri di un tempo, con l’opportunità - per lo più - di accedere anche al sostegno con discussi e affrettati “seminari” sulla disabilità in generale (…). Ci sarebbe bisogno dun programma più dettagliato per avere una minima preparazione di base specifica: sullo sviluppo del linguaggio nei/dei sordi, sulla comunicazione, sui processi psicocognitivi, sulla lingua dei segni, sulla conoscenza della labiolettura e sui vari supporti di interrelazione. Come tentiamo di impostare il programma  - nel nostro piccolo - presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Macerata. Ciò indcuce gli stessi sordi, più preparati e diligenti, a divenire loro stessi protagonisti dell’insegnamento ai simili.

Qualche tempo fa, nella mia qualifica di consulente scientifico dell’ENS, ho suggerito al gruppo di lavoro: l’Aies, educatori e insegnanti dei sordi, la FIACES, delle istituzioni scolastiche specializzate, la FIADDA delle famiglie dei sordi italiani, di sostenere la priorità d’incarico - per i sordi in possesso di titoli universitari adeguati e di specializzazione -  per l’inserimento nelle graduatorie per l’attività didattica in favore dei simili. Ci vorrebbe un decreto ministeriale. Deduco che la lungimiranza della presidente nazionale dell’ENS valuterà la proposta e provvederà a sostenerla nelle competenti sedi di governo. Con l’opportunità di incarichi ai docenti sordi si apriranno prospettive di lavoro qualificato: e gli stessi genitori  potranno superare il trauma dell’accettazione del figlio nella disabilità sensoriale perché lo considereranno su una nuova prospettiva. Operando il sordo nella scuola nuove generazioni di docenti fioriranno e avranno conoscenza della propria disabilità uditiva, oggi oscurata con l’insistenza di frequentare o convivere con gli udenti. Perché, sinceramente, oggi non c’è confronto con gli uguali. Tutte le questioni sono commisurate sul metro del coetaneo udente. Ci si dimentica di entrare nel contesto dell’identità, non inquadrata nell’insieme culturale e linguistico propri del sordo, vale a dire non la si studia abbastanza nel merito del processo psicologico, sociologico e linguistico. Per tanti rimane solo mera «disabilità»: un giogo pesante  in una società, come l’attuale, che focalizza l’attenzione sulla prestanza fisica, sull’estetica. Si chiede al diversamente abile di divenire «abile», cioè annullare le proprie potenzialità specifiche per rincorrere  l’utopistica abilità di chi non ha difficoltà di sorta. Ed è, invece, proprio nelle piccole differenze che si presenta il riscatto del soggetto problematico quando potrà gestirselo senza traumi, con un metodo adeguato. Infine mi sono avveduto, in questi ultimi decenni, che la società tende ad esorcizzare le imperfezioni fisiche, sensoriali e psichiche intervenendo dapprima sulla terminologia, poi sull’educazione e l’istruzione modellando infine il tutto su un presunto contesto generale di «normalizzazione» che non chiarisce proprio nulla.

   E di nuovo a capo per riprendere la filastrocca.

Il migliore insegnante dei sordi è il sordo

Mercoledì, Agosto 30th, 2006

Sono convinto che il migliore insegnante per i sordi è il docente sordo specializzato perché - avendo sperimentato l’apprendimento per mezzo del canale visivo - saprà adoperare tutte le accortezze didattiche per portare l’alunno o lo studente ad apprendere i contenuti dello scibile. Per questo è necessario stimolare e favorire i sordi nella carriera di insegnanti.

Ebbene, sino a non molti anni fa, la professione di insegnante ai sordi era preclusa. Certamente ricorderete che nella riforma della scuola del governo Giolitti del 1923 del secolo scorso vi era un emendamento nella legge che affermava che l’insegnante della scuola elementare dovesse essere «di sana e robusta costituzione». I sordi, i ciechi, gli storpi (sic) erano banditi dall’insegnamento! Sino al 1990 l’emarginazione degli insegnanti sordi, pure in possesso di titoli accademici e di specializzazione, era  la norma nelle scuole statali italiane. Ci è voluta un’apposita circolare ministeriale per eliminare la discriminazione. E pensate che l’accettazione dei «portatori di handicap» nella scuola pubblica è del 1977! Gli scolari sordi erano accolti nella classe delle scuole statali ma erano respinti gli insegnanti con la stessa menomazione snsoriale nell’attività didattica, non dico per gli studenti o scolari udenti, ma addirittura per insegnare ai simili!

L’Italia è uno strano Paese in talune scelte; nazione di ignoranti sui temi dei disabili. Sotto la coltre dell’umanismo del momento si celano secolari pregiudizi e timori. La verità è che nella metà degli anni Settanta si aprirono le porte delle scuole statali senza far precedere, tale accoglienza, con una campagna di sensibilizzazione sui bisogni didattici dei «diversamente abili», come li chiamiamo frettolosamente oggi senza dire più di tanto, anzi senza aggiungere altro perché o ci fa paura, o perché non abbiamo argomenti all’altezza di confrontarci.

Nel caso dei sordi, è accertato dai coetanei udenti frequentanti la scuola di allora, che nessuno spiegava loro le condizioni del compagno che «non sentiva bene», o altrettanto «non parlava bene». La prima azione che i docenti si proponevano era esorcizzare la disabilità dalla classe: e come farla se non che eleminando le vecchie parole con cui veniva indicata? Ecco perciò sùbito comunicare ai compagni di classe che il loro amico non era «cieco» ma non vedente; non chiamare «sordo» il compagno ma audioleso o non udente; tabù assoluto dire «non capisce niente» per chi aveva difficoltà enormi a sommare 1 più 2. I docenti si danno un gran daffare per sopprimire la terminologia obsoleta,  a loro dire. Ma nessuna parola è vecchia se non ne portiamo un’altra altrettanto efficace per chiarire il significato di come agire o comportarci per tratare l’argomento. L’incapacità di approfondire, infatti, ha spinto i docenti a portare avanti una didattica uguale  a quella adottata per il coetaneo normodotato; azione che esorcizzava la disabilità non avvedendosi che la ingigantiva perché non si davano daffare per superare lo svantaggio dell’apprendimento con una metodologia e didattica adeguate. In classe sia il docente cosiddetto curriculare sia di sostegno fanno a gara per parlare di normalità, di uguaglianza senza porsi l’elementare domanda che siamo tutti diversi sia nei processi d’apprendimento sia nelle moltiplice intelligenze (cfr. H. Gardner, Formae mentis, Feltrinelli). Un efficace apprendimento è nell’individuare l’intelligenza specifica: è evidente che, nel sordo, essa è caratteriizzata da un processo di stimolo visivo. I ragazzi udenti ricevono lezioni di tratare il compagno di classe - con problemi fisici o sensoriali - come se nulla fosse, anzi non tenerne assolutamente conto; si sorvola sulla specificità che rinnoverebbe il loro essere nella scuola, la routine e  l’approccio interrelazionale  di gruppo. Non è democrazia trattare tutti allo stesso modo: è una comoda scorciatoia perché non si è abbastanza preparati per risolvere i problemi che, l’alunno speciale, ci impone di risolvere. Il pressappoco, le affermazioni «sei come gli altri», «perché te la prendi? sei speciale!», eccetera, sono luoghi comuni che nascondono manchevolezza di seri studi e ricerche. La disabilità non è una malattia da curare con medicine o riabilitazione coatta: richiede il confronto continuo con lo studente al quale insegniamo, una continua invenzione di metodi e didattica differenti, creativi, perciò migliori del passato, impegno specializzato che si protrae per tutti gli anni dello sviluppo biologico e psichico: e non solo.

Il premio

Lunedì, Agosto 28th, 2006

La sera del 23 agosto nel vasto cortile del Palazzo Lucangeli di Porto Recanati si sono adunate oltre 500 persone per il Premio “La Ginestra” - Luoghi leopardiani dell’anima. Il premio è stato assegnato al vicedirettore de Il corriere della sera, Dr. Magdi Allam. Presente gente colta, intellettuale, in gran parte venuta da fuori. Ho partecipato con la speranza riuscissi a… labioleggere gli interventi. Qualche parola, anche intere frasi sono stato in grado di decodificare su labbra predisposte alla labiolettura. Costruirci il contenuto completo, arrivare alla critica no. Il sindaco, parecchi assessori assistevano guardandomi di sottecchi pensando – ovvio - che stesse facendo lì un “sordo” tra le migliaia e migliaia di parole vaganti nello spazio (…).

Una settimana prima la sala consiliare era stata invasa da imprecisate associazioni protestanti per le barriere architettoniche che, una nuova banca – ironia della sorte – aveva creato per facilitare l’ingresso ai disabili nel loro istituto di credito, generando ostacoli sui marciapiedi per… i normodotati. E’ tutta una guerra di fazioni: normali e disabili-problematici-diversamente abili, indicaci come vuoi. La mia “barriera di comunicazione”, nell’incontro culturale, ovviamente è rimasta irrisolta, sebbene io conosca la legge 104/1992, l’art. 9 (abbattimento delle barriere di comunicazione) per cui mi sono esposto nei vari comuni delle Marche per la soluzione. L’attenzione della gente è sempre portata sulle “barriere architettoniche”. Quasi mai sulle altre, che escludono, non la partecipazione del corpo, ma della mente, il confronto diretto con le altrui idee per partecipare al dibattito, per portare testimonianza.

Bisogna iniziare a pensare… diversamente abile per risolvere i problemi della società civile. Se per gli amministratori è un dovere, scordato sempre, alla fine dobbiamo essere noi a ricordarglielo, anche con proteste o denunce o sit-in perché la gente volti pagina anche con certi politici che non hanno più niente da dire. La lezione deve iniziare – a mio giudizio – proprio dall’Italia dei valori.