Oliver Sacks (V)
Lunedì, Dicembre 7th, 2009In definitiva Oliver Sacks riconosce ai sordi un’identità linguistica, che permette loro di compiere il passaggio da una comunicazione non intenzionale e/o istintiva ad una intenzionale, strutturata su una grammatica, rivalutando proprio per questo gli studi e le ricerche di William Stokoe (1960). Sacks ci permette, per la prima volta, un’ampia riflessione scientifica su quel che ammette Goldberg: « (…) il linguaggio dell’emifero destro permette le relazioni referenziali (…) di un codice linguistico, (…) ma non consente di manipolarlo» (O. Sacks, op. cit.,p. 158).L’emisfero destro organizza l’attività percetiva, ma non quella lessicale che si fonda proprio sull’esperienza dell’ascolto, del ‘calarsi’ nella parola verbale. L’emisfero sinistro ‘interpreta’ la parola ma non ‘agisce’: è un emisfero possiamo dire passivo… Il piccolo sordo, anche se sottoposto all’impianto cocleare - come è reazione comune oggi dei genitori udenti una volta identificata la sordità nel figlio - necessita di un lungo periodo di applicazione logopedia perché diventi «udente», e mentre ciò si compie disperde la doviziosità visiva connessa all’esercizio percettivo sistematico. La lingua visuomanuale si sposa col possesso di specifica identità culturale. Come avviene per esempio, scrive Sacks, per l’inglese, per il tedesco e così per le altre lingue. La cultura è attiva in un continuum proceso di sviluppo, di arricchimento visuo-cognitivo, mettendo fuori gioco la caratteristica ripetitività del “sentire” le parole, l’impostazione di frasi stereotipate, non aperte alle due percizioni principali dell’udire e dell’ascoltare. Sacks, a differenza dei tanti che parlano appunto per sentito dire, egli si è calato a studiare questa cultura con le potenzialità possedute nelle vaste discipline medico e psicologiche: e soprattutto ha avuto l’umiltà di ritornare a leggere, dopo una prima sbrigativa annotazione, il libro di David Wright Deafness, l’autobiografia del poeta-romanziere sordo inglese. Costui annota: «Il fatto di essere diventato sordo a sette anni (…) fu per me una vera fortuna (…), avevo ormai afferrato i fondamenti del linguaggio (…) - la pronuncia, la sintassi, le riflessioni, le pucialirità linguistiche, erano tutte entità che avevo sperimentato attravero l’orecchio. Tutto ciò mi sarebbe stato negato se fossi nato sordo o se avessi perso l’udito nei primi anni di vita». Ciò ha fornito attenzione su una valida risposta esperienziale, (cfr per esempio R. Pigliacampo, in vari testi narrativi) per rivalutare la lingua dei segni una volta appresa come seconda lingua, al contrario di tanti sordi che, divenutili in età evolutiva, sono restati infischiati nella propria sordità, continuando una precaria interrelaizone con gli altri (di solito udenti), fondata per lo più su un monologo piuttosto che di un reale scambio dicontenuti. Alla fine del suo migliore studio sui sordi, Vedere voci, O. Sacks ci lascia con uno spiraglio di speranza per i genitori e per coloro che hanno contatti con sordi e ipoacusici perché «No bisogna focalizzarsi sulla sordità del soggetto, sulla sua menomazione sensoriale, ma stimolare altri sensi allo scopo di recuperare le altre potenzialità intellettive».