Archive for the 'Senza Categoria' Category

Sarai sempre ricordato

Lunedì, Giugno 29th, 2015

Abbiamo chiecchierato tanto, mi hai detto tante volte che insieme dovevamo fare qualcosa per un cambiamento per tutelare le persone sorde, per dare forza e maggior rispetto a chi sceglie la parola il segno il testo… non importa come, era importante comunicare, capirsi unirci…

Sei stato un pioniere, un coraggioso che ha sfidato e vinto la sua guerra, riconoscendosi e affermandosi nella propria identità sorda, ma osando dove in molti si ostinano a rifiutare la tecnologia ed il progresso, hai raggiunto livelli socio culturali che hanno fatto la differenza e valorizzato le capacità dei sordi.
Tu passerai alla storia e sarai sempre ricordato come poeta e scrittore che dal silenzio ha scritto versi suoni e parole…

Riposa in pace Renato, mi spiace tanto non aver avuto un altra occasione per poterti incontrare.

Enzo De Stefano

Caro Renato

Lunedì, Giugno 29th, 2015

Caro Renato, ci hai lasciati, ma grazie a Dio tre settimane fa sono venuto a trovarti. Dormivi. Ti ho preso la mano, ti ho accarezzato la fronte, ti guardavo quando aprivi le palpebre.
Ora ti trovi in cielo, dove potrai sentire il canto degli uccelli e tutti i suoni che in terra non hai potuto sentire.
Ci siamo conosciuti 47 anni fa all’Istituto Magarotto di Padova. Io appena entrato, tu che l’anno dopo ti saresti diplomato. Ricordo nitidamente il nostro incontro: io seduto a tavola, tu, assistente, facevi il giro del refettorio per conoscere i nuovi arrivati. Ti accovacciasti al mio tavolo e cominciavi a fare domande come li fa un professore.
Come ti chiami? Antonio. Da dove vieni? Modugno, provincia di Bari. Che corso frequenterai? Ragioneria. E sotto a mettermi alla prova con i numeri. 6X4=24 8X9=72.
Dopo diverse risposte mi chiedesti quanti anni avevo. 14. E tu: quanto fa 14 + 6? 20. Bravo, sono i miei anni!
Ciao Renato, ti ricorderò nei tuoi libri che ho nella mia biblioteca.

Antonio Sgaramella

Ci ha lasciati

Lunedì, Giugno 29th, 2015

Ci ha lasciati oggi il prof. Renato Pigliacampo, che oltre ad essere un Poeta, un grande amante e promotore della Cultura, ha sempre difeso con forza le istanze dell’universo audioleso.
Gli piaceva stare con i giovani e il suo animo combattivo lo portava sempre a darsi da fare con tutto se stesso, facendo del suo deficit non un problema ma un punto di forza.
Sono sicuro che continuerà a parlarci con quei “ghirigori di mani sognanti” anche dal posto in cui si trova.

Lorenzo Spurio

Sono chi scrisse questi versi

Sabato, Maggio 30th, 2015

Ho il piacere di comunicare che abbiamo deciso, familiari e amici, di continuare ad organizzare il Premio di poesia “Città di Portorecanati”, che babbo organizzava ogni anno da quasi trent’anni.
La prossima cerimonia si terrà domenica 6 settembre 2016, presso la sala del Castello Svevo. Sarà un’occasione anche per ricordare la sua passione per la poesia.
(Marco Pigliacampo)

SONO CHI SCRISSE QUESTI VERSI

Io sto solo nel mio silenzio
a guardare un raggio di luna:
e di notte, accanto al mio mare,
fantasmi di ieri danzano
in cerca di voce dispersa.
La vita non è né giorno né notte.
Sei tu nel volo del pensiero.
Sei tu nel sorriso che dài.
Sei tu che vai per il tempo
che ti resta per parlare, scrivere.
Di me non dimenticare.
Sono chi scrisse questi versi.

Renato Pigliacampo

Messaggio di voce

Venerdì, Maggio 15th, 2015

MESSAGGIO DI VOCE

Nella gola dove ignota mia voce
induce corde vocali al tono e
pur sempre mi lega al visuale.
Ricordo parola codice d’uomo.
Oggi sul corpo imperano segni e
nel gioco fonetico tu presente.
So quanto fremente in me schiudi
ali a nuova vita: e quasi mi nego
perché non pregni area d’ascolto e
vagoli col poeta al Porto di mare
riascoltando l’idioma madre
suoni e vocìi a valle di Recanati e
rallegrarmi ancora a vita.
Resterò con l’immota ugola
che non più articola fonema e
l’afasico pensiero si spegne
mentre, a segni, imito l’onda del mare
che sfiora i miei piedi e dice:
«Il tuo parlare mi preme e prende.»

.
(È la poesia con cui babbo ha partecipato e vinto una menzione al Premio Città di Fermo.
La premiazione si tiene domenica 31 maggio a Fermo.
Marco Pigliacampo)

UNIPATIA

Giovedì, Febbraio 19th, 2015

 

UNIPATIA

   di Renato  Pigliacampo

dal Dizionario della disabilità, dell’handicap e della  riabilitazione, Armando Roma 2009 (2^ ed.)

 

 

Secondo le  indicazioni dell’analisi  compiuta di Edih Stein l’empatia è divisa in tre gradi: il primo grado consiste nella «lettura» di un’espressione emotiva sul volto di qualcuno; il secondo grado quando l’attenzione è intenzionalmente diretta sullo stato d’animo dell’altro; infine abbiamo  il terzo grado quando pone attenzione al vissuto dell’altro. I tre gradi dell’empatia ci permettono di evitare l’errore di confondere l’empatia con l’unipatia che,  secondo  la teoria di Lipps, consiste nel fatto che un Io si fonde con l’altro. Tuttavia Edith Stein fa presente che la teoria di Lipps dimentica l’interazione che ciascuno di noi ha col corpo dell’altro (azione psicofisica). In questa interazione però dobbiamo ricordare che l’Io non si unisce a un altro Io ma rimane sempre se stesso. Nell’unipatia l’Io scopre nell’altro lo stesso sentimento che  egli sperimenta, da qui si origina l’Io che procede verso il Tu per un Noi. Ed è proprio questa forma di unità superiore che manca al co-sentire e distingue l’unipatia  dall’empatia, in senso stretto. Edith Stein afferma che proprio l’apertura empatica verso l’altro ci permette di individuare l’errore originario giacché, un profondo atto empatico, ci sospinge alla comprensione che, prima, forse per un’azione erronea di proiezione sull’altro di attese o preconcetti, ci era sfuggito; infine l’empatia non va confusa col contagio emotivo. A volte il soggetto che empatizza può anche non rispondere al messaggio emotivo che riceve ma non vuol dire che non comprende lo stato emotivo comunicato dall’altro.

Vedi:

Angela Ales Bello, Edith Stein. La passione per la verità, Edizioni Messaggero, Padova 1998.

Laura Boella, Annarosa Buttarelli, Per amore di altro. L’empatia a partire da Edith Stein, Cortina, Milano 200.

ACCETTARE O NO LA SORDITA’?

Mercoledì, Ottobre 16th, 2013

  

Per comprendere meglio il mondo del Silenzio presento, ai miei lettori, due realtà: l’una di persona che si accetta nella sordità, l’altra la sfugge e combatte. Credo che abbiate udito o letto la parola eutonologia. Studia la scienza di «star bene nella propria pelle». Proposta dal filosofo e biologo Henri Laborit, nonno di Danielle, sorda, attrice e autrice del libro autobiografico Il grido del gabbiano.

Molti sordi dalla nascita o divenuti tali durante lo sviluppo chiedono alla società di maggioranza d’essere compiutamente nella propria pelle. Molti incontrano difficoltà in questo, anzi gli diventa impossibile. Ci sono genitori che, già nei primi mesi di vita del piccolo, decidono per l’impianto cocleare.
Ho un amico otochirurgo a cui ho chiesto quante possibilità ci sono (anno 2003) per percepire, non solo “sentire”, la parola nella completezza… Ha risposto: «Poche.»  Ciò indica che, l’imperfetto ascolto, limita la memorizzazione e, di poi, il richiamo mnemonico e la strutturazione del linguaggio sonoro-verbale. Agli impiantati (pare) venga limitata l’attività sportiva competitiva, talvolta anche ludica, attraverso la quale, molti di loro, entrano in relazione con i coetanei udenti riportandone gratificazione. Sono bambini impediti a divenire se stessi.
La sordità grave o meno grave conduce ad una complessa  struttura psicologica, ad una rielaborazione dell’Io. Ne ho parlato nelle mie ricerche sull’inconscio. Per ora mi ripeto affermando che la sordità  può essere considerata una filosofia esistenziale. Capisci gli altri da come tu sei accettato:  e trattato nella tua caratteristica di sordo. Il miracolo dell’Effata (apriti) non può sempre avvenire. Non puoi strapparti gli orecchi perché sei «sordo» negli orecchi. Ma se l’indicazione finisse qui non è un ludibrio, lo diventa quando ignoranza e pregiudizio della gente alienano mente e psiche!
C’è la persona sorda che non si accetta, non perché soffre la disabilità sensoriale, ma perché si scopre inconsiderata nella società o gruppo professionale o amicale. Ecco che il tutto si sposta nell’accettarsi  d ‘essere accettato in ciò che  si è !
Ho visto nel corso della mia attività professionale di  psicologo decine e decine di drammi: genitori in lite per accelerare l’educazione del figlio «a parlare bene». Come se l’obiettivo parlare fosse l’unica etichetta visibile per accedere alla cosiddetta normalità, da far «udire» al parentado, ai vicini di casa. Ho visto ragazzine sorde allontanate dai coetanei o giovani simili dalle rispettive madri e sospinte, letteralmente, nelle braccia dei compagni di classe udenti  «perché - essendo udenti - impareranno a parlare bene» dicevano.
Renato Pigliacampo. Dall’ Itinerario  Pensieri e  riflessioni dal Silenzio, scritto martedì 17 ottobre 2006  

Non farsi manipolare

Domenica, Settembre 1st, 2013

(Il 30 settembre 1979 scrivevo quanto segue)

 

Noi sordi non dobbiamo farci manipolare o, peggio, svenderci a gente dappoco, o che stazioni nell’infima politica coi propri comprimari. Quella gente ci usa per raggiungere i vertici delle istituzioni, o per entrare nelle stanze ministeriali. Dobbiamo avere - lo dico ancora una volta  -  dignità e intelligenza di liberarci della gente che presenta la nostra disabilità come una «colpa» divina da scontare in terra, con radicati pregiudizi frenanti lo sviluppo dell’identità d’essere persona autentica in grado di saper fare. Mi sono sempre impegnato negli studi per raggiungere un giudizio indipendente, mai condizionato dall’altrui bla-bla, affinché maturassi la libertà di scelta. E’ stata sempre una «lotta» solitaria che, in troppi, hanno visto da una parte sbagliata. Ma noi sordi gravi quale via possiamo imboccare per emanciparci se non che con una atto rivoluzionario che ‘spezzi’ le catene dei secolari condizionamenti?

Da sempre, quasi tutti noi sordi, ci affidiamo alla legge «482/1968» per ottenere un “posto di lavoro”. Questo implorare ai piedi del “potente“ di turno ha debilitato la nostra intelligenza, spento il nostro coraggio sospingendoci a delegare le nostre istanze agli «assistenti». Costoro, alla lunga, si sono messi davanti a noi, strappandoci la bandiera di mano; invece di aiutarci, in modo diligente, per la nostra causa, hanno deviato per proporre, ai politici, la soluzione dei loro  problemi di “assistere i sordi” o attribuendosi “esperti  educativi”. Tante volte mi sono accorto che, la mia idea di protagonista, era ferita, foggiata in modo erroneo su suggerimenti di chi fomentava dall’esterno! E’ triste ammetterlo, ma è così. E mentre la rassegnazione sperdeva il primigenio entusiasmo, soffocando a poco a poco le energie di ribellione, non taccio l’avvilimento presente in tantissimi giovani disabili,  divenendo    in qualcuno cronico, trasferendosi nell’uso di droga, di violenza cieca per futili motivi, nel sesso mercimonico, nell’incoscienza di correre oltre ogni limite con moto o auto, come volesse esorcizzare la disabilità  con un comportamento di vita sregolato.

Renato Pigliacampo

da Pensieri e riflessioni sul Silenzio

Non vogliamo essere freaks!

Lunedì, Agosto 26th, 2013

Il termine inglese «freak» sta ad indicare, letteralmente «fenomeno, anomalia», corrisponde al termine latino «monstrum» o al greco «tèras». Dal termine freak ha origine «frakkettone» italianizzato in fricchettone, utilizzato negli anni Settanta del secolo scorso per indicare i seguaci del movimento hippy.
Qualcuno ricorderà il famoso circo Barnum.  Barnum fu il primo impresario a intuire che l’osceno, il mostro, il diverso avrebbero potuto  incuriosire i «normali» e, quindi, potevano essere fonte redditizia  (per la sua impresa circense). Barnum si dette da fare per  cercare, in ogni dove, gente mostruosa, che addestrò a recitare per il suo Circo. Ecco che presenta agli spettatoti la donna barbuta, la donna cannone, i gemelli siamesi, il nano cavallerizzo e tanti altri «poveretti» deformi nel corpo. Dunque mostra il diverso per far denaro: il sano imprenditore  (Barnum) ammucchia soldi  “vendendo” la disabilità, allora la ‘mostruosità!

Oggi siamo sulla stessa linea? Forse che sì o forse che no. Quando parliamo o scriviamo di «disabilità» dobbiamo svolgere, talvolta, una verifica di controllo della/e persona/e  del cosiddetto «normale» e a che scopo, d’improvviso,  si fa avanti  per comandare o gestire la comunità dei disabile, o un determinato Gruppo.Riflettiamo, per esempio, sul fatto del bambino sordo che passa ore e ore con la logopedista allo scopo che possa articolare in modo chiaro le parole e strutturare il linguaggio della maggioranza. Spessissimo ci viene imposto, dalla società, di dare l’ostracismo a qualcosa per il semplice motivo che siamo unici o in minoranza a considerare quel che ci piace, oppure ciò che ci è più comodo per esprimere le nostre potenzialità psicointellettive e affettive. Il concetto di «beltà o bellezza» sono personali. Così tante altre indicative connesse alla persona con una specifica disabilità! Infatti, la scelta del partner per il fatto di piacerci o che giudichiamo bello/a  dipende da tantissimi fattori: elementare realtà nota a tutti gli psicologi.Oggi, fra gli individui adulti o in età evolutiva con disabilità, solo i sordi  e gli ipoacusici non ‘mostrano’ l’handicap invisibile, almeno sino a quando stanno zitti (sic!). Ma nell’assenza o carenza di adeguate strutture, e di personale qualificato, la sordità ne frena l’accesso alla partecipazione attiva. Sono dunque le «barriere di comunicazione», l’ignoranza dell’interlocutore, la  sua scarsa pazienza e sensibilità che impongono il sordo a uscire dalla babele del chiacchiericcio sociale per starsene in solitudine umiliato e avvilito, talvolta con esplosione d’ira che, gli udenti, giudicano  subito come sintomi psichiatrici.

Ebbene quando il sordo inizia ad esprimere un pensiero autonomo e costruttivo, accade che – chi gli è attorno – mugugni. Ponendosi domande, tipiche di chi è umiliato, ‘come si permette di passarmi avanti, essere più bravo di me, che sono normale?’  Queste sortite, in Italia, sono consuete perché non c’è un’educazione dell’accettazione dell’altro rispettandolo nella condizione fisica e sensoriale. Infatti quando notiamo la presenza di un deficit sul corpo dell’altro, è sempre quest’ultimo che prende il sopravvento sull’intelligenza e il coraggio! Per tanti anni la comunità ha tenuto i soggetti - indicati con termini apparentemente crudeli, ma significativi: i «sordomuti», i «ciechi», gli «storpi», i «deficienti», i «matti» eccetera - nei circhi Barnum, secondo determinati periodi storici, che potevano essere le «scuole  speciali», i «ghetti degli immigrati», i «manicomi» (….).

Noi eviteremo d’essere freaks se riusciremo a divenire protagonisti della nostra cosiddetta disabilità: e non finiremo nel “circo barnumiano”, che  sempre ci sfrutterà, notando in noi solo il difetto, l’anormalità, il fuori norma!. E avviene soprattutto imponendoci regole e standard di normalizzazione  e potenziali capacità del corpo «normale»  - il loro corpo insomma che dovremmo imitare in tutta l’efficienza! - .  Eppure a taluni, il nostro body ferito, può sembrare come mezzo di comunicazione  efficace e apollineo, originale! E poi i normodotati  (o presunti tali)  non dovrebbero sempre attingere allo psittacismo di un’etica, professionale o di  comportamento, che è, appunto, di ripetizione pappagallesca. Dobbiamo apprendere (soprattutto noi sordi!) a comunicare le nostre idee nella lingua che conosciamo meglio:  che sia essa verbale o segnica è indifferente purché si tenga lontano i Burattinai che, spesso, ci impediscono – per  evidenti scopi di lucro o di frettolosa ricerca di  lavoro, mascherato di presunta competenza per il fatto di conoscere quattro segni –  di manifestarci in ciò che effettivamente siamo.

Approdiamo al traguardo di essere persona. I politici, eletti in Parlamento anche  da noi, comprendano soprattutto questo, oppure i segretari di partito iniziano a mettere in Lista più disabili. Noi, sino ad oggi, siamo stati democratici e onesti di tacere, di non chiedere la «quota», come è per il genere femminile, con la speranza che, i candidati normali, fossero in grado di risolvere i nostri problemi.  Se non ascolteranno le istanze dei disabili, inizieremo con la richiesta da subito.

Renato Pigliacampo

Mai piegare la testa per una vita a metà

Martedì, Luglio 23rd, 2013

 

Non ci rendiamo conto delle difficoltà incontrate da un bambino sordo o ipoacusico nello apprendere la lingua italiana (nel nostro caso) scritta, anche perché gli insegnanti non hanno sperimentato, nel corso dell’età evolutiva, i processi psicocognitivi e psicolinguistici della lingua visuomanuale, senza l’apporto dell’udito che, appunto, è lingua appresa negli scambi duali o di gruppo con i pari e gli adulti. Ecco che i tanti cosiddetti esperti di conoscere il mondo percettivo dei sordi dicono: «E’ sufficiente che il sordo sia inserito nella classe dei coetanei normali (!) perché avvenga lo stimolo della comunicazione in comune

E’ un’affermazione disattenta ai bisogni percettivi del bambino e, nello stesso tempo, è dato l’ostracismo alla possibile polisensorialità diversificata per accedere a una via differente di percezione che non sia quella dozzinale della labiolettura o lo sforzo di ricreare parole udite in modo confuso o spezzoni di frasi.

Se il sordo non ha una buona istruzione e/o capacità dell’utilizzo della lingua scritta del proprio paese, finirà per essere emarginato in un cantuccio della società con danni maggiori della stessa sordità per il fatto che, se il soggetto non comprende il contenuto di quel che legge, alla fine abbindolerà se stesso e chi gli è a fianco, avallando contenuti incomprensibili alla mente.

Il Sac. Luigi Vischi, precettore di Giacomo Carbonieri, psicologo antesignano dei sordi del secolo XVIII, affermò che la Cultura è, per il sordo, il latte della vita. Oggi dubitiamo che, questo metaforico latte, possa essere sorbito dal sordo dalle poppe della comunità del Sapere. Se non imparerà a sfuggire ai tanti Burattinai che albergano nella sua esistenza, confondendolo con un ipotetico «aiuto», raramente dimostrato con titoli professionali e accademici, ricerche e letture di buoni libri; e di solito ci troviamo davanti a gente che recita una commedia incitante sordi e/o udenti tra i quali c’è sempre qualcuno o più di uno addestrato apposta per plaudire il potere, allo scopo che i Burattinai continuino a tirar vantaggio. Bisogna prendere atto di ciò per coinvolgere le Autorità. Se tacciamo getteremo nel letamaio la dignità, rendendo vano lo sforzo di tanti di noi che hanno dedicato la loro giovinezza negli studi accademici e nelle professioni d’alto contenuto sociale e professionale. Se il sordo d’oggi si accontenta di vivere alla giornata, gregario dei prepotenti siano loro udenti o sordi, allora è brutto piegare la testa, e dire a gran voce che è vita a metà!