Lesbismo e figlio sordo
Venerdì, Maggio 2nd, 2008Il filosofo Sebastiano Maffettone, recensendo un libro di Michael J. Sandel, Contro la perfezione. L’etica nell’età dell’ingegneria genetica, Vita e Pensiero, Brescia 2008, dice che qualche anno fa, a Harvard, fu invitato ad un seminario di Bioetica, coordinato dallo stesso Sandel, filosofo politico comunitarista. Il caso del quale si dibatteva era la vicenda di una coppia lesbica composta da due sorde, Sharon Duchesneau e Candy McCollugh, che volevano un figlio con inseminazione artificiale. Ovviamente ciò non consisteva novità, stava nel fatto che cercavano un donatore di sperma che discendesse da almeno cinque generazioni di sordi. Ebbero il figlio sordo, come auspicavano. Sandel chiese ai presenti se condividevano - «sì» o «no» - la scelta del comportamento delle due lesbiche. Maffettone scrive che «Io alzai la mano insieme a coloro che disapprovavano», pensando fosse una decisione crudele stabilire la nascita di un bambino handicappato. La verità è un’altra: e non stupisce coloro che vivono quotidianamente a contatto con i sordi. Le due donne hanno compiuto una scelta logica, principalmente che il figlio comunicasse con loro, vale a dire con la lingua dei segni. Se avessero optato per un bambino udente sarebbe stato un bambino diverso da loro per cultura e sviluppo di linguaggio. Un bambino dunque sconosciuto. Qui la Bioetica c’entra poco. Gli udenti scorgono, nella decisione, un atto egoistico. Falso, anzi è una scelta ponderata, di collaborazione solidale dei membri. Qui in Italia parliamo di integrazione dei sordi nelle classi delle scuole residenziali, ma non pensiamo a sufficienza come evitare la loro esclusione nel contesto interrelazionale per mezzo di docenti specializzati e preparare i coetanei che odono all’accoglienza dei compagni diversamente abii nell’ascolto. Non si mostra solidarietà imponendo all’altro una presunta normalizzazione. «Normalità», in certi contesti, è solo una parola come tante. Le due lesbiche hanno optato per un figlio sordo perché fosse esplicito, sin dall’accoglienza alla vita di relazione, che egli apparteneva alla comunità dei sordi e ne acquisisse, proprio attraverso la lingua specifica, identità e cultura. Oggi, nel nostro Paese, le relazioni con i sordi sono impastate di ambiguità nella scelta compiuta per loro. Li si vuole (la famiglia) normali senza approfondire che già lo sono. La verità è differente perché obbliga i familiari e la scuola a ricliclarsi secondo i bisogni. Di fatto è pigrizia e ignornza, drammi della nostra società.