Archive for the 'Senza Categoria' Category

L’albero di rami senza vento

Martedì, Febbraio 20th, 2007

Presso la casa editrice Iuculano Editore di Pavia (www.iuculanoeditore.it - tel. 0382.539830) è stato pubblicato il mio nuovo libro di poesie «L’albero di rami senza vento».

La Presentazione è del sindaco-poeta di Macerata, Giammario Maulo: “Il silenzio si apre un varco dentro la parola nel nuovo libro di Renato Pigliacampo. E’ il testo della sua maturità poetica: poeta del Silenzio e del riscatto da una condizione di svantaggio che diventa amore per la vita e insegnamento. Ci sono tutti i grandi temi della sua poesia.”

Il libro può essere richiesto all’editore.

Ciò che importa è quello che c’è di diverso

Sabato, Febbraio 17th, 2007

Non si piange sulla propria storia, si cambia rotta” (Spinosa). Parole prese in prestito perché entrino in testa. Le avevo ricopiate nella seconda pagina di copertina, in bella vista, del mio Diario. Credevo che avessero un significato per tutti, di più per gli adulti. Di più ancora per chi fa politica. Mi ero sbagliato. Quando uno ha una “storia politica” finisce marchiato. Come le vacche che vanno a pascolo nella contrada Bagnolo di Recanati. Si è spesso costretti a condividere una linea politica perché uno che ha la ‘tesserina’, burattino nelle mani del burattinaio della zona, alzerà la mano secondo le disposizioni di colui che gli ha promesso il posto, “per meriti politici”, quando sarà parlamentare (sic!).

Ce n’è più di uno, dalle nostre parti, che la pensa così. Anche nell’Italia dei Valori. Preferisce far rischiare il partito, che scompaia, piuttosto d’aprire la porta ai capaci, coloro che ardono di passione. Quest’ultimi sono tenuti dai soliti “capetti”, i quali preferiscono non confrontarsi e proseguono nella routine del bla-bla. Una volta mi è capitato di scuotere la platea politica con delle frasi del poeta Nolan, tetraplegico: “Accettatemi per ciò che sono e io vi accetterò per come voi siete accettati“. Obbligato a parlare così perché tra i tanti blateranti non ce ne era alcuno che avesse volontà solidale di riassumermi labialmente o per iscritto quanto veniva detto nel dibattito. Eppure ce ne sono tanti a criticare “quello che non fanno le altre fazioni per i disabili”, ma ahimé anche i nostri sono forgiati sulla stessa cultura del pregiudizi e di interessi infimi. Com’è lungi l’invocazione del procuratore capo di Milano, Borrelli: “Resistere, resistere, resistere!” E pur noi, nel partito, in attesa che rientri Di Pietro (il nostro Mosè) dalla missione nell’Arca del governo, riprenderemo il viaggio.

Ormai il tempo che mi è dato volge al tramonto: e il mio desiderio di parlare nella sede del Palazzo, per portare la parola del Silenzio, resta un’illusione. Sono stati vincitori i furbi di giornata, i plagiatori di idee e di progetti, i “politici” insomma… non le persone! Vorrei che fosse presente, nella mia fatica quotidiana, più attenzione alla diversità perché coloro che la pratichino potessero far politica (nuova), in strutture e personale adeguati. Oggi, nella comunità, si impone un bisogno urgente di rinnovare i metodi di fare politica, l’educazione dell’accoglienza politica, la rigenerazione di una proposta utile a tutti e non ai pochi. “Ciò che conta nelle persone, e nelle scuole, è quello che c’è di diverso, non quello che è uguale” (Roland Barth). Aggiungo con forza: “e anche nei partiti, compresa l’Italia dei Valori!

Bambini che non voleranno mai

Mercoledì, Febbraio 14th, 2007

I sordi appartengono ad una piccola comunità invisibile, a parte, della grande comunità di maggioranza udente. La quale agisce, soprattutto dall’inizio di questo terzo millennio in cui i sordi hanno avuto il coraggio di scendere in piazza per rivendicare il  diritto di riconoscimento legislativo della lingua dei segni, come propria  lingua (più) efficace per manifestare idee ed emozioni. Effettivamente in molti Paesi  europei la lingua dei segni è riconosciuta da anni; infatti, sin dal 1988, la deputata europea, Lesmas, chiedeva - ai Paesi membri - di riconoscere la peculiarità comunicativa dei sordi espressa nella lingua dei segni del proprio Paese. In Italia gli attriti fra l’ENS e le famiglie locali federate alla FIADDA, la cui presidente è al vertice da quasi quarant’anni, sono stati sempre aspri.  I sordi adulti non sono lasciati in pace nelle loro proposte al governo. La FIADDA, che ammette di tutelare bambini sordi e audiolesi, rivendica un ruolo esclusivo sui figli degli associati che, il 98% di loro, s’incammina lungo una strada che, adulti, avrà per meta l’infelicità. Non sono sufficienti gli incontri dell’associazione ENS, dei protagonisti più tenaci che manifestano scientificamente la loro esperienza, i riscontri negativi di proposte di un «recupero» che non risponde alle reali necessità del bambino sordo perché possa crescere felice. Ci troviamo di fronte a familiari oscurantisti che perseguono l’oralismo a tutti i costi, a politici opportunisti, a docenti di sostegno senza volontà di migliorare la professione, a personale di riabilitazione logopedico: e tutta questa gente esercita pressioni sui genitori perché l’educazione dei propri figli sia programmata esclusivamente per «l’integrazione con i normali». Pensano di donare a questi bambini le ali della natura, invece gli appiccicano ali di cera, che si scioglieranno alle prime difficoltà perché non gli hanno insegnato a gestire la menomazione sensoriale, ad essere se stessi. Considerato che la disabilità della sordità non è visibile, i familiari non si preoccupano più di tanto di ciò che succede al figlio in ambito scolastico, di riabilitazione logopedica e nei processi di sviluppo psicologico e d’apprendimento. Le madri possono sempre far obiezione al parentado, alle amiche, ai vicini di casa che il figlio non ha problemi né di comunicazione né di partecipazione alla didattica comune. Mi è capitato di conoscere una mamma di sordo che, fino a vent’anni, ha nascosto ai parenti, ai conoscenti le difficoltà gravi d’udito del suo ragazzo: e ogni volta adduceva cento scuse sull’incomprensione delle parole o sulla voce rauca. Altera, sicura di sé replicava sempre: «E’ normale! Frequenta  i normali!». Il ragazzo la seguiva a puntino diventando maestro di finzione: recitava tanto bene la sua sordità da renderlo ineccepibile attore! Negli inviti alle festocce scolastiche affermava, quando  era costretto a parlare o a seguire determinati comportamenti verbali, che era raffreddato, o che soffriva di laringite, o di mal di orecchi, o di un principio d’influenza (…). Povero ragazzo, non si avvedeva che era aggregato e non integrato nella cosiddetta comunità normale!

I sordi diventino protagonisti per risolvere i problemi che li riguardano

Venerdì, Febbraio 2nd, 2007

«Il linguaggio fu inventato in modo che le persone potessero nascondersi reciprocamente i propri pensieri.» (Charles-Maurice de Talleyrand). Ma io, Renato Pigliacampo, non l’ho nascosti: li ho ‘vestiti’ con un altro linguaggio. Ho iniziato a volare, con le nuove ali: e oggi continuo a volare.

Spesso ho avuto la sfrontatezza di risolvere - non solo i miei problemi di comunicazione dovuti alla disabilità dell’udito - ma anche quelli dei simili. Infatti la prima regione italiana a legiferare sull’abbattimento delle «barriere di comunicazione» (terminologia proposta alla commissione affari sociali) è stata l’unica regione italiana al plurale, le mie Marche. Da quattro anni avevo lasciato l’insegnamento a Roma per dedicarmi, nel territorio di Recanati-Porto Recanati, alla professione di psicologo. La commissione affari sociali, presieduta da Malgarì Ferretti Amedei (PCI) chiese, a noi rappresentanti delle associazioni, «di suggerire i punti focali per migliorare la nostra qualità di vita», affiché fossero ripresi nella istituenda legge regionale. Dissi di getto «abbattere le barriere». Alcuni consiglieri pensarono che mi fossi confuso con la scontata frase «le barriere architettoniche». No. Dovetti  fornire una rapida lezione su che cosa intendevo. La presidente - poteva intuirlo solo una donna! - capì subito che si trattava di una proposta nuova, che avrebbe caratterizzato la dirigenza della commissione. La legge fu approvata in poche settimane.  Dico della L. R. 18/1982. Molte regioni italiane contattarono l’assessorato ai servizi sociali per averne idea. Di poi fu rivista, migliorata, nella L. R. 18/1996, art. 20, in cui si chiedeva addirittura un  «programma televisivo settimanale alla sede regionale della RAI», o tramite un’emittente privata. Precedemmo la nota legge nazionale per l’integrazione delle persone disabili (l. 104/1992). La legge afferma, nell’articolo 9, che i comuni singoli e associati possono istituire «il servizio di aiuto personale»… e «comprende il servizio di interpretariato per i cittadini non udenti». Per i sordi era una vittoria, tuttavia… La legge riportava un cavillo, predisposto con la solita malizia degli italici lugulei istituzionali. Infatti vi è scritto che «il comune singolo o associato “può″», non vi è riportato, come avrebbe dovuto essere, “deve”. La verità era che, se restavano soldi dopo aver finanziato i progetti più importanti, il sensibile assessore o il sindaco avrebbero istituito il servizio…  Nelle Marche, pressavamo, in particolare nel territorio provinciale di Macerata, gli assessorati (…) e, mugugni o no, disponevano per le nostre esigenze di comunicazione. Nelle assemblee sindacali, politiche, sportive non eravamo più spettatori, bensì persone  partecianti, grazie alla professionalità nella comunicazione dell’interprete di lingua dei segni. Personalmente me ne giovai molto: in politica, nell’aggiornamento professionale, nei convegni, nell’ausilio per comunicare (allora non erano presenti i telefonini)  con persone lontane. L’interrelazione, sebbene tramite l’interprete, con i rappresentanti del potere politico-amministrativo mi dettero l’opportunità di mettere in piazza le rivendicazioni dei sordi, di provocare forti emozioni col mio Silenzio nei dibattiti e convegni.

Il Silenzio aveva l’opportunità di uscire dal carcere.

Ne approfittai.

Iniziai a volare, puntando dritto ampi spazi.

CANTO IL MARE, LA VITA

Martedì, Gennaio 30th, 2007

lo canto, canto l’onda del mare
in un silenzio sepolcrale:
e mentre le mani creano il segno
per narrare ciò che è stato
nell’idioma di Recanati

(oh terra di poeti e testoni, terra
amica nemica di donne sensuali
d’estate denudarsi in spiaggia adriatica
per diversificare il consueto alcova)

m’avvedo che ormai il destino ha vinto.

Tu onda genesi dal mio corpo
da mani che imprimono sapere
e pensieri di filosofi e poeti,
con te ho vissuto uno spazio di vita
quando avrei potuto dare di più
se avessi accolto la proposta politica,
se mi avessero dato fiducia le istituzioni,
se i pregiudizi non avessero fermato
le porte del Silenzio atroce.
So che vivo ancora (o qualche volta?),
quando ritorno al borgo selvaggio
noto mia madre ciacolare
con le donne di paese che sottovoce
le chiedono del figlio fuggiasco all’Urbe
per riscattare gente silente bussare
alle soglie del potere ipocrita
aggroviglio d’amplesso mercimonio

Š

L’empatia indispensabile nel trattare il sordo

Sabato, Gennaio 6th, 2007

Nel trattare il “paziente” in psicoterapia, adoperarsi nel counseling psicologico ci vuole intuizione, quel processo empatico che, spesso, è innato nell’ottimo psicologo. Tanti si attribuiscono doti di «psicologi». Possiedono appunto il dono empatico. Come i «poeti». Possono avere forte immaginazione, provare emozioni, ma se non sanno scrivere, nel senso d’incapacità di mettere in versi idee e sentimenti perché ignoranti di «grammatica poetica», la loro creatività finisce nel nulla. Oggi pertanto abbiamo a bizzeffe psicologi domestici, di quartiere, di assemblea politica e/o condominale e così via. Costoro brava gente che, come i poeti semianalfabeti, credono di fare del bene: e nella realtà sono senza studi di base, senza conoscere la psiche e tutto quanto le gira dintorno nei processi neurologici, psicocognitivi e linguistici. Se non possediamo i fondamenti finiamo per confondere il paziente, peggiorando la sua condizione esistenziale.

Io, nella mia giovinezza, ero conscio d’avere potenzialità di capire il prossimo. Badate bene: ho detto «capire il prossimo». Forse il dono di una buona Psiche lo avevo ereditato da mia madre. Ella, a dire delle comari, era «guaritrice». Penetrava nelle ossa di chi soffriva di malattie reumatiche. Ma io non le credevo. Per questo la dileggiavo quando si apprestava - facendoli sdraiare in mezzo all’ampia cucina -  a curare i malati di mal di schiena. Se mia madre avesse studiato medicina sarebbe stata, senza dubbio, un’ottima ortopedica.

Chiaro che nei miei studi forsennati di una giovinezza trascorsa a Padova, a Roma e nelle mie Marche avevo focalizzato dabbene dapprima la pedagogia, poi la sociologia e infine la psicologia. Perché pensavo che le doti dovevo alimentarle con lo studio e la ricerca. La scienza, come ho già affermato nell’Itinerario di Silenzio, mi faceva penare nel gruppo dei colleghi udenti quando ero dipendente dell’ASL; mi trovavo meglio a trattare, sebbene la lingua dei segni fosse differente, con gli psicologi sordi della «Gallaudet University» di Washington. Essi erano allertati nella diversità di lingua, di cultura e soprattutto nella specificità d’essere sordo, io, come loro. Realtà di difficile comprensione per i colleghi udenti, che mi alimentavano di parole «labioleggi», «sei una risorsa», «dopo approfondiamo», «considera che… ».

Comunicare è fondamentale per lo psicologo. Uno psicologo che non riesce a entrare in relazione empatica col suo paziente è nullo. Mi sono trovato molto bene con gli psicologi sordi: e con i miei pazienti ugualmente sordi o audiolesi. Ma trattando di comunicazione dobbiamo specificare di quale si tratta. Uno psicologo, per esempio, deve saper leggere il corpo. Un sordo psicologo deve leggere dapprima l’apparato corporeo del proprio paziente, poi labioleggerlo (se si tratta d’udente) e/o leggerlo nelle mani che segnano i tormenti dell’anima (se si tratta di sordo). Chiaro che bisogna partecipare alle tristezze della gente perché esorcizzi il “male oscuro” del nostro tempo. Come è indicata la depressione oggi. Eppure  quasi nessuno pensa ai sordi depressi! La mia esperienza professionale mi ha allarmato sulla carenza di psicologi idonei ad esercitare psicoterapia con pazienti sordi e/o audiolesi. Vogliamo denunciarlo? Ci vergogniamo ad ammettere l’arretratezza del nostro Paese in questo settore? Non possiamo lasciare che i sordi restino sull’abisso! Il pericolo è che molti possano precipitare nel precipizio: e il peggio è che i «normali» o non lo sanno o non se ne avvedono.

E io che lo so da decenni  oso (ancora) gridarlo al mondo dei «sordi».

La sordità imbarazza l’udente

Venerdì, Dicembre 29th, 2006

Quando un sordo si trova a parlare con un udente, che non conosce le modalità di comunicazione con chi ha problemi di udito, finisce sempre per spazientirlo, oppure quello sfocia nell’ironia. Azione che genera inquietudine e disagio psicologico. La sordità perciò: o fa innervosire o fa ridere! Spesso mi è capitato che qualcuno mi chiedesse un’informazione di una via, dell’orario di partenza o di arrivo di un bus o altro. Restato io dapprima confuso, appeso alle prime parole labiolette, per poi entrambi guardarci straniati, sino a quando il richiedente sbotta con l’immancabile domanda: «Lei è straniero?».

La sordità è imbarazzante sia per chi è costretto a conviverci sia per coloro che la subiscono. Perché è invisibile. Perciò è perdente, sempre sconfitta rispetto le altre “evidenti” disabilità. La sordità deve essere spiegata. Ho detto «spiegata». Perché è maestra per affrontare molte questioni di vita. Poi è cultura. Se oggi la maggioranza della gente è ignorante sulla sordità - e ciò che da essa proviene - la responsabilità è da attribuire anche ai noi sordi. Non siamo abbastanza decisi e preparati a «tenere lezioni sul Silenzio».

Nella mia professione di psicologo, in una struttura pubblica, per alcuni anni ho sofferto l’emarginazione del dialogo scientifico-professionale con i colleghi nelle riunioni settimanali di programmazione del lavoro nel territorio o portare a soluzione un caso. Mi accorgevo che la mia cultura e preparazione professionale. lo studio dell’evento considerato, l’intuizione di risolverlo andava spesso sperso perché intervenivo nel momento sbagliato, non riuscivo ad «entrare nel cuore del problema» per analizzare (anche) i pareri dei colleghi. La riunione dell’équiepe multidisciplinare si rivelava per me un tormento (…); anzi, talvolta finivo fuori tema così da essere ripreso da un collega «questo che c’entra col problema esaminato?».

Per un albero di Natale

Mercoledì, Dicembre 20th, 2006

Nella mia Porto Recanati sindaco e giunta sono turbati perché - come da alcuni anni – regalano l’albero di Natale ai quartieri. Quest’anno il quartiere “Sammarì” non ha partecipato nel palazzo comunale alla pomposa cerimonia di consegna. I consiglieri comunali e la gente del quartiere sono incavolati con l’amministrazione per non aver considerato i problemi delle loro viuzze, abituri, negozi, eccetera. Il “casus belli” ha fatto cassa per i giornali delle cronache locali. Ecco che l’assessore “agli Istituti della partecipazione” (sic) interviene con interviste e scritti ai giornali che “Noi offriamo l’albero ai Quartieri per trasmettere un senso di pace, gioia e serenità tra i cittadini e di tutti i Quartieri”.

L’intenzione è buona se il Natale è una festa per tutti, come (forse) lo era una volta. Oggi il Natale, sebbene scriviamo con la lettera maiuscola, non è più quello di ieri perché, se vale per la maggioranza della gente, meno è “natale” per una percentuale non indifferente di cittadini. Porto Recanati ha quasi il 20% di gente residente straniera, la cui religione - non solo ignora la festa del Natale cristiano - ma sono giorni in cui cresce lo sconforto di una solitudine e assenza che non ha nulla a che fare con la solidarietà trasmessa da un simbolo per cultura a loro è ignoto. Il messaggio della giunta è riduttivo, enfatico. Non si governa più col “volemose bene” dettato dalle date del calendario delle “feste comandate”: il dono del panettone e la bottiglia dello spumante ai vecchietti della casa di riposo, o cercare appoggi politici con l’invio degli auguri alle “persone in vista” della cittadina a spese dell’amministrazione. La festa della natività non è nata per lenire gli sconforti del Quartiere “Sammarì” col dono, ripeto, dell’albero. Il volemose bene è dovere d’intervenire per la soluzione delle questioni per tutto l’anno: dal 1° gennaio al 31 dicembre; altro è demagogia, anzi diseducazione per chi non professa la religione cattolica perché ci notano ipocrisia e strumentalizzazione di sentimenti.

La fede è coscienza di ricerca di un trascendente, pertanto personale che non può essere ridotta a politichese. “La politica - disse De Gasperi - è fare.” Chi non sa fare è incompetente e non può sfuggire alla responsabilità delegando ai dirigenti dell’ente perché è chiamato egli stesso a decidere: e se non ha cultura ed etica istituzionale decide male. Ho notato che, anche nell’assegnazione degli assessorati, c’è inflazione di nuove terminologie. Fumo negli occhi per scaricare l’inefficienza. L’albero di Natale ha compiuto il miracolo di togliere la maschera.

I genitori: la sordità mai

Martedì, Dicembre 12th, 2006

Quando mi permetto di approfondire nei familiari dei bambini sordi l’accettazione della sordità riconosco di inoltrarmi su un argomento spinoso, che non stimola la loro attenzione, anzi li irrita; interpretandola come azione sadica, anche perché finiscono quasi sempre per dare retta alle innumerevoli sirene che li circondano, con la promessa del recupero certo dell’udito. La mia onestà di professionista è stata coerente sia quando insegnavo nelle scuole specializzate sia operando da psicologo nelle strutture pubbliche, vale a dire sostenendo psicologicamente la famiglia nell’accoglienza della disabilità sensoriale del bambino. Valutarla senza drammi, scorgendovi una ricchezza per tramutarla in risorsa: prima per il piccolo, poi per la stessa famiglia e la comunità di maggioranza.

Non crediate che sia una scelta utopistica: è una proposta programmatica che può essere portata avanti dagli operatori scolastici e sociosanitari. L’accoglienza di vivere la sordità non è rassegnazione, si badi bene! Significa avere genitori diligenti che rinunciano all’accanimento  (e a girovagare per l’Italia e all’estero alla ricerca della panacea o del luminare) per conseguire la sanizzazione, al coattismo verbale, ad imitare il fratello o il cugino udenti, all’idea di conseguire per forza la «normalizzazione», che niente ha a che fare con la persona.

Discutere con la famiglia, i riabilitatori logopedici e gli insegnanti di questo Progetto di divenire sordo - perché si tratta proprio di un progetto -  è un processo che obbliga innanzitutto noi stessi  a cambiare concezione di vita, alla scelta dell’ ex-novo dove l’altro - il sordo - diventa il primo artefice di saper affrontare  le proprie questioni, crescendo egli stesso quale primo artefice per confrontarsi con i simili e gli udenti “normali”.  L’eutonologia di Henri Laborit  - saper vivere bene nella propria pelle - è dunque sapersi accettare «in viaggio» perché tutti, prima o poi, nella vita sperimenteremo la diversità: disabilità momentanea per parecchi e/o permanente per taluni. Dobbiamo addestrarci per essere pronti ad accoglierci nello essere diversi! I bambini sordi sono spinti a modellarsi secondo i bisogni di chi ha orecchi e lingua idonei; dimentichiamo che sono nel silenzio, anzi nella sordità: esperienza che include spavento in chi la considera dramma e isolamento; invece bisogna ‘rivisitarla’ su un contesto culturale, di processi psicocognitivi nei quali matura una persona migliore.

Solitudine tragica talvolta del sordo

Martedì, Dicembre 5th, 2006

Talvolta è importante accettarsi nella propria disabilità sensoriale. Ma come accettarsi? Non certo vuol dire rassegnarsi alla condizione di sordo. Se veramente ci si rassegna alla condizione di non poter ascoltare si finisce per rinchiudersi in un recinto, isolato. Solitudine tragica avvolge la persona priva dell’udito. La mia generazione di sordi, per lo più istruita nelle scuole specializzate, indicata con terminologia nuda e cruda: «i sordomuti». «gli handicappati», la maggior parte ha accolto la condizione d’essere sordi con serenità. Ci sono sordi figli di benestanti, di professionisti, sospinti a divenire secondo un modello parentale, di fratelli, di cugini, si sono trovati davanti ad ostacoli inenarrabili.  Non riuscendo essi a soddisfare le aspettative dei familiari, precipitavano nella depressione o nella nevrosi. Altri sordi, provenienti da famiglie modeste e/o semplici, abituati ad una condizione difficile di difficoltà economiche per seguire i figli, li hanno lasciati liberi di fare esperienze, di confrontarsi con i pari o nella comunità dei simili prendendone a modello alcuni (…). Costoro di poi hanno raggiunto un equilibrio psicologico e sociale gratificante. Altri sordi si sono accettati impegnandosi  con tenacia in un settore professionale o artistico: penso ai mei amici  dell’Istituto di studi medi e superiori “A. Magarotto” di Padova, che hanno creato laboratori di odontotecnica notissimi nelle proprie città; penso a pittori  e scultori famosi di valore; penso ai tanti docenti di lingua dei segni che si adoperano ad insegnare la LIS in ogni dove; penso ai dirigenti di associazioni che trascorrono intere giornate nelle sedi. Ci sono sordi che si ‘battono’ a livello nazionale, regionale, provinciale come leoni per favorire e suggerire strutture, personale specializzato, formazione di docenti, interpreti di LIS e labiali, per la diffusione di informazioni tramite media visivi adattati. Certo, se la società è pensata anche per chi non ode l’accettazione della privazione sensoriale dell’udito è meno dura.  Eppure  tutti gli anni assestiamo, nei mesi novembre-dicembre, al valzer della Finanziaria, ai ‘tagli’ sul sociale; vigilare - attraverso i dirigenti regionali e regionali delle associazioni - diventa sempre più stressante e drammatico nei rapporti col potere politico. La classe politica considera i disabili nulla-facenti, mangiatori di pane a ufo. Vuole eliminarli.  Ma non ce la fa. Sono parecchi. Allora esorcizza l’handicap. Il giochetto avviene - mi ripeto - modificando le parole di riferimento alla disabilità o al deficit. Chi era sordo diviene “possibile udente” con l’impianto cocleare, o audioleso.

Accettarsi non significa rinunciare  a uscire dalla condizione di disabile, a curare sensi e apparati del proprio corpo; vuol dire prendere coscienza di quel che si è, dominando e soggiogando la disabilità per riciclarla secondo le proprie esigenze, farne bandiera di lotta per migliorare - non solo la fazione dei disabili dell’udito e della parola - tutti.